EDITORIAL: Lesione di interessi legittimi di diritto privato; Analisi e tutela delle singole figure (segue: associazioni, famiglia, interdizione, comunione, mora)
Le associazioni (art.23 c.c.).
In tutto simile alla disciplina ora esaminata per le societa’ e’ quella prevista dal codice in riferimento alle associazioni, riconosciute e non, le quali rappresentano dei gruppi di persone organizzate stabilmente per il perseguimento di scopi comuni a carattere non economico.
Gli articoli che disciplinano le societa’ (art.2377 c.c.) da una parte e le associazioni (art.23 c.c.) dall’altra presentano la stessa impostazione: in entrambi il potere di impugnazione delle delibere viziate viene riconosciuto agli organi dell’ente o, nel caso delle societa’, agli amministratori ed ai sindaci, ma, mentre l’art.23 c.c. attribuisce la legittimazione ad agire a tutti gli associati, indipendentemente dal tipo di posizione che hanno assunto in sede di votazione , l’art.2377 c.c. limita detta possibilita’ esclusivamente ai soci assenti o dissenzienti. Inoltre l’art.23 c.c. riconosce il potere di impugnativa anche al pubblico ministero, data la particolare natura delle associazioni, per le quali e’ richiesto il riconoscimento statale per l’acquisto della personalita’ giuridica.
Da tali premesse appare logico inquadrare anche in ambito associativo lo schema “esercizio del potere – interesse legittimoâ€, approfondito in riferimento alle societa’. Infatti la stessa giurisprudenza, in una pluralita’ di pronunce su le impugnazioni delle delibere del consiglio di amministrazione o dell’assemblea di una associazione, rinvia, in mancanza di una disciplina espressa o di una diversa volonta’ degli associati, al regime dell’annullamento delle deliberazioni sociali, rammentando che tale impugnativa e’ ammessa solo per motivi di legittimita’ e non di merito.
Vista l’effettiva similarita’ pare superfluo ripercorrere tutte le considerazioni che sono state fatte in riferimento alle societa’, ritenendole valide anche in relazione alle associazioni.
La famiglia.
Matrimonio contratto con violazione degli artt.84, 86,87,88 c.c. (art.117 c.c.).
Una delle primarie e piu’ importanti comunita’ che assume rilievo per il diritto e’ costituita dalla comunita’ familiare, formata prima di tutto dai coniugi, e poi dal loro rapporto con i figli.
Viene in evidenza l’art.117 c.c., il quale statuisce che “il matrimonio contratto con violazione degli artt.86, 87 e 88 puo’ essere impugnato dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarlo un interesse legittimo ed attualeâ€. Il legislatore, rinviando agli artt.86, 87 e 88 c.c., si riferisce a tutte quelle condizioni di carattere morale e sociale che rappresentano il presupposto di un matrimonio legittimo, sia sotto il profilo legale che morale.
L’art.86 c.c. contiene il principio della liberta’ di stato, consistente nel fatto che chiunque voglia contrarre matrimonio debba essere svincolato da ogni tipo di legame precedente, non ammettendosi la bigamia, che, ai sensi dell’art.556 c.p., e’ considerata un delitto contro la famiglia e contro il matrimonio, e per la quale e’ prevista la reclusione da uno a cinque anni. L’art.87 c.c., invece, pone dei limiti alla contrazione del matrimonio: individua tutti quei rapporti di parentela, affinita’, adozione o affiliazione che precludono la creazione del vincolo matrimoniale tra soggetti che appartengono ad una di tali categorie. Infine l’art.88 c.c. prescrive il divieto di contrazione del vincolo matrimoniale tra persone di cui una delle due abbia subito una condanna per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra.
In tutti questi casi il codice riserva ad alcuni soggetti la legittimazione ad agire in giudizio per far valere la nullita’ del matrimonio per la presenza di uno dei suddetti vizi. Il riconoscimento che viene fatto per i coniugi e’ ovvio, rappresentando questi le parti maggiormente interessate, poiche’ coinvolte in prima persona. Il riferimento agli ascendenti prossimi, invece, e’ motivato dall’esigenza di tutelare i valori e gli interessi della famiglia. Ed infine l’intervento del pubblico ministero trova giustificazione nel fatto che la materia ha una rilevanza di carattere generale; infatti sono violati non solo interessi delle parti direttamente coinvolte (i coniugi) o di loro prossimi congiunti, ma anche interessi della collettivita’ che nella comunita’ familiare ha una componente di rilievo, com’e’ anche nel caso in cui vengano posti in essere atti o comportamenti contrari alla morale comune, all’ordine pubblico o al buon costume.
