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EDITORIAL: Il matrimonio tra cattolici e musulmani; Il diritto di famiglia nei Paesi islamici (aggiornamento)

8 Luglio 2002 Commenta

Alla focalizzazione del problema che attiene al matrimonio tra musulmani e cattolici occorre premettere una panoramica sul diritto di famiglia, proprio di alcuni Paesi islamici. E cio’ anche al fine di evitare la concessione di facili dispense dall’impedimento della disparitas cultus, ove la conflittualita’ di un tale diritto con la normativa canonica si appalesi con evidenza, li’ dove, non emergendo simile conflittualita’, anche attesa la laicita’ dei comportamenti, non ostativi, comunque, alle proprieta’ e all’essenza del matrimonio canonico, la stessa dispensa si avvarrebbe del supporto di significative cautiones ai fini della salvaguardia del convictus coniugalis.

A tale esigenza viene incontro una recente pubblicazione a cura di Roberta Aluffi Beck-Peccoz, per conto delle Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli.
Anche in questa circostanza riporteremo ampi stralci del “Dossier”, e cio’ per una personale strutturazione compilativa del presente studio-ricerca che, per un verso, rende piu’ agevole la lettura-ricerca e, per altro, da’ il senso esatto e corretto della stessa ricerca, riedizionandosi quest’ultima in una occasione favorevole per attivare confronti, discussioni e auspicabili soluzioni del problema in questione.

Gia’ in Premessa, l’autrice sottolinea che “la scienza giuridica occupa un posto centrale nel pensiero islamico, e le regole sul matrimonio e sull’organizzazione della famiglia costituiscono agli occhi dei musulmani il nucleo piu’ intimo e irrinunciabile del diritto basato sul Corano”, cosi’ che “i testi legislativi…ovvero le leggi in materia di famiglia…vigenti nei Paesi del Nord-Africa forniscono…una chiave di accesso privilegiata alla comprensione dell’universo culturale islamico”, giacche’ “essi sono il frutto piu’ recente di quell’antica e autonoma tradizione giuridica che l’Islam ha sviluppato nel proprio seno”. E cio’ perche’ “si distingue con chiarezza l’appartenenza di tutti i testi a un comune orizzonte giuridico-culturale, caratterizzato da proprie concezioni circa i rapporti tra membri della famiglia e tra uomo e donna. Ma al tempo stesso non sfugge la varieta’ delle risposte che i legislatori hanno riservato alla sfide poste dalla modernita’, sviluppando varianti <statali> del diritto musulmano del tutto sconosciute in passato”. La cosa risulta di estremo interesse per quel che ci riguarda, dal momento che “le questioni poste dall’inserimento nella societa’ italiana delle famiglie di immigrati si moltiplicano, i matrimoni misti si fanno piu’ frequenti; diventa dunque una questione ineludibile conoscere e avere a disposizione le leggi in materia di famiglia dei Paesi d’origine degli immigrati per poter gestire le nuove situazioni”.  L’interesse, ovviamente, se attiene all’ordinamento giuridico italiano, a fortiori coinvolge anche la normativa canonica, atteso lo status di civis-christifidelis, comune alla stragrande maggioranza della popolazione italiana.

L’introduzione dell’opera si apprezza per i contenuti chiaramente illustrativi dei testi di legge, a partire dai concetti chiave che correlano il rapporto tra “lo statuto personale nei Paesi del Nord-Africa e il diritto islamico”; si sottolinea che “mentre la codificazione civile e’ stata realizzata sotto l’influenza determinante dei modelli europei, il diritto di famiglia e dello statuto personale affonda le proprie radici nel diritto dell’islam, la Shar’i’a, riformulata in codici e leggi dai diversi Stati arabi durante l’ultimo secolo”. Ne consegue che “lo statuto personale e’…una partizione caratteristica dei sistemi giuridici arabi, e piu’ in generale islamici, che si e’ definita storicamente come l’ambito di massima resistenza opposta dal diritto musulmano ai progetti di modernizzazione, di occidentalizzazione e di riforma giudiziaria e sostanziale. Vi sono ricomprese quelle materie rispetto alla quali la Shar’i’a non ha mai cessato di pretendere effettiva applicazione. L’origine sciaraitica e’ dunque cio’ che separa, all’interno di ogni singolo ordinamento, le regole dello statuto personale dalle regole civilistiche ed e’ al contempo cio’ che accomuna, attraverso i confini degli Stati, le regole in materia famigliare e successoria”.

