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EDITORIAL: Il matrimonio tra cattolici e musulmani; Direttive pastorali per i cristiani e le chiese in Europa. La prassi rigorosa (aggiornamento)

10 Luglio 2002 Commenta

Il discorso fin qui condotto, sia pure caratterizzato da obbligate sintesi dei riporti testuali, ci e’ sembrato una ineludibile premessa, senza la quale la questione che attiene al matrimonio tra cattolici e musulmani non potrebbe essere intesa nella complessita’ dei problemi dalla stessa indotti. Di siffatta complessita’, del resto, prende atto il Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae ( CCEE ) che in un recente documento, chiaramente ispirato ad una visione ecumenica, decisamente sottolineata nel rapporto tra cristiani e musulmani, evidenzia la preoccupazione pastorale dei Vescovi d’Europa, i quali in tal senso indicano “Direttive” a che i matrimoni tra cristiani e musulmani trovino una corretta collocazione soprattutto nella responsabile coscientizzazione del problema da parte dei cattolici.

I vescovi premettono che “entro l’ambito limitato di una breve pubblicazione non e’ possibile descrivere la grande varieta’ religiosa, culturale e nazionale di musulmani e cristiani che un ministro puo’ incontrare nei propri contatti pastorali” e, considerato che “il numero totale dei musulmani che vivono in Europa viene stimato all’incirca tra i 20 e i 24 milioni, questo significa che i matrimoni tra uomini musulmani e donne cristiane, o donne musulmane e uomini cristiani sono diventati una componente normale di vita in Europa, nonostante i moniti contro questo matrimonio, o addirittura un atteggiamento di rigetto o di rifiuto da parte di varie chiese.

I matrimoni che coinvolgono partners di fede diversa sono diventati una realta’, che gli operatori pastorali devono tenere in considerazione” e, atteso che “molti di tali matrimoni sono soggetti al diritto privato internazionale, quando coinvolgono persone di nazionalita’ diverse, ciascun partner e’ soggetto alle leggi riguardanti lo status particolare del proprio Paese. In tal caso la coppia deve prendere decisioni non solo riguardo alla propria vita, ma anche riguardo al proprio luogo di residenza e alla nazionalita’ dei figli”, non disattendendo che “ci sono coloro che vogliono vivere come musulmani in un contesto europeo e fare quindi della garanzia di liberta’ religiosa la base per l’introduzione del diritto familiare islamico tradizionale”.  Di qui la necessita’ di una riproposizione della visione cristiana del matrimonio e in specie del matrimonio nelle chiese ortodosse, di una piu’ chiara sottolineatura del matrimonio cattolico, e quindi dell’idea anglicana del matrimonio e in genere della visione protestante del matrimonio. A fronte di siffatta visione, sia pure diversificata tra mondo cattolico e mondo protestante, si pongono la concezione della famiglia e del matrimonio nell’islam, e percio’ la specificita’ del contratto matrimoniale islamico, le prescrizioni della legge islamica riguardanti matrimoni tra musulmani e non musulmani, le differenze legislative tra gli stessi Paesi musulmani.

Nella seconda parte del documento i Vescovi europei si soffermano sul compito ministeriale in generale, sulla responsabilita’ delle chiese, sul contesto di riferimento, suggerendo quindi ben cinque fasi nella consulenza e nella cura pastorale. Nella fase del primo contatto, e’ necessario, secondo i Vescovi, che si presti una giusta attenzione ad  entrambe le parti e in tal senso “e’ consigliabile incontrare la parte cristiana da sola alla prima occasione. Se la parte musulmana lo desidera, dovrebbe avere la possibilita’ di incontrare il ministro in separata sede..; durante questi primi colloqui, alla coppia si potrebbe chiedere… che cosa hanno in comune? Quant’e’ ampia la loro base comune? Che cosa si aspettano dal loro matrimonio? Queste aspettative sono davvero abbastanza simili?”, cosi’ come “e’ anche importante sapere come l’uno vive e sperimenta la propria religione rispetto alla parte di un’altra religione…e quando e’ possibile, la donna dovrebbe cercare di visitare il paese d’origine del proprio fidanzato, ma non da turista, allo scopo di conoscere come uomini e donne vivono in quel tipo di societa’, e come mariti e mogli vivono la loro vita coniugale..; nei casi in cui l’uomo e’ un profugo che chiede asilo politico o un immigrato che viene da un paese che permette la poligamia, diventa assolutamente necessario venire a sapere se non e’ gia’ sposato..; la bigamia e’ proibita ed e’ un grave crimine nella maggior parte dei paesi europei”.