Tutti i soggetti indicati dal primo comma dell’art.117 c.c. sono considerati portatori d’interessi la cui rilevanza e’ stata riconosciuta a priori dalla legge, senza dover ricorrere ad alcun tipo d’indagine di merito. Particolare attenzione merita il riferimento del legislatore che include tra i soggetti legittimati ad impugnare il matrimonio anche tutti coloro che vantino un “interesse legittimo ed attualeâ€.
Questa disposizione e’ uno dei pochi casi in cui nel codice civile si menziona espressamente l’interesse legittimo. Tale dicitura ha creato in sede d’interpretazione non pochi problemi, in quanto ci si e’ domandati se fosse piu’ opportuno riservarle un tipo di interpretazione estensiva o restrittiva. A tale proposito la pronuncia della Cassazione del 6 febbraio 1986, n°720 stabilisce che “l’interesse legittimo ed attuale†non puo’ identificarsi con qualunque interesse, morale o patrimoniale, giuridicamente rilevante, ma e’ ravvisabile solo nei casi in cui vi siano posizioni soggettive di terzi che siano attinenti al complessivo assetto dei rapporti familiari sui quali il matrimonio viene ad incidere e, che da questo traggono un pregiudizio diretto ed immediato. Cio’ significa che il “chiunque vi abbia interesse†dell’art.117 c.c. non va letto alla stessa stregua di quello contenuto nell’art.1421 c.c. relativo alla nullita’ del contratto in generale, per il quale si ritiene sufficiente, al fine di proporre l’azione di nullita’, che vi sia stato un pregiudizio derivante dall’atto invalido. Una conferma di cio’ e’ contenuta nello stesso codice, il quale precisa, nel caso del matrimonio, che l’interesse deve essere legittimo ed attuale.
Nel caso di specie l’interesse dell’INPS, che aveva chiesto la nullita’ del secondo matrimonio contratto in costanza di prime nozze al fine di stabilire nei confronti di quale soggetto dover effettuare il pagamento della pensione di reversibilita’, non e’ stato ritenuto un interesse immediato e socialmente apprezzabile. L’interesse legittimo ed attuale la cui titolarita’ e’ richiesta dall’art.117 c.c., secondo la Cassazione, e’ ravvisabile nei soli casi in cui vi siano posizioni soggettive di terzi attinenti al complessivo assetto dei rapporti familiari sui quali il matrimonio viene ad incidere, e che traggono un pregiudizio diretto ed immediato dal matrimonio, che non sia esclusivamente economico.
Interdizione (art.119 c.c.).
Di contenuto simile all’art.117 si presenta l’art.119 c.c., che attiene all’annullamento del matrimonio a causa dell’infermita’ di mente di uno dei coniugi. Anche in questo caso la legittimazione ad agire dei soggetti cui l’articolo si riferisce e’ facilmente comprensibile: il tutore ha un dovere ad impugnare l’atto quando lo ritenga lesivo per gli interessi dell’incapace; il pubblico ministero interviene ogni qualvolta sia in gioco un interesse che riveste carattere generale, o quando la contrazione di un matrimonio con una persona incapace di valutare le conseguenze dell’atto puo’ coinvolgere interessi che esorbitano dalla specifica sfera delle parti contraenti ed incidere anche su posizioni di terzi (primi fra tutti gli eventuali figli).
Anche qui il legislatore fa riferimento a “tutti coloro che vantino un interesse legittimoâ€, nel senso che nel caso d’interdizione – che deve essere gia’ stata accertata con sentenza passata in giudicato anteriormente alla celebrazione del matrimonio, oppure, se l’interdizione e’ stata pronunciata successivamente, l’infermita’ deve comunque esistere al tempo del matrimonio – sono considerati legittimati ad impugnare l’atto di matrimonio soltanto coloro che da tale legame abbiano tratto un pregiudizio, e coloro che siano collegati al nucleo familiare. Percio’ non sono sufficienti semplici pretese economiche e morali, poiche’, altrimenti, l’ambito d’azione sarebbe troppo vasto per essere controllato.
