EDITORIAL: La responsabilità civile del medico; Segue – Il consenso informato
Nell’attuale panorama delle professioni intellettuali, sempre piu’ caratterizzato dall’alto grado di tecnicismo e specializzazione settoriale, il tema dell’informazione al “cliente” assume, a maggior ragione, rilievo sempre piu’ consistente, anche dal punto di vista deontologico.
In pressoche’ tutte le professioni intellettuali, il cliente, o meglio il creditore della prestazione professionale, viene piu’ o meno indirettamente posto di fronte a scelte, comportanti valutazioni tra Qcosti e beneficif, sempre piu’ ardue e complesse da comprendere, per assumere le quali risulta fondamentale, oltre che la sua cultura generale, la corretta informazione da parte del professionista.
E’ certo che la funzione del professionista e’, tra le altre, quella di prestare la propria opera in settori che, richiedendo particolari competenze, necessitano della guida di uno specialista della materia, ma cio’ non toglie che gli effetti della condotta di quest’ultimo si riverberano sempre e comunque in capo al cliente, andando ad incidere in modo consistente su interessi patrimoniali e non patrimoniali dello stesso, fondando percio’ l’obbligo, in capo al professionista, di informare correttamente il <<creditore-cliente>> dei vantaggi e dei rischi che la metodologia d’azione scelta comporta, con sufficiente probabilita’.
Cosi’ l’Avvocato che decida per l’una o l’altra strategia difensiva, dovrebbe illustrare al cliente l’opportunita’ della scelta e metterlo in guardia rispetto ai possibili rischi che tale condotta potrebbe comportare, non rimanendo del tutto esente da responsabilita’ a fronte di una scelta rischiosa che, distaccandosi notevolmente dalla comune pratica forense, provocasse danni ai quali il legale stesso non avesse fatto preventivamente cenno alcuno al proprio cliente.
Per venire alla figura professionale d’interesse in questa breve trattazione, ritengo che a maggior ragione, trattandosi di prestazione professionale che coinvolge direttamente da un lato beni della vita di rilevanza primaria, se non il bene della vita stesso, dall’altro materie di pressoche’ assoluta ignoranza da parte del paziente, il dovere di informare in modo completo quest’ultimo, emerga con forza e intensita’ del tutto peculiari.
Cio’ non significa che non vi siano alcune prestazioni mediche che, per la loro ordinarieta’, possano ritenersi conosciute dalla maggioranza dei possibili pazienti, per essere entrate a far parte della comune esperienza di ciascuno: mi riferisco, a titolo d’esempio, al prelievo di sangue, all’applicazione di un gesso, ad un’iniezione antitetanica. Che tali prestazioni comportino, ora l’iniezione con relativa minima ferita al braccio, ora l’immobilizzazione della parte ingessata, e’ caratteristica che puo’ ritenersi, a ragione, conosciuta o conoscibile con la dovuta ordinaria diligenza da parte di ciascuno, salvo che non vi siano elementi per sostenere che il professionista avrebbe dovuto avvedersi dell’assoluta mancanza di consapevolezza, da parte del paziente che assisteva, delle piu’ elementari nozioni medico-sanitarie e pertanto preoccuparsi di integrarne la conoscenza.
In ogni altro caso non riferibile a tale minima categoria di presunta conoscenza, il dovere d’informazione assume un rilievo fondamentale, in una duplice direzione: da una parte, infatti, la corretta informazione costituisce il presupposto per la valida prestazione del consenso al trattamento medico, dall’altra, assume i contorni di un dovere autonomo rispetto alla stessa colpa professionale, potendone addirittura prescindere. Tale secondo aspetto sara’ trattato nel successivo paragrafo.
Riprendendo le osservazioni pertinenti al primo dei due temi di rilievo, occorre rilevare che il professionista, prima di acquisire il consenso , si deve preoccupare di illustrare compiutamente al paziente la situazione che ha di fronte, le possibilita’ d’intervenire, i probabili effetti benefici che ne dovrebbero conseguire, nonche’ i rischi che potrebbero derivarne; deve dunque mettere il paziente nelle condizioni di effettuare, nel limite delle proprie possibilita’, una valutazione, quanto piu’ cosciente e completa, dei <<costi>> e dei <<benefici>>, e prestare di conseguenza il consenso all’effettuazione delle operazioni che la scelta comporta.
I riferimenti normativi, anzitutto di rango costituzionale, sono chiaramente illustrati nel brano di sentenza che riporto di seguito:
[…] tale informazione e’ condizione indispensabile per la validita’ del consenso, che deve essere consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico, senza del quale l’intervento sarebbe impedito al chirurgo tanto dall’art. 32 comma 2 della Costituzione , a norma del quale nessuno puo’ essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, quanto dall’art. 13 cost. , che garantisce l’inviolabilita’ della liberta’ personale con riferimento anche alla liberta’ di salvaguardia della propria salute e della propria integrita’ fisica, e dall’art. 33 della l. 23 dicembre 1978 n. 833, che esclude la possibilita’ di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volonta’ del paziente se questo e’ in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessita’ (art. 54 cod. pen.).
