Home » Focus del mese

EDITORIAL: Il matrimonio tra cattolici e musulmani; Validita’ della dispensa dall’impedimento della disparitas cultus – Prassi rigorosa ed equita’ canonica (aggiornamento)

12 Luglio 2002 Commenta

Discutibile validita’ della dispensa dall’impedimento della disparitas cultus.

A siffatta “prassi rigorosa” non sembra che si attengano alcuni Ordinari, ne’ alcuni parroci, piuttosto accondiscendenti nell’agevolare comunque i matrimoni misti tra cattolici e musulmani, ne’, stando a limitate esperienze, alcuni Tribunali Ecclesiastici, allorche’ si introduce una causa nullitatis matrimonii a carico della parte musulmana, che potrebbe essere evitata nella tipologia del processo canonico ordinario, solo che ci si soffermi “rigorosamente” ad analizzare la documentazione matrimoniale e, in particolare, quanto attiene alla concessa dispensa dall’impedimento della disparitas cultus, la quale, a nostro avviso, potrebbe essere inficiata di nullita’ e percio’ stesso faciliterebbe quanto meno l’attivazione di un processo documentale, utile e opportuno in simili casi per evitare inutile e dannoso dispendio di tempo, non certo utilizzabile pro salute animarum.

E’ il caso concreto di un uomo di cittadinanza marocchina e di religione islamica, vagus in Italia, che ha sposato una donna di cittadinanza italiana e di religione cattolica, previa dispensa dall’impedimento della disparitas cultus, concessa alla parte cattolica. Il marocchino, decisamente intenzionato a sposare la ragazza italiana, si mostra premuroso e affettuoso nei suoi riguardi, al punto che quest’ultima, attratta dal di lui comportamento, ma del tutto ignara dei principi e delle norme islamiche circa le donne e i figli, acconsente al matrimonio con lui. E’ da rilevare che, nel caso, il marocchino, contestualmente alle pressioni fatte sulla donna a che il matrimonio fosse celebrato al piu’ presto, e’ stato, almeno in questo, onesto nel dichiarare all’altra parte che, se fossero nati dei figli, egli li avrebbe educati secondo la religione islamica; di tanto, comunque, la donna non si preoccupa, giacche’ e’ convinta di dare ai futuri figli una educazione cristiana, atteso che lei e’ casalimga e che pertanto potra’ disporre di tutto il tempo necessario per educare i figli secondo la concezione cristiana. Prima delle nozze le parti frequentano un breve corso di preparazione al matrimonio, ma il parroco ben si guarda dal comunicare agli interessati che per la celebrazione del loro matrimonio e’ necessario ottenere la dispensa dall’impedimento della disparitas cultus da parte dell’Ordinario;soltanto alcuni giorni prima della celebrazione del matrimonio, il parroco invita le parti a rispondere circa la loro posizione matrimoniale e, in quella circostanza, la parte musulmana dichiara che, pur rimanendo fedele alla religione islamica professata, accetta cionondimeno il matrimonio cristiano con i suoi fini e proprieta’ essenziali: di tanto il parroco prende atto, sfuggendogli non solo la falsita’ della sottoscrizione da parte del musulmano, ma anche la contraddizione insita nella impossibile coniugazione tra fede islamica e fede cristiana per quanto attiene al matrimonio, cosi’ che chiede e tempestivamente ottiene dal Vicario Generale della diocesi la dispensa dall’impedimento della disparitas cultus, peraltro confuso con quello di mista religione, effettivamente richiesto. Il matrimonio e’ celebrato nella parrocchia della donna. Segue il viaggio di nozze, durante il quale l’uomo maltratta e picchia ripetutamente la donna, ricordandole minacciosamente che ormai lei e’ cosa sua e che percio’ deve ubbidire senza discutere a tutti i suoi comandi. I maltrattamenti e le violemze proseguono durante la convivenza coniugale, resa piu’ gravosa anche dal fatto che l’uomo nega alla donna finanche i mezzi necessari per sopravvivere, giacche’ rimette tutti i suoi guadagni alla sorella residente in Marocco e, quando dopo un primo aborto imposto dall’uomo alla donna, nasce comunque una bambina, l’uomo diffida la donna dall’impartire una educazione cristiana alla figlia e nel frattempo continua a picchiare la donna che, a causa delle prolungate violenze subi’te, subisce un duro contraccolpo psichico e cionostante ella tollera la pesante situazione per non privare la figlia della presenza del padre, fino a quando e’ messa a conoscenza da alcuni amici marocchini del marito che questi l’ha sposata solo per poter ottenere il permesso di soggiorno, richiesto agli stranieri dal Governo italiano per sistemare la loro posizione di immigrati, e che secondo la religione islamica, cui aderisce il marito, il matrimonio non e’ indissolubile, che anzi e’ pure poligamico. In conseguenza di tali rivelazioni, la donna chiede e ottiene la separazione legale dal Tribunale civile e quindi, su consiglio di un amico sacerdote, introduce la causa di nullita’ presso il competente Tribunale Ecclesiastico. Contestualmente e preliminarmente alla presentazione del libello, il sottoscritto, avvocato di parte attrice, inoltra istanza a che, risolta la quaestio praeliminaris che attiene alla validita’ della dispensa, si attivi la procedura canonica del processo documentale.

