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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: Innovazioni e nuovi scenari normativi

25 Giugno 2002 Commenta

I mutamenti organizzativi nella Pubblica Amministrazione alla luce delle innovazioni e dei nuovi scenari normativi

La crisi economica verificatasi alla fine degli anni ’80 ha fatto si’ che venisse messo in moto un faticoso processo di riforma che ha coinvolto competenze, strutture, personale, procedimenti e controlli che, a partire dagli anni ’90, ha dato inizio ad una profonda trasformazione dell’Amministrazione pubblica che ha investito progressivamente il riordino della stessa, la trasparenza amministrativa, la gestione del personale, la contabilita’, la semplificazione amministrativa, fino ad interventi di carattere settoriale.
Le riforme in materia di organizzazione amministrativa hanno avuto come tema ricorrente il cambiamento dei controlli dell’azione amministrativa, rigorosamente legate ad un nuovo disegno della P.A. basato sull’idea di attuare “uno Stato federale”.
In tale contesto riformista, pertanto, l’attivita’ della P.A. si caratterizza segnatamente per uno sforzo di costante recupero della funzionalita’ e dell’efficienza-efficacia degli apparati amministrativi, ricorrendo, in modo nuovo ed innovativo, a strumenti e moduli tratti anche dall’esperienza del diritto privato per cui, le amministrazioni pubbliche, mutuando dal settore aziendalistico privato, hanno avvertito l’esigenza di porre sotto controllo l’azione dei propri organi verificando, successivamente o in concomitanza, che l’azione stessa rispondesse ai fini prefissati e che si svolgesse nel rispetto delle regole.
Cosi’ come concepito nella nuova ottica, il movimento dei controlli preesistenti andava riformato ed e’, pertanto, sostanzialmente cambiato nell’ultimo decennio, subendo un radicale ridimensionamento laddove lo scopo e’ stato quello di semplificare controlli e procedure in modo da accorciare il circuito delle decisioni, di creare un modello giusto di responsabilita’ e di efficienza, favorendo il passaggio dal modello burocratico formale, attento alla legalita’ degli atti, ad una amministrazione orientata alle imparzialita’ e al buon andamento (gia’ previsti dall’art. 97 della Costituzione), ai risultati, all’efficienza, all’efficacia dell’agire amministrativo dove il controllo dei risultati viene svolto da soggetti esterni, portatori di interessi diversi da quelli del soggetto controllato.
L’obiettivo quindi e’ stato quello di cercare di ottenere una amministrazione efficiente, meno costosa, meno regolamentata e percio’ flessibile e manovrabile, che si organizza attraverso strutture semplici, senza duplicazioni e sovrapposizioni, verificabile attraverso un nuovo sistema dei controlli.
Il compito al quale e’ stato chiamato il legislatore, per l’attuazione di siffatta amministrazione, e’ stato quello di dare una nuova organizzazione alla “Azienda Stato”, dove il tema della semplificazione amministrativa ha assunto una importanza strategica che ha formato oggetto di numerosi interventi da parte del legislatore, in considerazione del valore che essa riveste sia per le amministrazioni, sotto il profilo dell’efficienza e dell’economicita’ di gestione, sia per i cittadini.
E in tale ottica si e’ dato inizio ad un proliferare di norme a partire con le leggi sul procedimento amministrativo (7 agosto 1990, n. 241) e sulle autonomie locali (8 giugno 1990, n. 142).
Occorre attendere il 1997 perche’ il tema dello snellimento dell’attivita’ amministrativa, in osservanza dei criteri di efficacia ed economicita’ dell’azione amministrativa (minor tempo = minor costo), venga posto nuovamente all’attenzione. Se ne fanno carico le leggi n. 59 del 1997 e n. 127 pure del 1997, che segnano una svolta importante per le autonomie locali.
Comunque, l’intento di regolamentare, con criteri nuovi, la verifica e la valutazione dei risultati dell’attivita’ della P.A., ha trovato la sua genesi nel D.Lvo 3 febbraio 1993, n. 29, emanato sulla base della delega contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. g) della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Tale ultima normativa ha tracciato, tra l’altro, gli orientamenti generali da osservare nella razionalizzazione delle strutture e delle procedure nella determinazione del meccanismo di elaborazione delle politiche pubbliche e nel sistema dei controlli.
La riforma continua con le disposizioni successive ed integrative dello stesso Decreto Legislativo n. 29/93, nonche’ con la legge 14 gennaio 1994, n. 20, la quale ha modificato le competenze della Corte dei Conti in materia di controlli, e con il D.Lvo 30 luglio 1999, n. 286 (su delega contenuta nella legge 15 marzo 1997, n. 59, di semplificazione amministrativa) che ha rivoluzionato la disciplina ridisegnando contenuti e competenze dei controlli interni, mediante la previsione di un sistema articolato nel quale si vanno a collocare sia le verifiche di regolarita’ amministrativa e contabile, sia la valutazione dei dirigenti, nonche’ il controllo strategico e il controllo di gestione.
In sostanza, sono state progressivamente introdotte nuove forme di controllo e di verifica delle gestioni in riferimento ai programmi ed agli obiettivi prefissati da ciascuna amministrazione; un controllo che si e’ sempre configurato come una attivita’ di supporto all’azione di governo in funzione collaborativa e non repressiva.