Trattando del diritto islamico della famiglia, in specie, si chiarisce che “per il diritto musulmano, il matrimonio e’ un contratto. L’Islam non conosce il concetto teologico di sacramento, caratteristico del cristianesimo. Come ogni altro contratto, il matrimonio e’ concluso con il consenso delle parti contrattanti. Le parti del contratto non coincidono tuttavia necessariamente con gli sposi. Occorre considerare innanzi tutto che, secondo la Shar’i’a, ogni persona puo’ essere titolare del rapporto matrimoniale, anche il bambino appena nato. Se l’individuo, a causa dell’eta’ immatura, non e’ in grado di decidere e di concludere il matrimonio, qualcuno lo fara’ per lui: il tutore matrimoniale ( wali’ ), che normalmente e’ il padre. Nei matrimoni precoci la volonta’ matrimoniale e’ del tutore, che quindi esercita il potere di costrizione matrimoniale ( igba’r ). Tale potere cessa quando l’individuo ad esso sottoposto raggiunge la puberta’. Fa eccezione, secondo i malikiti, la donna vergine. La verginita’, allo stesso modo della giovane eta’, implica poca conoscenza della vita e giustifica il prolungarsi del potere di costrizione del tutore. La questione della formazione della volonta’ matrimoniale si intreccia con quella della sua manifestazione. La donna, anche se non soggetta al potere di costrizione, non puo’ di norma concludere direttamente il matrimonio: soltanto gli hanafiti ammettono che la femmina libera, pubere e sana di mente sia parte del contratto. L’intervento del tutore resta dunque necessario ed e’ facile comprendere come nei fatti il wali’ finisca per guidare, o almeno partecipare alla scelta della donna. Cio’ d’altra parte non stupisce, se si considera che il matrimonio e’ inteso dal diritto islamico, oltre che come l’unione di due vite, come alleanza tra due famiglie”, ma e’ da rilevare che “le moderne riforme eliminano il fenomeno dei matrimoni precoci, fissando un’eta’ matrimoniale minima. Proibiscono al tutore di costringere la donna al matrimonio. Non sempre, tuttavia, la donna e’ ammessa alla diretta conclusione del contratto”.

Per quanto attiene al raffronto tra gli impedimenti matrimoniali islamici e quelli del nostro ordinamento giuridico, e di quello canonico in particolare, e’ da sottolineare che “nei matrimoni misti, accordi particolari circa l’educazione religiosa della prole, in contrasto con il principio per cui i figli devono essere educati nella religione paterna, sono destinati a essere considerati nulli”; altro impedimento al matrimonio e’ nel divieto per cui “la donna musulmana non puo’ sposare il non musulmano; il musulmano viceversa puo’ sposare la non musulmana, purche’ si tratti di una donna appartenente alle religioni del Libro, cioe’ una cristiana o un’ebrea. Questo impedimento ha diretta base coranica ed e’ considerato insormontabile anche da gran parte del pensiero riformista..; la differenza di fede che costitisce impedimento e’ rilevante anche se, anziche’ sussistere al momento del matrimonio, sopravviene in seguito. Se, ad esempio, nel matrimonio tra due non musulmani, la donna si converte all’islam, l’uomo e’ invitato a seguirla. Se non lo fa, il matrimonio si intende sciolto”.