Alla base di tale interesse si nasconde un pregiudizio che il legittimato ha subito in conseguenza dell’atto illegittimo, e l’esistenza di detto pregiudizio giustifica un’eventuale azione di risarcimento del danno, per la quale e’ necessario che sia intervenuto l’annullamento del matrimonio tramite sentenza che abbia accertato l’effettiva sussistenza del vizio lamentato. In mancanza dell’annullamento si presume che il vizio non esista e che l’atto sia valido; e’ appunto tale validita’ che fa venire meno la legittimazione all’esercizio dell’azione di risarcimento del danno.
Ottenuta la sentenza d’annullamento si potra’ esperire l’azione di risarcimento che, nel caso dell’art.117 c.c., sara’ diretta nei confronti di entrambi i coniugi, i quali risponderanno solidalmente laddove entrambi fossero stati a conoscenza dell’impedimento, mentre sara’ rivolta esclusivamente nei confronti del coniuge in mala fede, laddove soltanto uno dei due fosse stato a conoscenza dell’esistenza del vizio.
Per quanto attiene invece all’art.119 c.c., l’interdetto non potra’ mai essere ritenuto responsabile, in quanto incapace di intendere e di volere, per cui l’azione di danno sara’ diretta nei confronti dell’altro coniuge, se si accerta che questi era a conoscenza dell’interdizione, ovvero nei confronti di qualunque terzo di mala fede che abbia contribuito alla contrazione del matrimonio. Se, al contrario, non venga riconosciuta la responsabilita’ di alcuno dei soggetti piu’ o meno direttamente coinvolti, l’azione non potra’ essere posta in essere.
Da cio’ si deduce che per ottenere l’annullamento del matrimonio e’ sufficiente che il soggetto interessato dia prova dell’esistenza del vizio che inficia l’atto, mentre per il risarcimento del danno devono ricorrere i presupposti di cui all’art.2043 c.c., cioe’ deve potersi individuare un comportamento “doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiustoâ€.
Comunione e condominio negli edifici (artt.1107, 1109, 1137 c.c.).
In riferimento alla comunione ed al condominio negli edifici, gli artt.1107, 1109 e 1137 c.c., che attengono rispettivamente all’impugnazione del regolamento ed a quella delle deliberazioni dell’assemblea, prevedono una disciplina identica sia per quanto attiene ai soggetti legittimati ad agire (solamente i membri assenti o dissenzienti), sia per quanto riguarda il termine di decadenza entro il quale va effettuata l’impugnazione (trenta giorni). Il legislatore pero’ in tali articoli non qualifica il tipo di azione che puo’ essere fatta valere, non esprime se la disciplina attenga alla nullita’ o piuttosto all’annullabilita’.
A tale proposito la giurisprudenza in piu’ occasioni si e’ pronunciata sulla questione sottolineando come l’art.1137 c.c. (e cosi’ anche gli altri) si riferisca alle deliberazioni annullabili, mentre per quelle nulle provvederebbe l’art.1421 c.c., secondo il quale la nullita’ puo’ essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, senza il rispetto di termini di decadenza. Pertanto, il condomino che abbia partecipato all’assemblea ed abbia espresso voto conforme alla deliberazione che si assume nulla, non e’ escluso dal diritto di far valere tale nullita’, ma deve dimostrare di avervi un interesse effettivo.
Tale legittimazione viene invece esclusa in riferimento a tutti coloro che abbiano contribuito all’approvazione della delibera (o del regolamento) se il vizio comporti l’annullabilita’ piuttosto che la nullita’, in questo caso il codice prevede che l’azione puo’ essere esercitata solo dai partecipanti dissenzienti o dagli assenti; escludendo la legittimazione dei presenti consenzienti.
