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EDITORIAL: La responsabilità civile del medico; Segue. Diligenza professionale, imperizia e imprudenza

23 Luglio 2002 Commenta

Alle considerazioni del paragrafo precedente, riguardanti la ricostruzione della diligenza in generale come criterio di responsabilita’, seguono le ulteriori osservazioni sul concetto di imperizia . Quando infatti, come nel caso della prestazione professionale che qui si esamina,  la  diligenza  comporta  uno  speciale  sforzo  tecnico,  espressione di  tale  sforzo  tecnico  e’  per  l’appunto  la  perizia,  intesa  come quel complesso di regole tecniche e professionali espresse dal livello medio della categoria d’appartenenza. Va da se’ che nelle varie discipline oggetto di specialita’, la perizia di volta in volta si caratterizzera’ in modi parzialmente diversi, riempiendosi dei significati  tecnico-qualitativi attinti dallo standard medio rinvenibile nella categoria di riferimento , potendovi comunque rientrare quei principi fondamentali ritenuti alla base di qualsiasi attivita’ medica, o meglio e piu’ generalmente, sanitaria.

Sul punto merita di essere sottolineato anche il ruolo che l’aggiornamento costante del professionista svolge in punto di valutazione della sua condotta diligente. Il parametro per la valutazione della responsabilita’, fondato sull’aderenza ai dettami che possono estrarsi dal bagaglio professionale, sotteso allo standard medio di riferimento, non puo’ certo prescindere dall’affermazione del dovere di aggiornamento costante del professionista. Lo stesso codice deontologico  afferma tale necessita’ imprescindibile e del resto risulta ricompreso nello stesso principio di riferibilita’ allo standard medio, che per forza di cose deve essere lo standard “aggiornato”, che la prestazione del medico debba nascere da conoscenze aggiornate e quindi tecnicamente apprezzabili.
Ricordando brevemente i capisaldi, qui accolti, della teoria dell’adempimento, soprattutto sotto il profilo degli oneri strumentali e della buona fede quale apporto integrativo del contenuto dell’obbligazione, sembra, a chi scrive, che sia inconcepibile la pretesa di una prestazione che non sia aggiornata, proprio in quanto spetta al debitore della prestazione mettersi in condizione di adempiere diligentemente e soprattutto di continuare a mantenere uno stato che gli consenta la prosecuzione diligente della propria prestazione.

Il concetto d’imperizia assume quindi rilievo anche in riferimento alla descrizione, elaborata dalla giurisprudenza, del campo di applicazione dell’art. 2236 cod. civ. Si e’ gia’ osservato in precedenza che nella previsione della norma si riconducono solo i casi di imperizia, non invece le evenienze caratterizzate da imprudenza e incuria, nei confronti delle quali si sollecitano giudizi ispirati a criteri di normale severita’.

Risulta cosi’ piu’ correttamente delineato l’apporto dell’elaborazione giurisprudenziale che configura la diligente prestazione del professionista come una prestazione di assoluta delicatezza e importanza, tanto da richiedere una costante espressione di professionalita’ adeguata agli standard medi di riferimento, e prevede una responsabilita’, limitata alla colpa grave e al dolo, soltanto in presenza di problemi tecnici di speciale difficolta’, precisando pero’ che tale limitazione non sussiste quando in gioco vi siano imprudenze o comportamenti di incuria;  si realizza  invece solo quando i problemi tecnici di speciale difficolta’ mettano il professionista, di adeguata preparazione media, nelle  condizioni  di  misurarsi   con   problemi  che travalichino le sue -doverose- conoscenze, pur al cospetto della diligente prestazione che lo stesso abbia posta in essere.

Apprezzare l’accorta interpretazione dell’art. 2236 cod. civ., sostenuta da costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, significa individuare un principio interpretativo, coerente con le premesse svolte, che vuole racchiudere l’applicabilita’ dell’articolo in esame in una nicchia d’ipotesi sempre piu’ ristretta, onde evitare che il ricorso a questa disposizione possa svilire il concetto di diligenza come criterio di responsabilita’ che si e’ cercato di illustrare.
Un esempio, infine, di condotta imprudente puo’ essere d’ausilio alla completezza dell’esposizione.
Il caso, non ancora pubblicato, dal quale trarro’ lo spunto per le considerazioni che seguiranno, rientra nella complessa categoria del c.d. errore diagnostico che, particolarmente in tema di diagnosi precoci di malformazioni al feto, assume contorni di assoluta importanza e di scottante attualita’.