Per quanto attiene alla poligamia, e’ da rilevare che il matrimonio musulmano e’ poligamico, o meglio poliginico, nel senso che l’uomo puo’ avere fino a quattro mogli contemporaneamente, ma “il Corano gli fa pero’ l’obbligo di trattarle con giustizia ( IV,3 )”; senonche’, dal momento che secondo lo stesso Corano ( IV, 129 ) “l’uomo, pur desiderandolo, non e’ capace di agire con equita’ nei confronti delle proprie mogli..,se ne deduce che il matrimonio poligamico e’ nella normalita’ dei casi virtualmente proibito. Su questa nuova interpretazione del testo coranico fanno leva i diversi legislatori per introdurre misure di dissuasione e di controllo piu’ o meno penetrante circa la conclusione dei matrimoni poligamici”. Il rapporto tra marito e moglie e’ contrassegnato dalla preminenza dell’uomo, cosi’ che “la donna deve mettersi a sua disposizione e prestargli obbedienza..; il marito puo’ provocare la fine del matrimonio con una semplice dichiarazione di ripudio. Non occorre che tale dichiarazione sia motivata, ne’ che la donna sia presente ad essa o che ne sia informata. Non occorre neppure che sia l’uomo personalmente a dare ripudio, potendo darne mandato a chiunque”, ma “i legislatori attuali si sforzano in vario modo di controllare e limitare il ricorso al ripudio, che per sua natura rende la vita coniugale instabile e insicura. Lo sottopongono ad autorizzazione o controllo del giudice, sottraendolo alla sfera privata dell’uomo; cercano di coinvolgere la moglie, o quanto meno di garantire che essa ne sia informata; prevedono che l’uomo, che da’ ripudio arbitrario o che con il ripudio cagiona un pregiudizio alla donna, sia costretto a versarle un dono di consolazione. Mentre il marito ha il potere illimitato di ripudiare la moglie, alla donna, che non riesce a ottenere dal marito il ripudio dietro versamento di un corrispettivo ( hul’ ), non resta che ricorrere al giudice per chiedere il divorzio. La radicale disparita’ dei coniugi si manifesta dunque con evidenza anche in materia di scioglimento volontario del matrimonio”.

Circa i diritti e doveri verso i figli, “i ruoli svolti dal padre e dalla madre nella crescita dei figli sono distinti con precisione. Al padre spetta in esclusiva il potere di prendere le decisioni relative all’educazione del figlio, alla sua istruzione, all’avviamento al lavoro, al matrimonio e all’amministrazione dei suoi beni. Egli e’ il rappresentante legale del minore. Tutti questi sono aspetti particolari della Wila’ya, la potesta’ paterna. In assenza del padre, il posto e’ preso da un agnato o dal tutore nominato nel testamento ( Wasi’ ). Se mancano sia gli agnati, sia il tutore testamentario, il giudice provvede alla nomina di un rappresentante del minore ( muqaddam ).  La madre deve invece custodire, sorvegliare e curare il figlio: cio’ costituisce il contenuto della hada’na o custodia del bambino. La custodia e’ considerata un compito squisitamente femminile; in caso di assenza o incapacita’ della madre, e’ una parente femmina, generalmente dal lato materno, a sostituirla. Se il matrimonio si scioglie in vita dei coniugi, i bambini in tenera eta’ sono dunque affidati in custodia alla madre. La custode non deve tuttavia ostacolare il padre nello svolgimento delle sue funzioni di wali’, considerate prevalenti..; i bambini possono venire tolti alla madre non musulmana se vi e’ timore che ella li allontani dalla religione paterna..; oltre alla minore eta’, costituiscono cause di incapacita’ la pazzia,la demenza o debolezza di spirito e la prodigalita’. Il giudice, dichiarando lo stato di incapacita’ del soggetto, gli nomina un curatore. L’incapacita’ non impedisce la conclusione del matrimonio”.

In specie, per quanto attiene al diritto di famiglia di alcuni Paesi islamici:

          a) Algeria: per comprendere correttamente la “legge della famiglia” in vigore in Algeria dal 9 giugno 1984, e’ importante rilevare che per i vuoti di legge che si vengono man mano a creare e’ sempre possibile “il ricorso al diritto musulmano, secondo la regola dettata dall’art. 1 del Codice civile, che pone al secondo posto, tra le fonti del diritto, dopo la legge, i principi della Shar’i’a islamica. E’ su questo sfondo che viene adottato il codice dello statuto personale del 1984”. Viene definito che “la famiglia, cellula fondamentale della societa’, e’ costituita attraverso il matrimonio ( artt. 2-4 ); il capo della famiglia e’ il marito,a cui la moglie deve obbedienza ( art. 39 )..; la donna, benche’ capace, non conclude il contratto di matrimonio personalmente, ma attraverso il tutore matrimoniale ( wali’ ). Il tutore deve rispettare la volonta’ della donna: non puo’ costringerla al matrimonio, ne’, di regola, impedire il contratto, rifiutando di prestarsi alla sua conclusione (artt. 12-13)..; la poligamia e’ ammessa nei limiti posti dalla legge sacra (art. 8,30 )..; il matrimonio della musulmana con un non musulmano non e’ permesso ( art. 31 )”, mentre “il musulmano puo’ sposare la non musulmana, purche’ cristiana o ebrea..; l’uomo puo’ ripudiare la moglie. Il ripudio non e’ piu’ tuttavia un atto extragiudiziale, ma va stabilito con sentenza (art. 49 )”.