Chiarito che le disposizioni in esame fanno riferimento all’azione d’annullabilita’, il contributo della giurisprudenza permette di eliminare qualsiasi dubbio sulla natura dell’azione dell’autorita’ giudiziaria, il cui sindacato non si puo’ estendere al merito delle decisioni assunte dall’assemblea, ma deve limitarsi al controllo della loro conformita’ al dettato legislativo. Un potere d’indagine particolare viene attribuito al giudice nel caso in cui il vizio lamentato consista in un eccesso di potere, ma anche in questo caso il giudizio rimane limitato alla legittimita’, poiche’ non e’ ritenuto competente a sindacare sull’opportunita’ o sulla convenienza della soluzione adottata, dovendo solo stabilire se la delibera sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere dell’assemblea.
Il vizio dell’eccesso di potere si configura tutte le volte in cui la finalita’ delle deliberazioni sia deviata dal perseguimento dell’interesse comune, nel senso che l’assemblea esorbiti dai confini che la legge le ha attribuito per l’esercizio dei suoi poteri. Nei casi in esame il concetto di eccesso di potere, secondo una dottrina , ha una portata piu’ limitata rispetto a quella configurabile per le societa’ o le associazioni, in quanto in questo ultimo caso viene in rilievo un ente autonomo la cui personalita’ e volonta’ trascende la somma delle volonta’ di tutti i singoli individui che ne fanno parte, ed autonomo e’ l’interesse sociale che deve venire perseguito rispetto ai singoli interessi che spingono ogni componente a prendere parte all’attivita’ sociale. L’eccesso di potere si puo’ configurare quando vengano utilizzati tali poteri per perseguire finalita’ che non sono quelle sociali, o che sono volte a danneggiare membri della minoranza, a totale beneficio della maggioranza.
Nell’ambito della comunione e del condominio, invece, ci si trova di fronte ad un insieme di persone che, indipendenti l’una dall’altra, sono legate tra loro dalla cura ed amministrazione di un bene comune e, l’unico interesse che li lega consiste nell’evitare qualunque atto pregiudizievole per la cosa comune. Di conseguenza non sono configurabili come vizi quei comportamenti che si ritiene essere stati ispirati dal perseguimento di finalita’ proprie, in quanto in quest’ambito non e’ ravvisabile un vero interesse comune. Quindi, se l’oggetto della deliberazione rientra tra quelli per cui l’assemblea ha il potere di deliberare, e la deliberazione non e’ “gravemente pregiudizievole alla cosa comuneâ€, diventa del tutto irrilevante un’indagine sui motivi che hanno indotto i condomini a dare il loro assenso alla delibera.
Anche in relazione alle fattispecie descritte in materia di condominio e comunione e’ possibile ravvisare situazioni soggettive qualificabili come interessi legittimi: una pluralita’ d’individui, tra loro accomunati dal godimento e dalla gestione di un bene comune, ed uniti dall’interesse generale del migliore utilizzo di tale bene. La mancata realizzazione dell’interesse generale puo’ determinare un pregiudizio personale ed immediato per uno o piu’ componenti del gruppo.
Il singolo partecipante, che dal comportamento illegittimo del resto del gruppo subisce un pregiudizio, e’ tutelato attraverso l’azione di annullamento della delibera o del regolamento, che puo’ essere promossa esclusivamente da coloro che non hanno contribuito all’approvazione (gli assenti e i dissenzienti). L’annullamento, con il quale viene tutelato anche l’interesse legittimo del condomino o del comunista, fa cessare gli effetti che dall’atto illegittimo sono derivati e ripristina la situazione di fatto esistente anteriormente all’atto.
Nell’eventualita’ in cui qualcuno dei condomini o comunisti abbia ricevuto un pregiudizio prima dell’annullamento dell’atto, l’azione puo’ non costituire una tutela sufficiente. Puo’ chiedersi un risarcimento del danno facendo valere, non un diritto soggettivo, quanto piuttosto una posizione tutelabile indirettamente, fintanto che l’interesse del singolo sia coincidente con quello generale del gruppo, e cioe’ un interesse legittimo .
Per potere esperire l’azione di risarcimento del danno e’ necessaria la preventiva sentenza di annullamento della delibera da cui sia derivato il danno.
Mora del creditore (artt.1206, 1207 c.c.).