Passando quindi alla fase decisionale, si fanno necessarie alcune domande determinanti, cosi’ che “si dovrebbe porre in maniera diretta o almeno allusiva la domanda se l’uomo cristiano o la donna cristiana interessati credono di poter mantenere la propria liberta’ cristiana, oppure se pensano che il loro matrimonio interreligioso portera’ ad una inaccettabile riduzione di questa liberta’. La ragazza puo’, per esempio, rassegnarsi all’idea che i suoi figli saranno educati come musulmani? Questo sembra inevitabile nella maggior parte dei casi, anche quando il marito musulmano e’ d’accordo sul fatto che i suoi figli possano ricevere una qualche educazione religiosa riguardante il credo cristiano”.

Per quanto attiene alla fase preparatoria, cioe’ “quando la questione e’ decisa e la coppia non vuole essere esaminata ulteriormente ne’ i due vogliono che venga loro ricordata la loro insicurezza personale, il ministro dovrebbe solo continuare a porre le domande che possono essere considerate appropriate e costruttive per un buon matrimonio..; la domada centrale di questa terza fase resta:” Perche’ la coppia, o in prima istanza la ragazza, vuole una cerimonia religiosa?”. Rimane  possibile naturalmente che dopo un lungo ed esauriente colloquio il ministro sconsigli vivamente tale cerimonia e suggerisca di optare per un matrimonio solo civile; tuttavia la sua responsabilita’ pastorale non finisce qui. La donna di solito vuole un matrimonio in chiesa per mostrare alla propria famiglia, a suo marito e ai parenti di lui di prendere sul serio la propria fede. In questo modo puo’ anche, inconsciamente, cercare di prevenire qualsiasi tentativo da parte della famiglia di lui di indurla a convertirsi all’islamismo. La parte musulmana naturalmente dovrebbe acconsentire a tale cerimonia religiosa. E’ importante sapere  che cosa pensano i genitori e i parenti di lui di questo matrimonio, se lo rifiutano o lo accolgono volentieri”.

Il documento si sofferma quindi sulle possibilita’ di una celebrazione del matrimonio in chiesa, ricordando che “la parte cattolica ha bisogno di una dispensa per poter celebrare un matrimonio interreligioso” e che ” una volta che e’ stata concessa la dispensa, si aprono due possibilita’: a) una cerimonia nuziale, usando la forma canonica…b) una cerimonia nuziale con una dispensa di forma..; alcune Conferenze episcopali richiedono una dichiarazione di intenzione delle due parti, che viene letta in chiesa prima che esse pronuncino le loro promesse solenni. Questa dichiarazione puo’ includere la loro intenzione di restare monogami, fedeli fino alla morte e la loro volonta’ di informare i loro figli riguardo alla fede cristiana, il permesso per la parte cristiana di continuare ad andare in chiesa, ecc.”; in tal senso “sono stati raccolti dai servizi liturgici che hanno avuto luogo nella Chiesa cattolica e nelle chiese riformate degli elementi che vengono proposti…solo come suggerimenti. Per tutti gli elementi e per ciascuno di essi la coppia deve naturalmente esprimere il proprio consenso”; tra questi elementi si indicano: letture della Bibbia “in parte combinate con appropriate letture del Corano”, salmi e inni della tradizione cristiana e anche poemi e brani musicali della tradizione musulmana, preghiere e benedizioni di entrambe le tradizioni, promesse matrimoniali e una dichiarazione di intenzioni, dono della Bibbia e del Corano. Resta il problema della educazione dei figli; per i Vescovi d’Europa “i coniugi possono riuscire a educare i propri figli nel rispetto per le due religioni dei loro genitori”; a tal proposito “la madre cerchera’ di dare esempio di vita cristiana e di trasmettere le norme di vita e i valori cristiani ai propri figli anche quando un modo piu’ formale di insegnare il cristianesimo non e’ possibile”. I Vescovi europei concludono, ricordando che “la cosa piu’ importante per qualsiasi matrimonio, compresi naturalmente quelli tra cristiani e musulmani, e’ l’amore”, ma “l’amore non dovrebbe essere cieco se si pensa che debba portare alla felicita’” e percio’ auspicando che sia “possibile fare un confronto con alcune famiglie musulmano-cristiane e sperare che esse possano aprire la strada e diventare un modello per gli sviluppi futuri nei rapporti cristiano-musulmani”.
Il Consiglio Episcopale  Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, intervenendo “sulla delicata questione dei matrimoni tra cattolici e musulmani”, ha chiarito che “e’ convinzione comune che l’atteggiamento da tenere nei confronti dei musulmani debba rifuggire sia dagli ingenui irenismi – che sottovalutano le difficolta’ del dialogo e le differenze di concezioni religiose, regole e costumi – sia dagli eccessivi allarmismi di fronte alle spinte propagandistiche dell’islam”, cosi’ che “sembra opportuno al Consiglio Permanente che le diocesi abbiano almeno una persona, esperta di cultura islamica e di lingua araba, per avviare un rapporto piu’ solido e continuativo con i musulmani” e, cionondimeno, “sui matrimoni fra cattolici e musulmani prevale l’orientamento che si debba comunque seguire una prassi rigorosa, valutando caso per caso se sussistono le condizioni per concedere la dispensa per la celebrazione del matrimonio”.