          b) Egitto: “L’Egitto ha adottato una serie numerosa di testi, che modificano su punti fondamentali la Shar’i’a o ne disciplinano settori limitati; la legge sacra resta nel suo insieme pienamente vigente..; contrariamente agli altri legislatori, quello egiziano non vieta i matrimoni precoci..; nel contrarre il matrimonio, l’uomo deve dichiarare il proprio stato civile e, se gia’ sposato, indicare il nome della o delle mogli: in questo modo si garantisce che tutte le donne coinvolte nel matrimonio poligamico ne siano portate a conoscenza. La violazione di questi obblighi e’ sanzionata penalmente ( art. 23 bis, L. n. 25/1929)..; il ripudio ( artt. 1-5, L. n. 25/1929 ) e’ pronunciato nelle forme tradizionali dall’uomo, che deve tuttavia farne redigere l’atto dal notaio entro trenta giorni: il notaio provvede a informare la donna dell’avvenuto ripudio e a consegnarle copia dell’atto..; il marito che ripudia la moglie senza motivo e’ condannato al pagamento di un dono di consolazione ( art. 18 bis, L.n. 25/1929 )..; durante il matrimonio la moglie ha diritto a ottenere il mantenimento dal marito ( artt.1-2,L. n. 25/1929 ). Esso e’ il corrispettivo della sottoposizione e dell’obbedienza della moglie; la donna puo’ uscire di casa per lavorare, purche’ non abusi di tale diritto o il marito non le chieda di rinunciarvi(art. 1, L. n. 25/1929 )”.

          c) Libia: “Il diritto islamico nella sua forma tradizionale e’ restato a lungo l’unica fonte regolatrice delle materie dello statuto personale in Libia”. Il Legislatore interviene con la legge n. 176/1972, ma “questo testo…e’ abrogato dalla legge del 1984 in materia di matrimonio, divorzio e loro effetti oggi in vigore..; limitate novita’ sono state introdotte nel 1991 dalla legge n. 22 e nel 1993 dalla legge n. 9..; le disposizioni della legge si applicano a tutte le questioni che i suoi testi trattano esplicitamente o in spirito. Nel caso di lacuna, si giudica secondo i principi della legge sacra dell’ Islam piu’ in armonia con il testo delle legge stessa ( art. 72 )..; il matrimonio e’ un patto conforme alla legge che rende lecito il rapporto sessuale ( art. 2 ). Per contrarre matrimonio e’ necessaria la capacita’ matrimoniale, propria del pubere sano di mente; essa diviene piena con il compimento del ventesimo anno. Il giudice, con l’assenso del tutore, puo’ autorizzare il matrimonio della persona infraventenne ( art. 6 ). La volonta’ dell’interessato concorre con quella del tutore matrimoniale nella scelta dello sposo; il tutore non puo’ costringere al matrimonio ( art. 8 ), ne’ impedire la conclusione del contratto ( art. 9 )..; i tradizionali impedimenti al matrimonio derivanti dalla diversita’ di fede sono recepiti dall’art. 12, commi b e c: la musulmana non puo’ sposare che un correligionario; il matrimonio con una donna idolatra, cioe’ non appartenente a una delle religioni del Libro, e’ proibito..; la poligamia e’ ammessa, ma entro i limiti fissati dal legislatore..; in base all’ultima riforma introdotta dalla Legge n. 9/1993, per concludere il nuovo matrimonio l’uomo deve oggi ottenere o il consenso scritto della prima moglie o l’autorizzazione del Tribunale. Il matrimonio concluso in violazione di queste disposizioni e’ nullo. Anche se l’art. 13 non ne fa menzione, e’ da ritenersi che la clausola di monogamia sia apponibile al contratto di matrimonio in virtu’ dell’art. 3..; lo scioglimento volontario del matrimonio e’ sempre stabilito mediante sentenza ( art. 28 ); cio’ costituisce una novita’ con riferimento al ripudio, che tradizionalmente si perfezionava all’interno della sfera privata del marito. Oggi il ripudio va dichiarato davanti al Tribunale, alla presenza della donna o di un suo rappresentante..; la madre conserva il diritto alla custodia ( del bambino ) anche se ha abbandonato la casa coniugale per contrasto con il marito, a meno che il Tribunale disponga diversamente nell’interesse del bambino..resta custode anche se non musulmana, purche’ non risulti che allontana i figli dall’islam”.