Affermati tali imprescindibili riferimenti normativi, gli ulteriori percorsi interpretativi volti ad inquadrare la violazione del dovere d’informare, secondo i principi desumibili dal codice civile, non mancano di stimolare ulteriormente la riflessione.
Infatti l’accordo tra medico e paziente, presupponendo una corretta informazione , perde altrimenti ogni significato per un vizio del consenso, conseguendone l’annullabilita’ ex artt. 1427 e segg. cod. civ .
Il vizio che inerisca al consenso informato e’ altresi’, secondo una tesi peraltro non condivisa da molti, motivo di responsabilita’ precontrattuale , ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. , sul presupposto della violazione del comportamento in Qbuona fedef del professionista. Tuttavia sembra preferibile muovere, nei confronti di quest’ultima ipotesi, una critica. Il rilevo che il difetto d’informazione ha nel contratto d’opera, sembra infatti non tanto da relegarsi alla responsabilita’ precontrattuale, da individuarsi nella fase delle trattative, peraltro gia’ superata: il dovere d’informazione rileva piuttosto come oggetto della stessa prestazione contrattualmente dovuta.
E ancora, l’eventuale conoscenza della difettosita’ d’informazione al paziente, ai sensi dell’art. 1338 cod. civ. , integrando gli estremi della previsione contenuta nella norma, pone in capo al sanitario il conseguente dovere di risarcire il danno subito dal paziente, qualora non abbia dato notizia a quest’ultimo della consapevolezza acquisita in merito al vizio dell’informazione dovuta.
Soprattutto preme di sottolineare che il consenso informato e’ manifestazione del diritto di autodeterminazione, tutelato da norme di rango costituzionale, come in precedenza detto, e non e’ piu’ condizionato dagli angusti confini descritti dall’art. 5 cod. civ., entro i quali una superata dottrina tentava di racchiudere la legittimazione dell’attivita’ medica.
Il codice deontologico del 1995, all’art. 31 , descrive il consenso come fondamento di legittimazione dell’atto medico , in ossequio ai menzionati principi costituzionali di cui agli artt. 13 e 32, sull’importanza dei quali lo stesso Consiglio Nazionale di Bioetica nel documento “Informazione e consenso all’atto medicoâ€, osserva che:
“dal disposto degli artt. 13 e 39 della Costituzione discende che al centro dell’attivita’ medico-chirurgica si colloca il principio del consenso, il quale esprime una scelta di valore nel modo di concepire il rapporto tra medico e paziente, nel senso che detto rapporto appare fondato prima sui diritti del paziente che sui doveri del medico. Sicche’ sono da ritenere illegittimi i trattamenti sanitari extra-consensuali, non sussistendo un “dovere di curarsi†se non nei definiti limiti di cui all’art. 32 cpv. 2 Cost. E’ da precisare tuttavia che pure il principio del consenso incontra dei limiti, giacche’ nonostante il consenso, l’intervento risulta illecito quando supera i limiti della salvaguardia della vita, della salute, dell’integrita’ fisica, nonche’ della dignita’ umana”.
Affinche’ il consenso sia legittimamente prestato deve essere reso personalmente, contenendo precisi riferimenti al caso di specie, cosi’ da non far incorrere chi lo presta in errori di valutazione, nonche’ essere consapevole. I prossimi congiunti non possono pertanto prestare il consenso in luogo dell’interessato, dovendosi ritenere che, in mancanza della sussistenza di un pericolo di gravi danni per il paziente, sia da mantenere fermo il principio della prestazione personale: dovra’ cosi’ attendersi che quest’ultimo riacquisti la capacita’ per prestarlo validamente.
Al contrario, ove si verificassero le condizioni di pericolo di gravi danni, il medico dovra’ intervenire indipendentemente da quanto affermino i congiunti.
Se si tratta di minore o di interdetto, il consenso dovra’ essere prestato dal legale rappresentante . Sussistendo opposizione al trattamento, nonche’ contestualmente motivi di urgenza per la salute del paziente, al medico non rimarrebbe altra via che adire il giudice tutelare il quale avra’ la possibilita’ di dichiarare la temporanea decadenza della potesta’ ex artt. 330 e 333 cod. civ.
Il consenso inoltre dovrebbe essere sempre scritto, non in quanto la formulazione orale sia incompatibile con i principi su esposti, ma poiche’ in tal modo il sanitario sarebbe in grado di dimostrare agevolmente la sussistenza del consenso stesso; ne discende l’opportunita’ e della sua formulazione scritta e del suo sistematico inserimento nella cartella clinica . Ad una mera prestazione orale osta anche un’ulteriore circostanza relativa alla maggior semplicita’ dell’apprendimento, da parte del paziente, delle numerose informazioni contenute nel modulo di consenso, meritando queste, ove possibile, una meditazione attenta.