In effetti, avverso la validita’ della dispensa concessa dall’impedimento della disparitas cultus da parte del Vicario Generale, lo scrivente, avvocato di parte attrice, eccepisce la nullita’ della stessa dispensa, attesi i cann. 1086, 1125, 1686 CIC, argomentando in virtu’ delle motivazioni a seguire:

1) ” Si quae discrepantiae adsunt in re morali et sociali inter Christianos et Muslinos, eae habentur maxime in materia indissolubilitatis matrimonii, quae radicitus fere excluditur in conceptione morali et iuridica familiae apud Muslinos…Coranus polygamiam concedit…etiam concubinatum concedit..; vir islamicus in matrimonium ducere potest aliam mulierem vel concubinas accipere..; vir uxorem christianam ecclesiam colere prohibere potest” ( sent. diei 07-07-1971, in Ius Canonicum et Iurisprudentia Rotalis, CD, Citta’ del Vaticano, 1992, n. 00156, nn.15-16 );

2) a norma del can 1086,§ 2 CIC, dall’ impedimento di disparita’ di culto “ne dispensetur, nisi impletis condicionibus de quibus in cann. 1125 et 1126”, cosi’ che l’adempimento delle condizioni e’ conditio sine qua non perche’ si conceda la dispensa; in casu non consta dagli Atti che siano state adempiute le condizioni di cui al n. 3 del can. 1125 CIC, giacche’ non risulta che entrambe le Parti siano state istruite sui fini e le proprieta’ essenziali del matrimonio, che non devono essere esclusi da nessuno dei due contraenti, mancando ad hoc uno specifico documento dell’Autorita’ ecclesiastica competente che certifichi che tale obbligo sia stato ottemperato al punto che di esso “in foro externo constet” ( can. 1126 CIC ) e percio’ sia pubblicamente documentabile;

3) la concezione del matrimonio, di cui si e’ fatto cenno, e il ruolo della donna nella religione islamica sono radicalmente opposti alla concezione del matrimonio e al ruolo della donna nel cristianesimo,  giacche’ “gli uomini sono un gradino piu’ alto” ( Corano, s. 2, 228 ) e cio’ si evidenzia appunto nel matrimonio che per l’Islam ne’ e’ sacramentale ne’ e’ una realta’ sacra e divina: con il matrimonio il marito acquista diritti durevoli sulla donna in cambio del pagamento del mahr al padre di lei; la donna e’ soggetta all’autorita’ del marito, non puo’ uscire di casa senza il suo permesso ne’ mostrarsi in pubblico senza il velo, ne’ ricevere visite di maschi; al padre spetta correggere ed educare i figli e “chi conosce, per poco che sia, la mentalita’ musulmana sa che e’ inconcepibile chiedere ad un musulmano che i suoi figli vengano educati cristianamente”;  il Corano ammette la poligamia ( Corano, s. 4, 3 ), lo scioglimento del matrimonio con il ripudio ( tala’q ) della moglie da parte del marito; i figli devono seguire la religione del padre, per cui essi devono essere necessariamente musulmani; per i matrimoni misti, i cittadini degli Stati musulmani fanno riferimento alle loro leggi nazionali per quel che riguarda i diritti della persona, del matrimonio e dei suoi effetti, per cui un musulmano che sposa una donna europea cristiana potrebbe prendere altre mogli nel suo Paese, ove vige la poligamia. Ne consegue che e’ praticamente impossibile per la sposa cristiana mantenere l’impegno che ha assunto quando ha ottenuto la dispensa dall’impedimento della disparitas cultus, perche’, se il marito e’ musulmano, e nel caso la parte convenuta ha dichiarato di esserlo e di voler continuare a professare la religione musulmana, egli non potra’ mai permettere che i suoi figli siano battezzati ed educati cristianamente, ne’ potra’ adempiere alla condizione di non escludere le proprieta’ essenziali del matrimonio, giacche’ il matrimonio musulmano non conosce queste proprieta’, cosi’ che si rivela impossibile l’impegno di cui alle “cautiones” da parte della donna e percio’ giuridicamente nullo e, sua vice, toto coelo falso l’impegno giurato da parte dell’uomo di accettare il matrimonio cristiano e di non opporsi alla educazione cristiana dei figli, poiche’ in netta contraddizione con il credo musulmano al quale l’uomo non ha inteso in alcun modo venir meno. Una prassi piu’ rigorosa nella concessione della dispensa dall’impedimento della disparitas cultus avrebbe consentito, a nostro avviso, al Vicario Generale della diocesi di prendere atto che le condizioni e le “cautiones” si rivelavano nel caso del tutto inaffidabili, cosi’ che la dispensa doveva essere negata; dal che consegue, attese le non verificate ne’ verificabili condizioni di cui al can. 1125 CIC, la invalidita’ della dispensa concessa;