          d) Marocco: “Il Marocco, raggiunta l’indipendenza nel 1956, si mette subito all’opera per codificare le regole sciaraitiche in materia di statuto personale. Il nuovo codice e’ emanato attraverso cinque decreti ( dahi’r ) successivi, adottati tra il 1957 e il 1958..; significativo e’ il ricorrente rinvio <all’opinione prevalente o dominante, ovvero alla pratica giudiziaria della scuola dell’ Ima’m Ma’lik> ( artt. 82, 172,216,297 ) allo scopo di colmare le eventuali lacune della legge.; il matrimonio fonda la famiglia; capo della famiglia e’ l’uomo ( art. 1 ). Il contratto e’ concluso mediante lo scambio del consenso tra il marito, o il suo rappresentante, e il tutore matrimoniale della sposa ( art. 11 ), da considerarsi suo mandatario ( art. 12 )..; soltanto se maggiorenne o orfana la sposa puo’ concludere direttamente il contratto, oppure designare come tutore ( wali’ ) la persona di sua scelta ( art. 12, comma 4 ). Anche se il contratto e’ stipulato dal tutore, il consenso della sposa al matrimonio e’ necessario…il tutore non puo’ costringere la donna al matrimonio ( art. 12 ), ne’ opporsi immotivatamente al contratto ( artt. 13, 23)..; la differenza di religione e’ di impedimento al matrimonio ( art. 29, comma 4 ). La poligamia e’ ammessa nei limiti quantitativi tradizionali (art. 29, comma 2). L’uomo tuttavia deve ottenere dal giudice l’autorizzazione al nuovo matrimonio, che gli sara’ negata se vi e’ ragione di temere un ingiusto trattamento delle diverse mogli ( artt. 30, 35 comma 2 ). La sposa precedente e quella futura devono essere informate della poligamia..; il marito deve mantenere la moglie ( artt. 115-123 ). La donna dal canto suo deve obbedire al marito, allattare i suoi figli, curare il buon andamento della casa e rispettare i genitori e i parenti del marito ( art. 36 )..; l’uomo conserva la facolta’ di ripudio tradizionalmente attribuitagli dalla Shari’a. L’esercizio di tale facolta’ e’ tuttavia subordinato dal legislatore del 1993 all’autorizzazione del giudice ( art. 48 comma 2 )..; la madre di religione diversa da quella del padre perde il diritto alla custodia(del bambino) se vi e’ timore che allontani il figlio dalla religione paterna ( art. 108 ). La madre perde la custodia se si risposa ( art. 105 ) o se si trasferisce la’ dove risulta difficile al padre esercitare la potesta’ sui figli”.