Spesso, peraltro, il paziente viene invitato a fornire il proprio consenso firmando moduli prestampati che non possono soddisfare di volta in volta le specifiche esigenze del caso, e che spesso, data la loro incompletezza, non contengono, come al contrario sarebbe auspicabile, i precisi riferimenti al tipo d’informazione e alle caratteristiche dell’intervento, ovvero riportano formule liberatorie di responsabilita’ nei confronti dell’ente ospedaliero prive di fondamento giuridico e per questo foriere di inutili incomprensioni.
Venendo ora ad alcuni aspetti caratterizzanti particolari profili di -assunta- diversa intensita’ dell’informazione da fornire, e rinviando per un’analisi piu’ dettagliata al paragrafo relativo al caso del chirurgo estetico , vi e’ ancora da affrontare la necessita’ o meno di un’informazione che sia direttamente proporzionale -quanto alla sua profondita’- all’entita’ del rischio esistente. Al fine di evitare ulteriori differenziazioni, giova ribadire l’importanza di un’informazione piena e consapevole in ogni caso, a prescindere dall’adesione a criteri di quantificazione che risulterebbero, comunque, di difficile e dubbia applicabilita’, con la conseguenza di incrementare le perplessita’ degli operatori sanitari e dei pazienti interessati.
Piuttosto la giurisprudenza piu’ recente ha sottolineato la necessita’ che Qnegli interventi chirurgici in varie fasi, che assumano una propria autonomia gestionale e diano luogo a scelte operative diversificate, ognuna delle quali presenta rischi diversi, l’obbligo di informazione del sanitario si estende alle singole fasi ed ai rispettivi rischif. Tale principio, di rilevante applicabilita’ nel contesto odierno, rappresentato prevalentemente dal lavoro d’e’quipe, assume notevole importanza ai fini del nostro discorso provocando, da un punto di vista meramente pratico, alcuni problemi organizzativi e burocratici, peraltro superabili, ai sanitari. Infatti, vinte le prime diffidenze in merito alla corretta pratica informativa al paziente, sara’ opportuno operare in modo da ottenere il consenso scritto relativamente ad ogni singola fase: quindi, a mero titolo esemplificativo, dovendo il paziente sottoporsi ad un intervento di meniscectomia mediale, nel corso delle visite che precedono tale tipo d’intervento -per lo piu’ realizzato oggi nelle forme agili del day hospital- quale quella presso l’anestesista, o lo specialista ortopedico, il paziente ha diritto di essere adeguatamente informato circa le caratteristiche dei singoli interventi, i rischi che si possono prevedere, infine le scelte che i diversi specialisti intendono operare. Sulla scorta dell’adeguata informazione prestera’ poi i consensi necessari al fine di procedere all’intervento.
Non risulterebbe altrimenti accettabile, mi sia consentito, comprendere come un paziente debba essere informato solo relativamente all’intervento specifico -in tale caso la meniscectomia-, senza ricevere adeguata informazione sulle scelte che l’anestesista intende operare, non essendo queste ultime certo meno importanti di quelle del chirurgo o dello specialista in ortopedia.
Riprendendo i termini dell’esempio, la scelta dell’anestesista, per tale tipo di interventi routinari, e’ normalmente quella della rinuncia alla c.d. anestesia totale per molte ragioni, che non e’ detto pero’ siano assorbenti. E mi spiego. L’anestesia in linguaggio comune detta <<spinale>> che non comporta, come e’ noto, la perdita di coscienza del paziente, risulta certo piu’ comoda e veloce, potendo pero’ nascondere anche insidie, ove non praticata correttamente, di notevole entita’ e comunque interessare valutazioni dello specialista, anche di segno opposto, quando sia messo a conoscenza di eventuali pregresse vicende negative subite dal paziente per tale tipo di intervento.
Riemerge in tale contesto, con una certa forza, l’importanza gia’ accennata dell’anamnesi, attraverso la quale ottenere dal paziente notizie sulla sua pregressa storia clinica e operare di conseguenza.
Venendo ora agli aspetti organizzativi di tale modalita’ d’informazione, non sarebbe forse inutile soffermarsi sulla necessita’ di organizzare, come avviene nei presidi ospedalieri piu’ attrezzati, visite separate nel corso delle quali ciascuno specialista, sotto la propria responsabilita’, illustrera’ al paziente il quadro clinico, chiedendo di volta in volta il consenso specifico alla terapia e/o modalita’ d’intervento appena illustrata. Dovrebbero in tal modo ottenersi, alla fine del ciclo di visite, una serie di moduli personalizzati e specifici di consenso informato che dovranno ovviamente confluire nella cartella clinica del paziente, completando la documentazione in essa contenuta.
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