4) per la concessione della dispensa si richiede una iusta et rationabilis causa, che e’ ad validitatem se la stessa dispensa e’ concessa dall’Ordinario(can.90, § 1 CIC ); se questa manca, o e’ falsa per surrezione o per orrezione, la dispensa non ha valore e pertanto matrimonium invalidum est( can. 1086 CIC ). Secondo la dottrina e la consolidata giurisprudenza Rotale, si considera giusta causa il fatto che i nubenti si presentino all’Autorita’ della Chiesa, decisi a sposarsi, quando gia’ hanno tutto pronto e in uno stato d’animo tale che, se non sono ammessi al matrimonio canonico, probabilmente contrarranno il matrimonio civile; per la giusta causa bisogna tener presenti le situazioni concrete della religione a cui appartiene la parte non battezzata e quindi di cio’ che fa prevedere il suo atteggiamento futuro nei confronti della parte cattolica e della prole, cosi’ che, nel caso, sarebbe stato preferibile tollerare il matrimonio civile piuttosto che concedere il matrimonio canonico che ha posto la parte cattolica in una situazione irreversibile ;

5) la dispensa dall’impedimento non e’ “iusta”, se manca il fondamento della moralis certitudo sull’adempimento delle cautiones o la spes bene fundata de cautionun expletione, giacche’ in tal modo viene meno il fondamento della certezza e della speranza che verra’ rispettato il diritto divino. La cauzione in senso formale, e cioe’ la certezza nell’autorita’ che dispensa nel giudicare che si verificano veramente le condizioni favorevoli perche’ il diritto divino sia rispettato e che la parte cattolica non avra’ a patire detrimento alcuno nella fede e che i figli riceveranno il battesimo e una educazione cattolica, “e’ assolutamente necessaria affinche’ l’autorita’ conceda la dispensa” e percio’ la certezza morale nel dispensare dall’impedimento di disparita’ di culto si richiede ad validitatem : trattasi di quella certezza di cui al can. 1608 CIC e che “nel lato positivo e’ caratterizzata da cio’, che esclude ogni fondato e ragionevole dubbio e, dal lato negativo, lascia sussistere la possibilita’ assoluta del contrario”;

6) sulla validita’ o meno della dispensa sono sempre applicabili sia le norme generali sulla dispensa dalla legge ( cann. 85-93 CIC ) sia quelle riguardanti la concessione dei rescritti e in particolare quelle che attengono alla verita’ delle cause motive ( can. 63 CIC ); nel caso e’ disatteso il prescritto del can. 90,§ 1 CIC e non risulta ottemperata la normativa di cui al can. 63 CIC;

7) la giurisprudenza Rotale ha ripetutamente affermato che le cautiones fittizie sono motivo di invalidita’ della dispensa.

