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MARCHI: Condannato dalla Corte di Giustizia il “falso parmigiano”

8 Luglio 2002 Commenta

Registrata una denominazione come DOP (denominazione di origine protetta), il regime derogatorio, previsto dal n. 2 dell’art. 13 per permettere, a certe condizioni ed entro certi limiti, di continuare ad usare questa denominazione, vale solo ed esclusivamente per prodotti non originari dello stato della DOP.

Il 25 giugno 2002 la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha emesso la sentenza per la causa che oppone in Italia il Consorzio del Parmigiano Reggiano al sig. Bigi, legale rappresentante della Nuova Castelli s.p.a., che produce e commercializza un formaggio grattugiato, essiccato, pastorizzato ed in polvere, preparato con una miscela di vari tipi di formaggi di diversa provenienza, che non rispetta il disciplinare DOP “Parmigiano Reggiano” e la cui vendita nel nostro Paese, è, di conseguenza, vietata. Tale formaggio viene commercializzato esclusivamente fuori dall’Italia ed in particolar modo in Francia con l’etichetta “Parmesan”.

DOP (denominazioni di origine protetta) e IGP (indicazioni geografiche protette) sono state introdotte dal regolamento del Consiglio CE n. 2081/92 al fine di tutelare tutte le produzioni di qualità. In Europa, infatti, esistono paesi ricchi di prodotti tipici come Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, sensibili alla loro tutela e paesi, invece, imitatori delle nostre tipicità, come Germania, Austria, Gran Bretagna, Olanda e altri.

Da anni i falsi dei prodotti alimentari italiani maggiormente conosciuti sono commercializzati in molti paesi, non solo europei. Per alcuni, come “pizza” e “spaghetti” non è possibile intervenire in alcun modo perché non sono denominazioni protette, ma, la maggior parte dei salumi, dei formaggi, degli oli d’oliva e dei vini rientrano tra i prodotti DOP e IGP ed in quanto tali sono riconosciuti e tutelati a livello europeo. La commercializzazione delle imitazioni italiane ha arrecato ed arreca tutt’ora un danno spaventoso alla nostra immagine e alla nostra economia.

Il vero problema è stabilire quando sussiste l’imitazione. La Corte di Giustizia, anni fa, ha vietato alla Danimarca di commercializzare il “Danish Grana”, perché imitava il Grana Padano, denominazione tutelata per intero, nel senso che non si possono usare nessuno dei due termini. Al vaglio della Corte sono ancora oggi due contenziosi, relativi alla possibilità di elaborare (affettare o grattugiare) ed imballare il Prosciutto di Parma e il Parmigiano Reggiano fuori dall’area di origine e dal sistema di controlli stabiliti dai rispettivi disciplinari di produzione per …

… garantire ai consumatori europei la qualità che si attendono.

La sentenza della Corte europea è stata emessa a seguito del rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Parma, che ha sospeso il procedimento penale a carico del sig. Bigi, per sottoporre alla stessa Corte ben 7 quesiti sull’interpretazione dell’art. 13 par. 2 del regolamento 2081/92 istitutivo del regime di protezione delle denominazioni di origine. Tale regime, da un lato, prevede che, una volta registrata una DOP, ne è vietata qualsiasi utilizzazione per prodotti non conformi al relativo disciplinare, dall’altro, permette, in via transitoria, agli stati membri di autorizzare le imprese che hanno commercializzato prodotti non conformi nei 5 anni precedenti la registrazione della DOP, di continuare a farlo per altri 5 anni, purché l’etichetta indichi con chiarezza la vera origine del prodotto.

In particolare il giudice italiano ha chiesto alla Corte di specificare quale sia l’ambito temporale e materiale di applicazione della deroga prevista dall’art. 13 par. 2, considerato che il sig. Bigi invoca a propria difesa proprio quanto disposto da questa norma, sostenendo che lo Stato italiano non ha il diritto di vietare ai produttori, aventi sede in Italia, la fabbricazione di un formaggio non conforme alla DOP “Parmigiano Reggiano”, qualora tale formaggio sia destinato alla commercializzazione in altri stati membri. Prima di esaminare il merito delle domande sottoposte alla sua attenzione, la Corte ha dovuto decidere la questione della ricevibilità delle domande pregiudiziali.

Il governo tedesco, infatti, ne ha sostenuto l’irricevibilità in quanto, essendo “Parmesan” una denominazione generica, ossia il nome comune di un prodotto alimentare e non una DOP, la risposta alle questioni proposte non sarebbe necessaria per la risoluzione della causa principale. La Corte, dopo aver precisato che può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo se risulta chiaramente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesto non ha alcun nesso con l’effettività o l’oggetto della causa principale ovvero se il problema sia di natura ipotetica ovvero se la Corte non ha elementi di fatto o di diritto utili per la soluzione delle questioni sottoposte al suo esame, ha affermato che nel caso de quo non è affatto evidente che la denominazione “Parmesan” sia divenuta generica. Come sostenuto da Umberto Leanza, capo del contenzioso diplomatico del ministero degli affari esteri “La denominazione generica per indicare formaggio da grattugiare già esiste e …

… non è “parmigiano” ma “grana”. Della grande famiglia dei “grana” fa parte anche il Parmigiano, ma a motivo dell’utilizzazione di un latte particolarmente pregiato, è un “grana” di qualità superiore rispetto agli altri”. Alla luce di queste considerazioni e del fatto che non sussiste alcuna delle condizioni suddette, la Corte ha dichiarato che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Passando ad esaminare le questioni pregiudiziali, la Corte europea, in sostanza, ha dovuto determinare se il regime derogatorio previsto dall’art. 13 par. 2 possa trovare applicazione con riguardo a prodotti provenienti dallo Stato membro che ha ottenuto la registrazione della DOP, a cui peraltro non sono conformi. La Corte si basa sullo scopo del regime di deroga, ricordando che la sua attuazione dipende da una manifestazione di volontà di ogni stato membro di mantenere, per un periodo di tempo limitato e a certe condizioni, il regime nazionale precedente alla protezione comunitaria. Dichiara, quindi, che questo regime riguarda solo le DOP ottenute con la procedura semplificata di cui all’art. 17, la quale presuppone che i prodotti fossero già protetti nello stato, anche prima della tutela comunitaria, e ne beneficino esclusivamente i prodotti originari di stati membri diversi da quello che ne ha chiesto la registrazione. Dopo che uno stato membro ha inoltrato richiesta di registrazione di una denominazione DOP, i prodotti non conformi al relativo disciplinare non possono essere legalmente immessi sul mercato nazionale.

Non solo: tali prodotti non possono neanche essere commercializzati in altri stati membri perché pregiudicherebbero sia i consumatori che la concorrenza, in quanto la sola indicazione della vera origine di un prodotto non conforme alla DOP non metterebbe al riparo dall’errore il consumatore. Il prodotto, commercializzato in un paese diverso da quello che ha chiesto la registrazione ad opera di un’impresa dello stato d’origine del prodotto DOP apparirebbe come un prodotto coperto da registrazione, ma non corrispondente al relativo disciplinare. In un mercato diverso da quello del prodotto DOP, questa indicazione di provenienza dà luogo a condizioni di concorrenza sleale a favore di colui che fabbrica il prodotto non conforme. 

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