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BREVETTI: Le invenzioni ai pubblici ricercatori

23 Luglio 2002 Commenta

Con la legge 18 ottobre 2001 n. 383 “Primi interventi per il rilancio dell’economia”, il Parlamento italiano, attuando il cd. pacchetto dei cento giorni, ha innovato la disciplina delle invenzioni d’azienda rispetto ai dipendenti pubblici, riconoscendo loro la titolarita’ esclusiva dei diritti derivanti dalle loro invenzioni brevettabili.

Pisa – La disciplina delle invenzioni brevettabili, realizzate nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, e’ contenuta negli art. 23 e 24 del r.d. 1127/39. In particolare l’art. 23 comma 1 disciplina l’ipotesi della cd. invenzione di servizio, ossia l’invenzione realizzata “nel corso o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, in cui l’attivita’ inventiva e’ prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita”, mentre il comma 2 riguarda l’ipotesi della cd. invenzione d’azienda, ossia l’invenzione realizzata pur sempre “nel corso o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego”, ma “non e’ prevista o stabilita una retribuzione in compenso dell’attivita’ inventiva”. In entrambi i casi, i diritti patrimoniali derivanti dall’invenzione appartengono in modo immediato e diretto al datore di lavoro, mentre il cd. diritto morale e’ riservato al prestatore di lavoro.

La tutela di quest’ultimo diritto non puo’ estendersi fino a riconoscere all’inventore un “diritto” a veder brevettato il proprio trovato da parte del datore di lavoro, il quale resta libero di scegliere tra brevettazione e segreto. Al lavoratore/inventore compete, inoltre, nel caso di invenzione d’azienda, il diritto ad un equo premio, diritto che sorge nel momento stesso in cui l’invenzione viene ad esistenza, indipendentemente dalla decisione del datore di lavoro di non brevettare o di non utilizzare in alcun modo il trovato e che deve essere commisurato all’importanza dell’invenzione. L’art. 24 si riferisce, invece, alle invenzioni cd. occasionali, ossia alle invenzioni “conseguite del tutto al di fuori della prestazione lavorativa, per iniziativa propria del dipendente, senza che fossero prevedibili nemmeno in via di mera possibilita’, quantunque l’inventore si sia avvalso dei mezzi dell’azienda e dell’esperienza acquisita nel suo normale lavoro” (Corte di Cassazione ).

In questi casi tutti i diritti derivanti dall’invenzione, e non solo il diritto morale, spettano al dipendente/inventore, il quale, pero’, ha l’obbligo di comunicare al datore di lavoro il conseguimento dell’invenzione, di non utilizzarla in proprio ne’ di disporne a favore di terzi finche’ il datore di lavoro non ha rinunciato, in modo espresso o tacito, alla prelazione e a non divulgarla. Il diritto di prelazione riconosciuto dalla norma al datore di lavoro non e’ una prelazione in senso tecnico, ma piuttosto un’opzione ex lege, in quanto il datore di lavoro ha il diritto di ottenere il trasferimento a proprio favore dello sfruttamento economico dell’invenzione a prescindere dalla volonta’ dell’inventore, che potrebbe anche voler sfruttare in proprio il trovato. Unico limite all’esercizio di tale diritto e’ di natura temporale: il datore di lavoro, infatti, puo’ esercitare tale prelazione entro tre mesi dalla comunicazione del conseguimento del brevetto.

Il dipendente/inventore ha, quindi, solo il diritto ad un compenso (canone o prezzo) corrispondente al valore obiettivo di mercato del diritto di brevetto, dedotta una somma pari al valore degli “aiuti” che egli ha ricevuto dal datore di lavoro. Questo assetto normativo e’ stato modificato dalla legge 283/01 con riguardo alle invenzioni realizzate dai pubblici ricercatori, ossia dai dipendenti di universita’ o di pubbliche amministrazioni aventi finalita’ di ricerca. L’art. 7 comma 1 lett. b) della suddetta legge ha, infatti, disposto l’inserimento nel r.d. 1127/39 dell’art. 24bis, ai sensi del quale, in deroga a quanto previsto dall’art. 23 del suddetto regio decreto e dall’art. 34 del testo unico delle disposizioni concernenti gli impiegati civili dello Stato, i diritti derivanti dall’invenzione brevettabile spettano in via esclusiva al ricercatore in qualita’ di autore del trovato. A differenza che in passato, quindi, e’ il ricercatore il titolare del diritto al brevetto: spetta, dunque, a quest’ultimo presentare la relativa domanda di registrazione, mentre la pubblica amministrazione interessata deve esserne semplicemente informata.

L’altra novita’ degna di rilievo e’ quella relativa alla determinazione del compenso spettante all’autore. L’art. 24bis comma 3 stabilisce, infatti, che “in ogni caso l’inventore ha diritto a non meno del 50 per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione” derivanti da licenze a terzi, mentre le universita’ e le pubbliche amministrazioni possono stabilire l’importo massimo del canone loro spettante per lo sfruttamento industriale dell’invenzione: in caso contrario compete loro il 30 per cento di tali canoni o proventi.

Qualora l’inventore o i suoi aventi causa non provvedano volontariamente ad iniziare lo sfruttamento industriale dell’invenzione entro 5 anni dalla data di rilascio del brevetto, la pubblica amministrazione, datore di lavoro del ricercatore al momento dell’invenzione, acquisisce automaticamente un diritto gratuito, ma non esclusivo, di sfruttare o di far sfruttare a terzi l’invenzione e i diritti patrimoniali connessi, fermo restando il diritto dell’inventore ad esserne riconosciuto autore.
Questa normativa, per espressa disposizione di legge, si applica esclusivamente alle invenzioni conseguite dopo l’entrata in vigore della presente legge, ossia il 25 ottobre 2001, anche se avviate in epoca anteriore.

A parte le eventuali questioni di legittimita’ costituzionale sulla disparita’ di trattamento tra ricercatori pubblici e privati, la norma in esame solleva alcuni interrogativi: innanzitutto il fatto che il ricercatore non abbia alcun potere sull’entita’ del premio spettante all’universita’ ne’ sui rapporti con gli eventuali finanziatori privati ed inoltre il fatto che tale norma abbia, almeno prima facie, natura dispositiva, cosi’ che il precedente regime potrebbe essere restaurato per via contrattuale e preventiva tra universita’ e ricercatore.

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