Sulla questione e’ intervenuto Giuseppe De Rosa, per ribadire l’opportunita’ di siffatta <prassi rigorosa>”, sottolineando per l’occasione che “la concezione del matrimonio e il posto della donna nella religione e nella cultura islamica sono <radicalmente> diversi, se non opposti, alla concezione del matrimonio e al posto della donna nel cristianesimo e nella cultura occidentale, da questo direttamente o indirettamente plasmata”, atteso che secondo il Corano e la Sunnah, rispetto alla donna <gli uomini sono un gradino piu’ in alto ( Corano, s. 2,228 ) >, cosi’ che < gli uomini sono preposti alle donne, perche’ Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perche’ essi donano dei loro beni per mantenerle; le donne buone sono dunque devote a Dio..; quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele> ( Corano,s. 4, 34 ). Siffatta inferiorita’ della donna rispetto all’uomo, scrive G. De Rosa, “appare nella poligamia e nella divisione dell’eredita’…e, piu’ in generale, nel matrimonio e nel suo scioglimento”. In effetti, “a differenza del matrimonio cristiano, quello islamico non solo non e’ sacramentale – i sacramenti non esistono nell’islam, il quale interpreta i sacramenti cristiani come <magia blasfema> – ma non e’ neppure una realta’ sacra e divina”, caratterizzandosi, invece, come contratto, “in virtu’ del quale il marito acquista diritti durevoli sulla donna in cambio del pagamento del mahr ( al padre di essa ) e di certi obblighi”, cosi’ che “la donna rimane soggetta all’autorita’ del marito, non puo’ uscire di casa senza il suo permesso, ne’ mostrarsi in pubblico senza velo, ne’ ricevere visite di maschi, salvo i parenti prossimi..; soltanto al padre spetta la patria potesta’(wila’ya) sopra i figli, che egli deve correggere, educare e mantenere finche’ il figlio e’ impubere e finche’ la figlia non si sposa”. Il Corano, inoltre, ammette la poligamia e lo scioglimento del matrimonio e, per quanto riguarda i figli, questi devono seguire la religione del padre”, al punto che “se il padre e’ musulmano, i figli devono essere necessariamente musulmani”. Risulta quindi praticamente impossibile, conclude G. De Rosa, “per la sposa cristiana mantenere l’impegno che ha preso quando ha chiesto e ottenuto la dispensa dalla <disparita’ di culto>, quando cioe’ ha promesso <sinceramente di fare tutto il possibile perche’ tutti i figli siano battezzati e educati nella Chiesa Cattolica>. In realta’, se il marito e’ un musulmano convinto e sincero, non potra’ mai permettere che i suoi figli siano battezzati e educati cristianamente..; d’altra parte, e’ ben difficile che si possa osservare anche la terza condizione necessaria per ottenere la dispensa: che nessuno dei due contraenti escluda le proprieta’ essenziali del matrimonio, quali sono l’unicita’, l’indissolubilita’ e la fedelta’; il matrimonio musulmano non conosce queste proprieta’, poiche’ ammette la poligamia, il ripudio-divorzio e la possibilita’ per il marito di avere, oltre le quattro mogli, altre concubine”. Se ne evince, secondo G. De Rosa, che “una prassi rigorosa nel concedere la dispensa dalla <disparita’ di culto> sembra assolutamente necessaria”.

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