Rebus sic stantibus e atteso che il matrimonio secondo la religione islamica maxime discrepat dal matrimonio cristiano e che l’uomo ha dichiarato sotto giuramento di rimanere fedele alla religione islamica, che l’adempimento delle condizioni e’ conditio sine qua non perche’ si conceda la dispensa dall’impedimento della disparitas cultus, che l’educazione cristiana dei figli sarebbe stato impossibile porre in essere da parte della donna a causa dell’insormontabile ostacolo frapposto dall’uomo in virta’ della religione islamica dallo stesso professata, che la dispensa concessa dal Vicario Generale non e’ supportata da una iusta et rationabilis causa, che la cauzione formale e quindi la certezza morale da parte del Vicario Generale che ha concesso la dispensa non risulta in alcun modo documentabile, ne’ il nulla osta del Vicario Generale in calce alla domanda di dispensa indica che lo stesso abbia acquisito la succitata certezza morale in merito, che sono state disattese le norme di cui ai cann. 85-93 e 63 CIC, che nell’atto di matrimonio redatto dal parroco non si fa alcuna menzione della dispensa ottenuta dall’impedimento di disparita’ di culto, che le dichiarazioni prescritte ( mod. XI ) rislultano errate per quanto attiene all’attestazione del parroco, oltre che per l’improprio nulla osta del Vicario Generale che, ovviamente, non puo’ apporre alcun nulla osta alla dichiarazione della parte cattolica ne’ alla attestazione del parroco, che le stesse dichiarazioni appaiono inattendibili perche’ non supportate da alcun documento pubblico, di cui al can. 1125,§ 3, considerato che nella domanda di dispensa si riferisce che “i contraenti sono stati istruiti sui fini e le proprieta’ essenziali del matrimonio”, ma tale affermazione non trova riscontro in un apposito documento che comprovi  che la suddetta “istruzione” sia stata effettivamente espletata, che non corrisponde al vero che “vi e’ pericolo di matrimonio civile”, giacche’ non si evince da alcun atto che i nubenti avessero in animo di sposarsi civilmente, che l’uomo ha palesemente spergiurato circa l’educazione cristiana dei figli, atteso quanto dallo stesso dichiarato e giurato nella posizione matrimoniale per quanto attiene alla sua fede musulmana, che dalla posizione matrimoniale, stilata personalmente dal parroco si evince che lo stesso abbia acquisito agli atti la “dispensa dall’impedimento di mista religione”, che, come appare evidente, non ha sussistenza nel caso in oggetto, lo scrivente, avvocato di parte attrice, eccepisce la nullita’ della dispensa de qua e chiede che, preliminarmente alla introduzione della causa, de qua in libello, che, pertanto e’ in subordine, si dichiari, tramite processo documentale, la nullita’ del matrimonio in casu.

Fin qui l’istanza e le motivazioni addotte.
Siffatta richiesta dello scrivente e’ negativamente esitata dal Vicario Giudiziale del competente Tribunale Ecclesiastico Regionale, il quale, richiamandosi al can. 1086 CIC e ai nn. 48 e 49 del Decreto Generale della CEI, non ritiene che ci siano gli elementi per attivare un processo documentale.

A prescindere dalla considerazione che gli invocati nn. 48 e 49 del Decreto Generale sul matrimonio canonico della CEI risultano, in riferimento a quanto suesposto, nel caso chiaramente disattesi nelle indicazioni ivi contenute, non sembra condivisibile il pronunciamento del Vicario Giudiziale che, pur non controdeducendo alcunche’ alla eccepita nullita’ della dispensa concessa dal Vicario Generale, insiste a che si persegua la procedura ordinaria della causa nullitatis matrimonii, li’ dove, fermo rimanendo il rispetto all’Autorita’ ecclesiastica, si sarebbe potuto tranquillamente prendere atto della nullita’ della dispensa in casu e cio’ facendo, il Vicario Giudiziale avrebbe indotto giurisprudenza in merito alla corretta interpretazione della “prassi rigorosa”, decisamente richiamata dal Consiglio Permanente della CEI.

Prassi rigorosa ed equita’ canonica.


La giurisprudenza Rotale, oltre quella gia’ citata, agevola l’interpretazione, in simili casi, a favore della nullita’ del matrimonio, e cio’ fa in riferimento sia ad un errore che radicitus coinvolge la parte nella sua peculiare concezione del matrimonio, sia alla specifca concezione del matrimonio dell’islam. In tal senso la piu’ che nota sentenza rotale c. Anne’ dell’ 11-03-1975 non da’ adito ad equivoci. Vi si chiarisce, infatti, che “bona matrimonialia essentialia vel ipsum matrimonium…excludi possunt eo quod nupturiens re vera seu positivo voluntatis actu intendit contrahere matrimonium, minime prout Ecclesia vult, sed exclusive iuxta distortam propriam suam sententiam, quae omnino componi nequeat cum Ecclesiae doctrina de ipso matrimonio deque eius proprietatibus essentialibus. Memorans verba unius diei 17 decembris 1957 coram Felici saepe relatae:<Merito affirmatur fieri posse ut error ita penetret personalitatem, uti dicitur, contrahentis ut aliter ipse nolit quam cogitet, aliter non agat vel operetur quam mente volutet> ( S.R.Rotae Decis.,t. XLIX, p. 844 ), sententia diei 1 iulii 1974 in una Southwarcen, coram Huot docet:< Non amplius de simplici tunc agitur errore, de quo in canone 1084, sed de errore qui totam individui navitatem involvit atque commutat>. Similter in decreto confirmatorio lato die 23 aprilis 1975 coram Bejan in una Taurinensi, in qua definiebatur invaliditas matrimonii a mahometano initi, legitur: < Innixa enim tum singulari forma mentis viri conventi, tum praesertim pluribus factis quae praecesserunt atque subsecuta sunt canonici matrimonii celebrationem, appellata sententia tenet in probatis esse virum conventum, in nuptiis ineundis, consensum matrimonialem praestitisse non in matrimonium cum suis iuribus et obligationibus, prout a iure divino et ab Ecclesiae legibus proponitur et statuitur, sed in vinculum quod caruit proprietatibus unitatis et indissolubilitatis> “.