La concezione di fondo della riforma dei controlli, come sopra schematizzato, disegna l’attivita’ della P.A. come servizio qualificato, rispondente alle attese del cittadino, da svolgere secondo tecniche gestionali innovative e predeterminate, integrati da valutazioni sulla responsabilita’ della dirigenza in ordine alla programmazione dell’attivita’ stessa, alla realizzazione e conseguimento degli obiettivi prefissati.
Il passaggio a questo sistema di controllo e’ stato determinato in gran parte dalla riforma dei sistemi di contabilita’ che, facendo venir meno l’antecedente separazione tra amministrazione e sistema finanziario, ha stabilito le basi per il monitoraggio della vita amministrativa degli enti pubblici. In tale ottica, si e’ necessariamente dovuta modificare la disciplina e la struttura della contabilita’ e del bilancio dello Stato trasformandolo da programmazione di spesa in programmazione di costi.
La riforma “contabile” nasce, pertanto, da una duplice esigenza: rendere piu’ concreta ed effettiva la decisione parlamentare sul documento di bilancio, consentire un miglior controllo della spesa pubblica in funzione della verifica del raggiungimento degli obiettivi prefissate dalle politiche del Governo.
E, ancora una volta, la periferia della pubblica amministrazione (rappresentata da regioni ed autonomie locali) ha fatto da apripista per una riforma della contabilita’ pubblica centrale.
Infatti, come gia’ verificatosi negli anni settanta, dove il “la’” al riordino dei bilanci pubblici venne dalla periferia e, in particolare, non dagli enti locali minori, ma dalla riforma della contabilita’ regionale, con la legge 19 maggio 1976, n. 335, alla quale seguirono, per lo Stato, la legge 5 agosto 1978, n. 468 e, per gli enti territoriali, il DPR 19 giugno 1979, n. 421, anche in questa circostanza la riforma in materia di bilancio ha interessato inizialmente solo Comuni e Province (con il decreto legislativo n.77/1995, recentemente trasfuso nel T.U. dell’ordinamento degli enti locali n. 267/2000) e si e’ poi estesa all’Amministrazione dello Stato (con la legge n. 94/1997, che ha disciplinato nuove regole in materia di bilancio e contabilita’ pubblica, e con il D. Lvo n.279/1997, emanato in attuazione della delega di cui all’art. 5 della predetta legge n. 94), nonche’ anche alle Regioni (con la legge n. 208/’99 – nella quale il legislatore ha rivolto l’attenzione ai documenti di bilancio – e con il D. Lvo n. 76/2000).
La citata legge 5 agosto 1978, n. 468 introduce nel nostro ordinamento contabile la legge finanziaria che interviene nel processo di bilancio con funzione programmatica.
Tale legge verra’ successivamente modificata con la legge n. 362 del 23 agosto 1988 la quale, oltre ad introdurre il “Documento di programmazione economica e finanziaria (DPEF), assegna alla finanziaria lo scopo precipuo di disporre annualmente il quadro di riferimento finanziario per il periodo compreso nel bilancio pluriennale in coerenza con gli obiettivi finanziari del DPEF, nonche’ di provvedere alla regolazione annuale delle grandezze previste dalle disposizioni legislative al fine di adeguare gli effetti finanziari agli obiettivi.
La successiva legge 3 aprile 1997, n. 94, che apporta anch’essa sostanziali modifiche alla precedente legge n. 468/’78, ha operato una razionalizzazione della struttura del bilancio statale – in conformita’ ai principi generali delineati alla legge n. 241/’90 e dal D.L.vo n. 29/’93 – ed e’ strettamente connessa con la legge n. 59, approvata dal Parlamento nello stesso anno; sia la legge n. 59 che la n. 94, infatti, miravano alla riorganizzazione della macchina-Stato con interventi strutturali e procedimentali di modernizzazione all’interno della pubblica amministrazione.
La predetta legge n. 94/’97, ha voluto dar vita ad un efficace strumento di incentivazione al cambiamento; infatti, la stessa ha conferito ai documenti di previsione una maggiore semplicita’ ed ha introdotto, in luogo dei capitoli di spesa – rimasti solo per finalita’ di gestione o rendicontazione – le unita’ previsionali di base, (U.P.B.) individuate dal D.Lvo 7 agosto 1997, n.279, responsabilizzando i dirigenti statali rispetto alla gestione delle risorse loro attribuite (quale budget per centro di costo) per raggiungere gli obiettivi programmati e i risultati conseguiti, imponendo, quindi, l’analisi dei costi.
Le U.P.B. diventano il quadro di riferimento ai fini dell’approvazione del bilancio di previsione dello Stato, che deve formarsi sulla base dei criteri e dei parametri indicati nel DPEF, e rappresentano le aggregazioni con le quali si costruiscono gli stati di previsione dei singoli ministeri e vengono stabilite in modo che a ciascuna U.P.B. corrisponda un unico centro di responsabilita’ amministrativa.