          e) Tunisia: “Il codice dello statuto personale tunisino, denominato Maga’lla, e’ adottato il 13 agosto 1956; pubblicato il 28 dicembre, entra in vigore il 1° gennaio dell’anno seguente…Il testo originale del codice e’ stato ripetutamente emendato. L’ultimo intervento del legislatore risale al 1993 ( L. n. 74 ); esso modifica la maggiore eta’ e innova in materia di mantenimento e di poteri dei genitori sui figli..; per la conclusione del matrimonio e’ richiesta la volonta’ delle parti ( art. 3 ) che esse possono esprimere direttamente o attraverso un mandatario di loro scelta ( art. 9 ). La capacita’ matrimoniale e’ raggiunta dal maschio a venti anni e dalla femmina a diciassette ( art. 5 ). Se la sposa e’ minorenne, cioe’ infraventenne ( art. 153 ), il suo matrimonio e’ subordinato al consenso del wali’ e, dopo la riforma del 1993, anche a quello della madre ( art. 6 ). Il Tribunale, per motivi gravi e nel chiaro interesse dei coniugi, puo’ autorizzare il matrimonio di chi non ha ancora raggiunto la capacita’ matrimoniale ( art. 5 )..; tra gli impedimenti al matrimonio, la legge tunisina non menziona la diversita’ di religione; e’ probabile che, con tale omissione, il legislatore intendesse abrogare il principio sciaraitico. La giurisprudenza ha tuttavia continuato a considerare proibito il matrimonio di una musulmana con un non musulmano e una Circolare ministeriale del 1973 ha vietato agli ufficiali di stato civile di celebrare un simile matrimonio. La poligamia e’ vietata e costituisce reato ( art. 18 )..; il marito e’ il capo della famiglia ( art. 23 ) e mantiene la moglie e i figli ( artt. 37- 53 bis )..; il legislatore nel 1993 ha eliminato il riferimento all’obbedienza che la moglie deve al marito e ha posto l’accento sulla reciprocita’ e omogeneita’ dei diritti e degli obblighi dei due coniugi..; la Maga’lla abolisce il ripudio. L’unico modo di sciogliere il matrimonio durante la vita dei coniugi e’ il divorzio giudiziale, a cui marito e moglie sono ammessi su un piano di parita’ ( arrt. 29-33 )..; durante il matrimonio la custodia dei figli spetta unitamente ai due genitori ( art. 53 ), che cooperano nella loro educazione e provvedono insieme ai loro bisogni. Dopo lo scioglimento del matrimonio, la custodia e’ attribuita al genitore sopravvissuto o alla persona che il giudice ritiene migliore nell’interesse dei minori ( art. 67 )”.

Per quanto attiene in generale all’applicazione del diritto islamico in Italia. si rileva che “secondo le regole del diritto internazionale privato, i rapporti personali e matrimoniali tra i coniugi sono regolati in Italia dalla legge nazionale comune.Le legge straniera deve essere applicata altresi’ ai rapporti tra genitori e figli, in quanto legge nazionale del figlio. E’ lecito tuttavia chiedersi se il giudice italiano applichera’ sempre le norme di origine sciaraitica, anche quando esse sanciscono nel modo piu’ netto la supremazia dell’uomo sulla donna e limitano penosamente i diritti di quest’ultima, o se, piuttosto, non le rigettera’ perche’ lesive del principio di uguaglianza dei sessi e dunque argomentando sulla base della loro contrarieta’ all’ordine pubblico.Una decisione italiana che sottragga gli stranieri musulmani alla loro legge nazionale non avra’ peraltro alcuna possibilita’ di ottenere l’exequatur nel Paese di origine…Il matrimonio concluso in Italia davanti all’ufficiale di stato civile verra’ in genere riconosciuto nel mondo arabo, dove e’ comunemente accolta la regola <locus regit actum>. Unica eccezione e’ rappresentata dal Marocco: qui la giurisprudenza e la prassi dell’amministrazione non riconoscono il matrimonio contratto dal cittadino all’estero, che si tratti di matrimonio misto, oppure no. Occorre dunque che il matrimonio venga regolarizzato con il ricorso ai due a’du’l o presso il consolato o direttamente in Marocco…Lo straniero musulmano puo’ praticare la poligamia. Naturalmente non gli e’ possibile concludere il secondo matrimonio secondo la legge italiana”, ma “e’ certo che il marito puo’ concludere il secondo matrimonio nel Paese di origine..; se il marito rientra nel Paese di origine potra’ ripudiare la moglie e sciogliere cosi’ con la massima facilita’ il vincolo matrimoniale..; se lo scioglimento del matrimonio ha luogo in Italia, il giudice italiano dispone sull’affidamento dei figli a norma della legge italiana. Se la coppia vive nel Paese arabo ovvero se si cerca di far valere la decisione italiana in tale Paese, la madre non musulmana otterra’ con difficolta’ l’affidamento dei figli, per ragioni di ordine pubblico o in base ad argomentazioni imperniate sulla valutazione dell’interesse del bambino. Se infatti vi e’ ragione di temere che la madre allontani i figli dalla religione paterna, il suo diritto alla custodia, gia’ temporalmente ridotto, viene meno”.

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