Sicuramente le organizzazioni collettive rappresentano il terreno migliore in cui individuare gli interessi legittimi di diritto privato, ma non e’ certamente il solo. Vi sono anche altre disposizioni nel codice civile che si occupano della questione in esame, tra cui si puo’ annoverare la cd. mora del creditore, di cui all’art.1206 c.c..
Dall’esame di tale disposizione emerge come tra i soggetti di un rapporto obbligatorio esiste un dovere di cooperazione, affinche’ la prestazione oggetto dell’obbligazione possa essere adempiuta. Tale dovere di collaborazione va inquadrato nel piu’ generale principio di correttezza e di buona fede cui sia il debitore che il creditore devono attenersi (artt.1175 e 1375 c.c.).
Accanto al tradizionale rapporto debito – credito, in base al quale un soggetto sopporta un sacrificio per la soddisfazione dell’interesse dell’altro soggetto, e’ possibile delineare anche un altro tipo di rapporto di natura strumentale, in cui le parti sono invertite e rileva la posizione del debitore : in qualsiasi rapporto obbligatorio, accanto all’interesse del creditore alla soddisfazione, si puo’ delineare anche un interesse del debitore alla liberazione da tale vincolo. E’ evidente che la liberazione non si possa verificare se il creditore non collabora con il debitore, laddove tale collaborazione sia necessaria all’adempimento.
La giurisprudenza ha affermato che “a norma dell’art.1206 c.c., il creditore in tanto e’ tenuto a cooperare all’adempimento del debitore, in quanto tale cooperazione sia necessaria e, l’accertamento della necessita’ di cooperazione deve essere compiuto con riferimento alla portata obiettiva dell’obbligazione medesima, nel senso che l’attuazione del rapporto obbligatorio non sia giuridicamente possibile senza il concorso del creditoreâ€.
Assume quindi rilevanza la posizione del debitore, che non assurge a livello di diritto soggettivo, in quanto si colloca dal lato passivo del rapporto obbligatorio, ma muove piuttosto dal suo interesse alla liberazione dal vincolo obbligatorio, la cui soddisfazione e’ condizionata dal comportamento “discrezionale†del creditore, che potrebbe anche, ma solo per un motivo legittimo, non accettare la prestazione, e non collaborare per l’adempimento della stessa. Si e’ cosi’ ravvisata nella posizione del debitore un interesse legittimo, dato che questi puo’ vedere soddisfatto il proprio interesse (alla liberazione del vincolo) soltanto se coincide con quello del creditore (all’adempimento della prestazione), e pertanto verra’ tutelato solo in via indiretta.
L’istituto della mora del creditore nasce dall’esigenza di tutelare il debitore dall’illegittimo abuso che il creditore possa fare della propria posizione di diritto e di potere, consistente nel rifiuto di ricevere la prestazione, oppure nel mancato compimento di quanto necessario per permettere al debitore d’adempiere, senza che vi sia stato un giustificato motivo. Per giustificato motivo s’intende l’idoneita’ del bene oggetto dell’offerta a soddisfare l’interesse del creditore, di modo che questi e’ legittimato a rifiutare l’offerta di un bene diverso, ovvero quantitativamente o qualitativamente inferiore rispetto a quello pattuito . Deve esserci stata effettivamente l’offerta della prestazione, tale da far emergere la responsabilita’ del creditore. Non puo’ considerarsi in mora il creditore che, mancando un’offerta d’adempimento, non abbia collaborato con il debitore .
Anche, anche in questo caso si ripresenta il consueto schema “esercizio del potere – interesse legittimoâ€, dal quale puo’ derivare un pregiudizio per il debitore che potrebbe agire per il risarcimento dei danni nei confronti del creditore. A differenza di altri istituti, qui e’ lo stesso codice che prevede all’art.1207 c.c., tra gli effetti della mora, l’obbligo a carico del creditore di risarcire i danni provocati al debitore in conseguenza del suo comportamento illegittimo. Questa previsione va letta come espressione del principio di risarcibilita’ degli interessi legittimi nel diritto dei privati, piuttosto che come norma eccezionale. Infatti nel sistema del diritto privato, non condizionato da esigenze di finanza pubblica, la limitazione del risarcimento dei danni alla lesione di diritti soggettivi assoluti sia da considerare ormai superata.
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