Con la legge 25 giugno 1999, n. 208, recante “Disposizioni in materia finanziaria e contabile”, sono stati modificati sensibilmente i contenuti, i parametri e le finalita’ su cui si fonda il documento di programmazione economica e finanziaria (DPEF) adeguandolo al contesto europeo, introducendo correzioni alla legge finanziaria ed accrescendone i contenuti.
Pertanto, con l’esercizio 2000 nella P.A viene introdotto il sistema di contabilita’ economica analitica per centro di costo al fine di consentire la valutazione economica dei servizi e delle attivita’ prodotte dalle diverse realta’ amministrative. Per consentire la valutazione economica della gestione, e quindi degli obiettivi perseguiti, il sistema contabile prende a riferimento il costo – cioe’ l’onere derivante dall’utilizzo effettivo delle risorse – anziche’ la spesa, che rappresenta l’esborso monetario legato alla loro acquisizione (diversamente dalla spesa, infatti, il costo sorge quando la risorsa viene impiegata, indipendentemente dal momento in cui avviene il relativo esborso finanziario); dunque, occorre tener conto della stretta connessione prevista tra il controllo di gestione e contabilita’ economica analitica per centro di costo.
Il nuovo sistema contabile, infatti, mette in correlazione le risorse impiegate, i risultati conseguiti e le responsabilita’ gestionali della dirigenza e fonda la propria funzionalita’ sulla individuazione della competenza economica dei fenomeni amministrativi collegando, altresi’, le risorse necessarie e gli obiettivi per cui vengono impiegate, oltre al confronto tra budget e risultati conseguiti.
Nel legislatore, in definitiva, e’ prevalsa la logica del risultato che ben si sposa con un sistema di (auto)valutazione, in forza del quale i controlli non sono piu’ ad appannaggio di organi esterni alla amministrazione ma, per gli aspetti economici dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicita’, vengono svolti all’interno della stessa struttura, avvalendosi di nuove strutture di “staff” poste alle dirette dipendenze del vertice politico.
I relativi meccanismi introdotti permettono, in sostanza, di verificare, attraverso l’analisi dei documenti programmatici e dei dati di bilancio, in che modo l’azione amministrativa riesce a rendere concreto l’indirizzo elaborato da ciascun livello di governo, nella individuazione di politiche pubbliche di settore, valutando complessivamente l’attivita’ di governo della P.A. attraverso l’esame delle seguenti fasi: 1. programmazione, con cui si individuano gli obiettivi e si prefigurano le modalita’ dell’azione; 2. controllo, con cui si misurano e valutano i risultati programmati.3. elaborazione, con cui si organizzano unitariamente i procedimenti di gestione e le forme di utilizzazione delle risorse umane e strumentali;
In siffatta strutturazione, l’organo di vertice politico indica gli obiettivi strategici da realizzare con le relative priorita’ ed assegna le risorse, mentre alla dirigenza spetta la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, con autonomia di decisione, con diretta assunzione di responsabilita’ degli atti adottati – anche verso l’esterno – e con autonomi poteri di spesa, di organizzazione e di controllo, rispondendo in proprio della gestione delle risorse e del raggiungimento degli obiettivi programmati.
Come gia’ accennato, la concezione di tale cambiamento culturale della P.A. viene applicata ai Comuni con il decreto legislativo n. 77/1995, costituendo la tappa finale di un primo processo di riordino della finanza locale. Con tale provvedimento viene introdotto un nuovo modo di pensare i bilanci nel senso che, sulla base del bilancio di previsione annuale, deliberato dal Consiglio, l’organo esecutivo (la Giunta) definisce prima dell’inizio dell’esercizio il PEG (Piano Esecutivo di Gestione), determinando gli obiettivi di gestione ed affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi.
Questa nuova impostazione si sviluppa su un concetto di bilancio (budget) mutuato dalla tradizione anglosassone, costruito in funzione di tre elementi essenziali: risorse, interventi, programmazione. In tale ottica, tra il bilancio di previsione e il PEG si instaura un rapporto funzionale che obbliga l’organo politico, deputato dell’attivita’ di indirizzo, a rapportarsi con parametri concreti e alla luce di valutazioni economiche misurate in termini di efficacia ed efficienza.
In sostanza, con il PEG avviene la formalizzazione delle responsabilita’ gestionali nell’ente locale e permette di affiancare a strumenti di pianificazione strategica (quale puo’ essere il bilancio previsionale stesso, il bilancio pluriennale, la relazione previsionale e programmatica) un valido strumento di budgeting in cui vengono esplicitati gli obiettivi, le risorse e le responsabilita’ di gestione per ciascun centro di responsabilita’. Cio’ consente di:- definire preventivamente le linee d’azione da seguire per realizzare gli obiettivi;- fissare il tempo occorrente per raggiungerli;- determinare le risorse finanziarie;- valutare se gli obiettivi vengono realizzati e se l’azione programmata debba essere eventualmente rivista.
Con riferimento agli obiettivi ridisegnati dalla legge di bilancio (per la P.A. in senso lato) e di cui sopra, le funzioni di controllo della gestione – quale verifica del livello di efficienza, efficacia ed economicita’ raggiunto nello svolgimento dell’azione amministrativa, tenuto conto delle risorse assegnate e dei risultati conseguiti in relazione agli obiettivi programmati – tendono ad ottimizzare il rapporto tra costi e risultati; ai sensi dell’art. 4, comma 2 del D.Lvo n. 286/1999 il controllo di gestione e’ concepito come strumento al servizio della dirigenza per supportare le funzioni previste dall’art. 16 del piu’ volte citato D.Lvo n. 29/1993.