Il caso riguarda la nascita di un bambino affetto da malformazioni -non diagnosticate dal medico- riconducibili ad una patologia di rarissima verificazione, anche se le condizioni di salute della madre costituivano, per affermazione pacifica in letteratura, motivo di aggravamento del rischio di insorgenza, tra le altre, proprio di tale rarissima patologia. L’indagine medico-legale mette alla luce la difficolta’ della diagnosi precoce, allo stato della scienza rinvenibile nelle condizioni di   tempo  e  di   luogo,   tanto  piu’  in  presenza  di  ulteriori  elementi -posizione del feto e consistente pannicolo adiposo circondante il ventre della madre- che, frapponendosi di fatto alla possibilita’ di agevole diagnosi, costituiranno ulteriori ostacoli alla corretta effettuazione dell’esame diagnostico. Il caso sembrerebbe pertanto integrare gli estremi descritti dalla norma di cui all’art. 2236 cod. civ., limitante, pur nell’interpretazione restrittiva della Corte di Cassazione, la responsabilita’ del prestatore d’opera al dolo e alla colpa grave, ove si rinvengano i c.d. problemi tecnici di speciale difficolta’.

Ora, nel caso appena accennato, la condizione relativa all’emersione dei problemi tecnici di speciale difficolta’ sembra avverarsi, dando accesso di fatto ad una valutazione solo in termini di colpa grave, ma, agli esiti di una valutazione globale dell’operato del medico, risulteranno al contrario elementi che suggeriranno altra interpretazione.

Invero, sussistendo potenziali rischi per la paziente, data la sua conclamata patologia a rischio, la condotta del medico doveva essere improntata alla massima attenzione proprio in direzione dell’eventuale diagnosi precoce di malformazioni fetali. Se e’ vero, come pare, che tale diagnosi, nella struttura ospedaliera di specie, sarebbe stata comunque particolarmente ardua, non solo per la scarsa qualita’ delle apparecchiature in dotazione, ma anche per la scarsa specializzazione dell’operatore che effettuava l’esame diagnostico, e se e’ vero che il medico ha sottoposto la paziente ad un numero di ecografie di gran lunga superiore alla media, temendo proprio il verificarsi di patologie simili a quelle riscontrate alla nascita, a nulla vale lamentare la difficolta’ tecnica del caso, nonche’ l’inadeguatezza della strumentazione a disposizione, trattandosi di condotta imprudente, che di fatto non ha accesso all’art. 2236 cod. civ., nell’accorta interpretazione restrittiva sopra richiamata. Il sanitario avrebbe dovuto dunque per lo meno inviare la paziente presso un centro attrezzato con strumentazioni ecografiche piu’ moderne e operatori piu’ specializzati, giacche’ accontentarsi della cosciente inadeguatezza della propria indagine significa commettere un’imprudenza tale da non giustificare l’accesso alla limitazione di responsabilita’ di cui all’articolo in esame.

Sembra allo scrivente che quello di specie sia un caso tipico di -non- applicazione dell’articolo succitato, nella corretta visuale illustrata in dottrina e giurisprudenza, capace di stimolare la riflessione verso un salto di qualita’ dell’atteggiamento complessivo del sanitario. L’espressione diligente della condotta deve infatti manifestarsi in tutte le direzioni possibili, accettando consapevolmente i limiti che la medicina subisce ancor oggi e che forse sempre subira’, ma dovendosi preoccupare di aggirare l’ostacolo, che i mezzi strumentali a volte possono imporre, per usufruire di tutte le possibilita’ che la scienza consenta di percorrere, nell’esclusivo interesse del paziente.
Il tema dell’inadeguatezza della dotazione strumentale suggerisce un ulteriore approfondimento, in punto di valutazione della colpa professionale, per il quale rimando al paragrafo successivo.

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