La qual cosa non porta a concludere che qualsiasi matrimonio misto, contratto tra musulmani e cattolici debba essere aprioristicamente ritenuto nullo. E cio’ non solo perche’ la stessa normativa canonica prevede che, previa dispensa dall’impedimento della disparita’ di culto, tali matrimoni possano essere celebrati, ma soprattutto perche’ proprio in simili casi sembra opportuno tener conto dei principi che sovrintendono all’equita’ canonica, correttivi, secondo l’insegnamento di S.Tommaso e di Suarez, di leggi che, se letteralmente applicate, sarebbero ingiuste, atteso che la stessa “prassi rigorosa” sarebbe essa stessa ingiusta quanto alle modalita’, perche’ o fuori tempo o fuori misura, li’ dove, considerate determinate circostanze, “si puo’ congetturare che il Legislatore non avrebbe voluto insistere nel comando, per motivi di benignita’”.

Da quanto fin qui esposto e tenendo in considerazione le Direttive pastorali sia del Consiglio Permanente della CEI che del Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae, si evidenzia che nell’attuale contesto storico-culturale non mancano situazioni che denotano una fenomenologia evolutiva circa la concezione del matrimonio sia nei Paesi musulmani sia negli stessi aderenti alla religione islamica. Si pensi alla liberta’ di fede e pratica religiosa di cui possono usufruire gli immigrati musulmani, sottratti al controllo dello Stato islamico da cui provengono e percio’ non in grado di progettare un ipotetico fondamentalismo, alla diversita’ di concezioni religiose degli stessi immigrati che, quindi, non si identificano tout court nell’Islam, alle norme di diritto civile di alcuni Paesi islamici che hanno gia’ introdotto nei propri ordinamenti giuridici misure di dissuasione circa la poligamia, precise norme circa il divieto di costrizione della donna al matrimonio da parte del tutore, la limitazione dell’esercizio del ripudio, giacche’ subordinato all’autorizzazione del giudice, l’eliminazione dell’obbedienza della moglie al marito a favore invece della reciprocita’ dei diritti e doveri coniugali, l’educazione dei figli congiuntamente affidata ai genitori, cosi’ che ci sembra di poter ritenere che contestualmente alla “prassi rigorosa” non siano da disattendere le direttive pastorali dei Vescovi d’Europa che con suggerimenti concreti invitano i cattolici e i cristiani in genere ad assumere e vivere una visione ecumenica della propria fede, indicando vie percorribili a che il matrimonio tra cristiani e musulmani diventi una realta’ gratificante per gli sposi, senza pericoli che possano incrinare le rispettive fedi religiose.

A nostro avviso, l’incontro ecumenico potrebbe effettuarsi su un percorso piu’ agevole, oltre che autentico, ove si svolgesse sincronicamente su due fronti: a) a livello di consultazioni periodiche tra i cultori di teologia musulmana e cristiana, finalizzate ad una trasparente ricerca della verita’ che, in quanto tale, non puo’ che essere super partes, b) nell’ambito di un consapevole coinvolgimento degli operatori pastorali “di frontiera” nelle problematiche che attengono ai matrimoni misti. Se a volte risulta sconsigliabile la celebrazione religiosa di un matrimonio tra un musulmano e una cattolica, non e’ escluso che in numerosi altri casi, appurandosi da parte dei parroci che un matrimonio misto sia largamente “cautelato” dalla sincerita’ dei nubenti a favore di un vincolo stabile, fondato sui principi di diritto naturale, e percio’ conformi alla dottrina della Chiesa, quello stesso matrimonio possa tranquillamente essere celebrato, quale nuova forma di evangelizzazione della famiglia,oggi purtroppo contestata da variegate sponde libertarie, ma non certo dalla religione islamica.

Scritto da

Commenta!

Aggiungi qui sotto il tuo commento. E' possibile iscriversi al feed rss dei commenti.

Sono permessi i seguenti tags:
<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>