Per quanto attiene all’individuazione degli organi competenti per il controllo interno, lo stesso D.Lvo n. 286 fa’ riferimento a strutture da individuare o istituire nell’ambito dei centri di responsabilita’, modificando sostanzialmente il precedente dettato normativo di cui agli art. 4 e 20 del D.Lvo n. 29/1993 che aveva creato un sistema di difficile realizzazione in quanto caratterizzato dall’accentramento nei servizi di controllo interno di compiti non omogenei tali da non poter essere portati ad attuazione; in altri termini, era impensabile che il controllo di gestione potesse essere svolto dal servizio di controllo interno.
Tuttavia, nella P.A. il controllo di gestione ha certamente incontrato – o, se vogliamo, vengono ancora incontrate – non poche difficolta’ sia organizzative che applicative: per superare in maniera definitiva tali problematiche, e’ stato necessario richiedere un’analisi delle strutture organizzative di ciascuna Amministrazione, secondo la loro configurazione, da raccordare con la classificazione delle funzioni di Governo, la cosiddetta CO.FO.G (Classification of Functions of Government) di chiara matrice comunitaria, che e’ stata assunta a base della ristrutturazione del Bilancio dello Stato dalla legge 3 aprile 1997, n. 94 e dal D.Lvo n. 279 del 7 agosto 1997.
La CO.FO.G. delinea la nuova struttura organizzativa dello Stato nell’ambito della quale e’ dato distinguere divisioni, gruppi, classi, missioni istituzionali, servizi. Essa e’ un’elencazione trasversale delle funzioni che, a vario titolo, possono coinvolgere piu’ Ministeri o piu’ strutture di uno stesso Ministero.
L’analisi organizzativa e’ necessariamente propedeutica di ogni iniziativa da adottare per attuare la riforma dei controlli; essa e’ preambolo al controllo di gestione e alla contabilita’ analitica economica per centri di costo. Per cio’, il controllo di gestione non ha soltanto una finalita’ organizzativa, tesa cioe’ al miglioramento della funzionalita’ dei servizi, ma anche una proiezione di carattere contabile, che si riflette sulla valutazione dei costi dell’azione amministrativa. Tale forma di monitoraggio necessariamente deve tener conto dei compiti istituzionali, degli obiettivi di ottimizzazione dell’attivita’ amministrativa e dei risultati conseguiti, stabilendo varie correlazioni che danno luogo, poi, ai giudizi di efficienza, efficacia ed economicita’.
E’ ovvio che il bilancio si fonda principalmente sul giudizio di economicita’ ed e’ per questo che il D.L.vo 279 del 1997 da’ indicazioni piu’ puntuali in ordine alla valutazione dei costi, rinviando il tutto al “piano dei conti” allegato allo stesso provvedimento legislativo e che il procedimento relativo alla formazione del bilancio dello Stato deve rispettare, altresi’, determinate scadenze entro le quali i vari adempimenti devono essere portati a termine: a tal riguardo, va ricordato che l’art.1, comma 3, della legge 25 giugno 1999, n. 208, fa obbligo alle P.A. destinatarie del D.Lvo n. 29/1993, con esclusione degli enti locali di cui al D.Lvo n. 77/95, di adeguare, entro un anno dalla sua entrata in vigore, i sistemi di contabilita’ e i bilanci ai principi contenuti nella medesima legge n. 94/1997.
Approfondendo l’analisi dei “controlli interni ed esterni nella P. A.”, dove il quadro normativo e’ quello sopra gia’ riportato, l’attivita’ di controllo puo’ essere individuata, in via generale, nell’attivita’ di riesame che un organo esercita sull’attivita’ espletata in precedenza da un altro organismo alla stregua di un precedente parametro di valutazione ed in vista di una possibile misura sanzionatoria. Qualora tali controlli siano esercitati dalla stessa amministrazione o da strutture appartenenti o comunque espressione della stessa amministrazione controllata, si hanno i “controlli interni”, mentre se compiuti da organismi estranei all’amministrazione si hanno “controlli esterni”.
Anche il sistema dei controlli nella P.A. ha subito una profonda e logica evoluzione, segnando il passaggio da un regime dominato dai controlli preventivi di legittimita’ e di merito sugli atti, esercitati da organi esterni, ad un regime in cui predominano i controlli interni e nell’ambito di questi quelli sull’attivita’.Le tipologie dei controlli sono di vario tipo:- controllo sugli atti;- controllo sugli organi;- controlli interni;- controlli esterni sulla gestione.A grandi linee si possono distinguere i seguenti periodi del sistema dei controlli, anche con riferimento agli enti locali:a) periodo precostituzionale: il periodo antecedente all’entrata in vigore della Costituzione e’ contrassegnato da un pesante sistema di controlli sugli atti degli enti locali sui quali, con il T.U della legge comunale e provinciale del 1934, veniva esercitato un penetrante potere di vigilanza, di controllo e tutela da parte dello Stato che lo attuava per il tramite di organi statali decentrati, quali il Prefetto e la G.P.A., sulla quasi totalita’ degli atti deliberativi (controllo di legittimita’ e di merito), con possibilita’ di annullamento anche per ragioni di opportunita’.b) periodo antecedente alla legge n. 142/1990: il precedente sistema viene profondamente modificato dalla Costituzione che, all’art. 125, primo comma, e all’art. 130 – ora peraltro abrogati e di cui si dira’ piu’ avanti – prevede(va) solo il controllo (esterno) di legittimita’ sugli atti delle regioni, dei comuni, delle province e di altri enti locali, esercitato da un organo regionale costituito nei modi stabiliti dalla legge e non piu’ ad un organo statale. c) periodo intercorrente tra la legge n. 142/1990 e la legge n. 127/1997: la legge 142/1990 segna una svolta nel regime dei controlli nell’amministrazione locale. Con essa, infatti, viene soppresso il controllo di merito, viene ridotto fortemente il numero degli atti assoggettabili a controllo di legittimita’, viene consentito l’introduzione, da parte del singolo ente locale in sede statutaria, di forme di controllo economico interno della gestione.
La successiva legge n. 127/1997 ha mantenuto la tripartizione delle forme di controllo introdotta con la legge n. 142/’90 per cui, al controllo necessario, si aggiungono il controllo facoltativo, il controllo eventuale e quello sostitutivo, segnando, in ogni modo, un ulteriore e decisivo passo in avanti della riduzione dei controlli preventivi di legittimita’ sugli atti degli enti locali.
Infatti, gli atti assoggettabili a controllo obbligatorio – o necessario – sono ridotti a poche fattispecie, rappresentate solo da alcune deliberazioni di competenza consiliare, ovvero quelle aventi ad oggetto statuto, regolamenti – esclusi quelli relativi all’autonomia organizzativa e contabile dell’organo – bilancio di previsione e relative variazioni, e rendiconto della gestione, nonche’ sugli atti costituenti adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea.
Il controllo eventuale su richiesta di un determinato numero di consiglieri fissato dalla norma, introdotto dalla legge n. 142/1990, e’ trasformato in una sorta di controllo interno affidato ad un organo, il Difensore Civico, espressione degli stessi controllati e che, anche in presenza di vizi di legittimita’, non puo’ che limitarsi alla segnalazione all’ente locale, a fini di riesame dell’atto, restando salva la possibilita’ per l’ente di confermare l’atto illegittimo con deliberazione consiliare, con il solo onere di adottarla a maggioranza assoluta dei componenti.
Il controllo sostitutivo, introdotto con l’art. 17 della legge n. 127/97, riguarda l’ipotesi dell’Ente locale (Comune o Provincia) che, invitato a provvedere entro congruo termine, ritardi od ometta di compiere atti obbligatori per legge; in tal caso e’ prevista la nomina di un commissario ad acta, tenuto a provvedere in sostituzione del competente organo dell’Ente inadempiente. La nomina di tale commissario e’ affidata al Difensore Civico regionale e, in caso di mancata istituzione di quest’ultimo, la competenza e’ provvisoriamente attribuita al Comitato regionale di controllo (Co.Re.Co.).
Comunque, i pochissimi controlli che rimangono ancora in vita, subiscono un forte ridimensionamento circa l’oggetto del controllo e i contenuti, in nome dell’obiettivo della semplificazione e trasparenza dell’azione amministrativa.
Alla riduzione dei controlli di legittimita’ si ha, di contro, l’ingresso nella P.A. di altre tipologie di controlli, quelli interni, previsti dal D.Lvo n. 29/1993. Tale provvedimento legislativo prevede la rilevazione e l’analisi dei costi e dei rendimenti dell’attivita’ amministrativa, della gestione e delle decisioni organizzative attribuita ai dirigenti generali, nonche’ l’istituzione di nuclei di valutazione o servizi di controllo interno. I nuclei di valutazione rispondono direttamente ed esclusivamente agli organi di direzione politica; a loro e’ attribuita la competenza di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, e previa determinazione dei parametri di riferimento, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse, l’imparzialita’ dell’azione amministrativa, il buon andamento dell’azione amministrativa. Nelle Regioni a statuto speciale il controllo interno e’ demandato ad apposite Sezioni della Corte dei Conti con esclusione della Valle d’Aosta che ha invece una Commissione, mentre nelle amministrazioni statali e’ esercitato dalla Ragioneria dello Stato. d) periodo successivo al D.L.vo n. 286/1999: successivamente, e’ il Decreto Legislativo n. 286/1999 che contiene un’organica disciplina dei controlli interni nella P.A., la cui emanazione ha rappresentato il traguardo finale della disciplina dei controlli interni, rendendo piu’ chiare ed applicabili i numerosi dubbi interpretativi verificatosi durante la prima fase attuativa del sistema dei controlli interni. Tale decreto e’ caratterizzato da alcuni elementi generali: con esso, infatti, si separa l’attivita’ dell’amministrazione da quella dei soggetti che dovrebbero valutarla, mediante la costituzione di specifiche strutture di valutazione all’interno della stessa amministrazione, diverse pero’ da quelle che svolgono attivita’ amministrativa. Il compito di tali strutture e’ quello di concludere la propria attivita’ con una relazione periodica, inviata all’organo di direzione, in cui saranno esposte eventuali anomalie della gestione rilevate (errori, sprechi, irregolarita’ nella gestione, ecc.) proponendo, nel contempo, misure correttive che potranno diventare operative qualora l’organo di direzione le approvi adottando i necessari provvedimenti.Il suddetto D.Lvo n. 286 prevede quattro diverse categorie di controlli interni, nettamente distinti tra loro:1. controllo di regolarita’ amministrativa e contabile;2. controllo di gestione;3. valutazione della dirigenza;4. controllo strategico.Scopo di questi controlli e’ verificare non tanto la legittimita’ del singolo atto amministrativo quanto il conseguimento degli obiettivi indicati dagli organi di governo dell’ente da parte degli organi di gestione, attraverso un continuo monitoraggio del rapporto, anche in corso d’esercizio, tra costi e risultati.Il controllo interno di regolarita’ amministrativa e contabile assume una propria autonomia rispetto alle altre tre forme di controllo. La competenza per questi controlli e’ affidata ad organi appositamente previsti dagli ordinamenti delle singole amministrazioni. A titolo di semplificazione, l’art. 2 riporta gli organi di revisione, gli uffici di ragioneria, i servizi ispettivi. Il controllo di regolarita’ e’ volto all’accertamento della legittimita’, regolarita’ e correttezza dell’azione amministrativa; esso e’ generalmente affidato a soggetti che ne sono gia’ titolari, quali gli Uffici di Ragioneria, mediante lo strumento del visto. L’esercizio di questa attivita’ di controllo deve richiamarsi ai principi generali della revisione aziendale, poiche’ compatibile con la P.A. Viene chiarito che il controllo di regolarita’ amministrativa e contabile non comprende verifiche da effettuarsi in via preventiva se non nei casi previsti espressamente dalla legge e fatto salvo, in ogni caso, il principio secondo cui le definitive determinazioni in ordine all’efficacia dell’atto sono adottate dall’organo amministrativo responsabile, che e’ l’unico in grado di conferire efficacia all’atto. Per gli enti locali, i controlli di regolarita’ sono esercitati dal Responsabile del Servizio Finanziario, attraverso il sistema del visto, e dal Collegio dei Revisori dei Conti.Il controllo di gestione, a differenza di quello di regolarita’, e’ ispirato piu’ che a verificare la formale conformita’ degli atti dell’amministrazione alle leggi, ad analizzare il conseguimento degli obiettivi e dei risultati di una gestione attraverso parametri aziendalistici, verificando l’efficacia, l’efficienza e l’economicita’ dell’azione amministrativa al fine di rendere ottimale il rapporto costi/risultati. La struttura dedicata al controllo di gestione e’ costituita e riceve direttive dal dirigente al quale risponde e riferisce. Il controllo in questione si fonda sul principio di autonomia e responsabilita’ del dirigente, sicche’ l’organo di direzione politico-amministrativa non puo’ interferire nell’attivita’ di gestione, che ricomprende il potere di spesa, l’organizzazione, le procedure di lavoro, l’attivita’ di gestione del personale, le scelte tecniche; puo’ verificare, invece, se gli obiettivi posti dall’organo politico siano stati realizzati dal dirigente responsabile e se ci sia stato un ottimale utilizzo delle risorse.L’esito del controllo consiste nella redazione di relazioni per segnalare, al suddetto dirigente, gli aspetti critici che si evidenziano nell’unita’ organizzativa e le conseguenti proposte correttive. Nelle Amministrazioni dello Stato il controllo di gestione supporta la funzione dirigenziale e, le stesse amministrazioni, devono vigilare sugli adempimenti organizzativi spettanti ai dirigenti per rendere operative le relative strutture; il Presidente del Consiglio dei Ministri, da parte sua, stabilisce, con propria direttiva, aggiornabile periodicamente, i requisiti minimi cui deve rispondere il sistema di controllo di gestione.Per la valutazione della dirigenza, secondo la nuova normativa, la valutazione delle prestazioni del personale con qualifica dirigenziale diventa periodica e deve avere cadenza almeno annuale, anticipabile pero’ in caso di presumibili esiti negativi; essa e’ effettuata dal dirigente generale per i dirigenti di secondo livello e direttamente dal Ministro per i dirigenti preposti ai centri di responsabilita’, sulla base degli elementi forniti dal controllo strategico, e deve tener conto dei risultati conseguiti dall’attivita’ amministrativa, nonche’ dei comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane ed organizzative ad essi assegnate. In caso di valutazione negativa puo’ determinarsi la revoca dell’incarico del dirigente interessato. Il procedimento di valutazione deve ispirarsi a tre principi e cioe’: l’organo che effettua la valutazione deve conoscere direttamente l’attivita’ del valutato; le valutazioni fatte dall’organo preposto sono soggette ad un secondo grado di giudizio; il valutato deve poter partecipare al procedimento di valutazione che lo riguarda. Riguardo al controllo strategico, esso costituisce una vera e propria novita’ per la P. A. ed e’ strettamente legato all’attivita’ di programmazione strategica e d’indirizzo politico-amministrativo di cui costituisce il supporto fondamentale. Attraverso questa tipologia di controllo interno si vuole dare un giudizio complessivo, sintetico ed aggregato, sulla performance dell’intera organizzazione. Il controllo strategico e’ stato previsto ed istituito per valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in rapporto all’indirizzo politico; deve mettere in risalto la congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi predefiniti, seguendo il principio che la strategia scelta deve avere una stretta coerenza con le politiche adottate. Questa funzione presuppone, pero’, che gli obiettivi predefiniti ci siano e che i Gabinetti dei Ministeri, dove essi dovrebbero essere individuati, cambino struttura, divenendo la sede di elaborazione delle politiche pubbliche. Lo svolgimento di tale controllo, per le Amministrazioni dello Stato, e’ affidato all’apposito servizio di controllo interno, mentre, per le altre Amministrazioni spetta ad ognuna di essa individuare la struttura competente, purche’ sia mantenuta l’autonomia operativa. La struttura individuata coadiuva l’organo di indirizzo politico anche per la valutazione dei dirigenti ed e’ dotata di adeguata autonomia operativa, pur rispondendo agli organi di vertice. L’esito del controllo strategico consiste sia nella predisposizione di relazioni per segnalare all’organo di direzione politica le incongruenze e i fattori ostativi al raggiungimento degli obiettivi, le connesse responsabilita’ e i possibili rimedi, sia nel fornire gli elementi per valutare il personale dirigenziale di vertice, destinatario delle direttive ministeriali, che poi viene valutato direttamente dal Ministro stesso. Tale controllo supporta, quindi, tutta l’attivita’ di programmazione strategica e di indirizzo politico-amministrativo. In quanto fiduciari dell’organo di direzione, gli uffici di controllo strategico non possono dare direttive alle strutture di controllo di gestione che dipendono dal dirigente.In definitiva, in ordine alle distinzioni che connotano le quattro categorie di controlli interni, va aggiunto che nella progettazione del sistema dei controlli interni, le amministrazioni, secondo quanto previsto dal disposto normativo, devono rispettare i seguenti principi generali:1. distinzione tra controllo di gestione e controllo strategico: il controllo di gestione (insieme alla valutazione dei dirigenti) supporta la funzione dirigenziale mentre il controllo strategico supporta la funzione di indirizzo politico amministrativo e valuta i dirigenti di vertice dell’amministrazione;2. distinzione delle strutture preposte alla valutazione dei dirigenti e al controllo di gestione, ancorche’ l’attivita’ di valutazione utilizzi anche i risultati del controllo di gestione;3. integrazione del controllo di gestione: il controllo di gestione, il controllo strategico e la valutazione dei dirigenti devono essere esercitati in modo integrato;4. incompatibilita’ tra controlli di regolarita’ e controllo dei risultati: il controllo di legittimita’ e di regolarita’ amministrativa e contabile deve essere svolto da strutture diverse da quelle deputate alle altre funzioni di controllo e valutazioni.e) periodo successivo alla riforma del Titolo V – Parte II della Costituzione: con la legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione, sono stati abrogati gli articoli della Costituzione sui controlli di legittimita’ sugli atti delle regioni e degli enti locali, sul Commissario di Governo e sulle circoscrizioni di decentramento amministrativo statale in periferia. In particolare, gli effetti prodotti da tale legge sono:1. per quanto riguarda i controlli sulle regioni, l’abrogazione dell’art. 124 della Costituzione priva di fondamento costituzionale la presenza del Commissario di Governo, per il visto sulle leggi regionali ed il controllo sugli atti amministrativi;2. per quanto riguarda i controlli sugli enti locali, l’abrogazione dell’art. 130 della Costituzione priva di legittimita’ costituzionale tutte le disposizioni che disciplinano i controlli sugli enti locali, eliminando le norme del Decreto L.vo n. 267/2000 dedicate ai controlli dei Co.Re.Co., con particolare riferimento al controllo preventivo di legittimita’ (necessario od eventuale), nonche’ tutte le altre leggi regionali riguardanti gli organi di controllo, nelle parti volte a fissare modalita’ e termini per l’esercizio del controllo.E’ necessario precisare che restano in vigore, invece, le disposizioni sui Co.Re.Co. contenute sia nel T.U. 267/2000 che nelle leggi regionali, i quali possono continuare a svolgere le funzioni previste dalla normativa vigente, ad esempio in tema di consulenza alle amministrazioni locali. Di tutta la normativa sopra illustrata, riguardante i controlli, il principio base assolutamente inderogabile e’ quello previsto dall’art. 3 del decreto legislativo n. 29/93, in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, gia’ riportato nel decreto legislativo n. 265/ 1999, ossia la distinzione tra potere di indirizzo e potere di gestione. Gli altri sono principi generali che hanno una diversa valenza per le varie amministrazioni: sono obbligatori per i Ministeri, applicabili alle Regioni, nell’ambito della propria autonomia organizzativa e legislativa, e derogabili da parte di altre amministrazioni, ma sempre nel rispetto del principio di distinzione tra politica ed amministrazione.
In particolare, gli enti locali possono adeguare le normative regolamentari alle disposizioni del decreto, ma possono anche non farlo. Le Regioni a statuto speciale provvedono alle finalita’ del decreto nell’ambito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti e relative norme di attuazione (art. 10 del D.L.vo 286/99).
Gli enti locali devono conformare il proprio ordinamento ai principi dettati dal decreto; tuttavia possono derogarne le modalita’, nonche’ i criteri fissati dall’art. 1, comma 2; infatti, i regolamenti di ogni ente possono disciplinare l’istituto dei controlli con una certa autonomia, nel rispetto del principio generale di separazione politica e gestionale, prevedendo, finanche, l’istituzione di un unico organismo cui affidare sia il controllo di gestione, sia quello strategico che compiti di valutazione, con esclusione della funzione di controllo di regolarita’ amministrativa e contabile.
Dallo stesso D.L.vo n. 286 e’ prevista la possibilita’ di costituire convenzioni con altri comuni o con le province.
Per gli enti locali, il problema dell’introduzione del controllo di gestione e’ stato affrontato in maniera specifica dal D.L.vo n. 77/1995, e trasfuso, poi, nel D.L.vo n. 267/2000.
Per gli enti di grandi dimensioni non si riscontrano grandi difficolta’ nel dare corso all’attuazione dei controlli interni e alla contabilita’ economica; anzi essi sono in genere meglio predisposti a recepire gli orientamenti della riforma; difficolta’, invece, possono verificarsi per i piccoli comuni, data la carenza di strutture idonee a porre in essere i nuovi istituti. Per tale disomogeneita’ il legislatore per gli enti locali ha previsto un regime caratterizzato da una maggiore flessibilita’, cosi’ come sopra richiamato, con l’art. 10 dello stesso D.L.vo n. 286/99.Quanto allo stato di attuazione delle riforme sui controlli interni, la situazione dei comuni e’ molto variegata, in quanto esistono alcuni che esercitano gia’ il controllo di gestione ed hanno anche previsto un controllo di supporto ai vertici politici, altri che hanno istituito un “nucleo di valutazione” per i soli dirigenti, senza prevedere diverse forme di controllo, e altri ancora che si sono limitati a prevedere o soltanto il controllo di gestione o soltanto l’attivita’ di supporto al vertice politico.

Al controllo interno di gestione fa riscontro un potere esterno di intervento attribuito dalla legge n. 20/1994 alla Corte dei Conti, la quale esercita, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle Amministrazioni pubbliche, nonche’ sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimita’ e la regolarita’ delle gestioni, nonche’ il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione.
La stessa Corte dei Conti, inoltre, accerta, anche in base all’esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell’attivita’ amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa.
Detto controllo sull’attivita’ sfocia, oltre che in un referto almeno annuale al Parlamento, in relazioni che vengono inviate alle amministrazioni interessate, alla quale la C.d.C. formula in qualsiasi momento le proprie osservazioni. Le amministrazioni, a loro volta comunicano alla Corte le misure conseguenzialmente adottate.
La Corte dei Conti e’ l’unico organo di controllo a competenza generale su tutte le pubbliche Amministrazioni; tale carattere le deriva dal non essere inserito nella pubblica amministrazione e dal non essere a questa assimilabile.
Di qui la natura di controllore esterno, da cui deriva la vera garanzia di indipendenza e quindi di obiettivita’ che nessun tipo di controllo interno puo’ dare e che e’ indispensabile affinche’ il controllo possa porsi a garanzia del cittadino contribuente e quale contrappeso ai poteri dell’amministrazione, attraverso la verifica puntuale dei risultati.
In definitiva, il controllo della Corte dei Conti esamina i risultati gia’ conseguiti da una gestione al fine di confrontarli con gli obiettivi assegnati dal Parlamento e di valutarli in termini di efficacia, efficienza ed economicita’. L’accertamento dei risultati e’ indispensabile, essendo questi ultimi frutto di attivita’ poste in essere con denaro pubblico prelevato ai cittadini attraverso lo strumento fiscale.
Per quanto riguarda i parametri indicatori del controllo di gestione, la Corte dei Conti non procede arbitrariamente, ma si riferisce a criteri tecnico-scientifici; alla scienza aziendalistica, statistica ed economica e si avvale delle analisi compiute dai Servizi di controllo interno.
L’efficacia e’ uno dei parametri usato piu’ frequentemente dalla C.d.C. nelle proprie valutazioni, poiche’ essa ha il pregio di una maggiore obiettivita’ parametrica. Tale parametro consente analisi anche su gestioni incomplete o segmenti di una gestione, permettendo di formulare valutazioni negative ed incisivi referti di fronte ai frequenti ritardi dell’amministrazione nella realizzazione di programmi strategici o nella mancata determinazione degli obiettivi.
Il controllo di efficienza (quale raffronto tra mezzi impiegati e risultati conseguiti) presenta, nell’ambito amministrativo, carattere di indeterminatezza, in considerazione delle innumerevoli variabili di tipo burocratico e sociale, difficilmente riducibili a parametro aziendale.
Il concetto dell’economicita’ puo’ avere un significato piu’ generale, afferente ad ogni aspetto di sproporzione tra mezzi impiegati e risultato ottenuto, ed uno piu’ specifico, collegato al costo dei beni e dei servizi, impiegati dall’amministrazione. [B. Nico].

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