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EDITORIAL: Il Trust. Segue – Il problema del trust “interno”; Il divieto di costituzione di trusts interni

27 Settembre 2002 Commenta

Il problema del trust “interno”


“Nessuno Stato e’ tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge applicabile, del luogo di amministrazione o della residenza abituale del trustee, siano collegati piu’ strettamente alla legge di Stati che non riconoscono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”, questo e’ il testo definitivamente approvato dell’art.13 della Convenzione dell’Aja. Venne esaminata nel corso dei lavori preparatori un’altra versione la quale prevedeva che nessuno Stato sarebbe stato tenuto a riconoscere un trust in cui il settlor avesse scelto una legge regolatrice straniera, ovvero avesse designato un trustee straniero, nonostante che tutti gli altri elementi della fattispecie fossero ubicati in tale Stato[1]. Secondo quest’ultima versione, il trust privo di elementi di internazionalita’ avrebbe dovuto essere necessariamente regolato dalla legge dello Stato cui gli elementi della fattispecie costitutiva risultassero collegati. Tenendo in considerazione il testo definitivo, “non si e’ ritenuto di subordinare l’applicabilita’ della Convenzione all’esistenza di requisiti di internazionalita’ della fattispecie o della sua idoneita’ a far sorgere conflitti di legge, come avviene per altre Convenzioni”[2].
Un primo problema e’ quello dell’individuazione di quali siano gli “elementi importanti” ex art. 13. Una tesi collega l’art.13 all’art.7, escludendo dalla categoria degli elementi significativi rintracciati nell’art.7 i tre elementi della legge applicabile, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee: sarebbero elementi importanti il luogo in cui i beni sono ubicati, lo scopo del trust e il luogo in cui questo scopo deve essere perseguito[3]. Un altro orientamento[4] porta alla inclusione tra gli elementi significativi anche della cittadinanza e della residenza sia del settlor che del beneficiario: escluderebbe la natura interna del trust il fatto che il disponente o il beneficiario siano cittadini stranieri e residenti all’estero. Infatti l’art.7 prende in esame “solo fatti collegati all’oggetto del trust (…) ed al trustee (…), senza prendere in considerazione ne’ fatti oggettivamente collegati al costituente ne’ fatti collegati al beneficiario”[5]. Tuttavia il criterio della cittadinanza e residenza del beneficiario potrebbe considerarsi un “elemento importante” anche secondo la prima tesi, essendo riconducibile alla previsione dell’art.7 d) “degli obiettivi del trust e dei luoghi dove dovranno essere realizzati”.

Comunque lo si interpreti, l’art.13 costituisce un limite alla liberta’ di scelta della legge regolatrice per il settlor: l’articolo viene in questione quando si tratta di creare un trust la cui fattispecie, priva o meno di internazionalita’, sia strettamente connessa con un ordinamento che, come quello italiano, non conosce il trust. Nonostante la scelta di una legge regolatrice straniera, “nessuno Stato e’ tenuto a riconoscere” il trust. La dottrina si e’ divisa sulla possibilita’ di ravvisare un divieto di costituire trusts interni.

Il divieto di costituzione di trusts interni


La tesi contraria ai trusts interni prende le mosse dall’apparato concettuale impiegato, prima dell’entrata in vigore della Convenzione, per sostenere l’incompatibilita’ del trust col nostro ordinamento civilistico. Una parte della dottrina ritiene che sussista un vero e proprio divieto di costituzione di trusts interni, non considerando decisiva un’interpretazione solo letterale dell’art.13.
Il primo argomento utilizzato e’ tratto dall’art.6 della Convenzione che stabilisce il principio della liberta’ di scelta della legge applicabile. Cio’ presupporrebbe, per i sostenitori di quest’orientamento, l’esistenza di una fattispecie caratterizzata da elementi d’internazionalita’ per giustificare l’intervento del diritto internazionale privato. Pertanto di fronte ad una fattispecie che non presenti collegamenti territoriali o personali con diversi ordinamenti giuridici non si porrebbe un problema di legge applicabile: laddove non ci sia conflitto possibile di leggi troverebbe applicazione la legge del foro.
Ricordato che l’art.5 esclude l’applicazione della Convenzione, qualora la legge determinata dal disponente non preveda l’istituto, autorevole dottrina ha sostenuto che l’unico significato congruo della norma sarebbe: “Qualora la legge applicabile, cosi’ come determinata dal capitolo II, non conosca l’istituto del trust, cosi’ come definito dall’art.2, non potra’ darsi luogo al riconoscimento come trust del rapporto giuridico, localizzato nell’ordinamento la cui legge e’ applicabile”[6]
La convinzione piu’ diffusa a base della tesi dell’inammissibilita’ dei trusts domestici e’ che vi sia “un principio generale [violato dal trust] e cioe’ quello della tipicita’ dei diritti reali, ipotizzando in capo al trustee una proprieta’ fiduciaria, priva del potere di godere e di disporre liberamente, potendo semmai il potere di disposizione solo essere strumentale ad un reinvesti­mento, nell’interesse del beneficiano, cui, in ultima analisi, la proprieta’ del patrimonio e’ destinata. Superata l’originaria motivazione legata al disfavore per i pesi imposti alla proprieta’ feudale e al favore, viceversa, per l’assolutezza dei poteri del proprietario, espressione della liberta’ dell’individuo, oggigiorno il principio del numerus clausus si basa, da un lato, sulla necessaria tutela dei terzi, ai quali, in presenza di un diritto reale, incombe un dovere di astensione, che puo’ conseguire solo ad una disciplina normativa e non gia’, anche con riferimento all’art. 1372, comma 2 c.c., frutto di autonomia privata, pur se l’interesse sia in astratto meritevole di tutela, e, dall’altro, sulla necessaria tipicita’ degli atti soggetti a trascrizione (di regola, appunto, quelli che hanno ad oggetto diritti reali), per ovvie esigenze di certezza dei traffici e di organizzazione dei registri”[7].
Si argomenta[8] che non sia possibile ritenere un trust “tutto italiano” (nei soggetti, nell’oggetto e nello scopo) contrario all’ordine pubblico, perche’ altrimenti non si riuscirebbe a capire come possa ritenersi pienamente valido un altro trust, la cui unica differenza starebbe nella diversa nazionalita’ delle parti. La dottrina che si sta esaminando risponde a tale critica ricordando che i redattori della Convenzione introdussero l’articolo 13 per consentire agli Stati (sottoscrittori), i quali non prevedevano il trust e intendevano limitarne l’uso da parte dei propri residenti, di emanare una legislazione restrittiva di tale uso. Allora sarebbe lecito dedurre che la Convenzione autorizzi e legittimi normative interne non in linea e anzi contrastanti con le sue finalita’. Di qui il corollario ulteriore della non necessaria coincidenza dei principi, compreso quello di ordine pubblico, ai quali le norme convenzionali e quelle nazionali rispettivamente si ispirano in materia di trust. “Questi rilievi trovano ulteriore conforto nell’art. 18 della Convenzione il quale, sull’argomento specifico, chiarisce che le [relative] disposizioni potranno non essere osservate qualora la loro applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico (interno). Insomma, proprio la Convenzione, alla stregua della quale dovrebbe intendersi superato il concetto di ordine pubblico (interno) detta una norma specifica che lo fa salvo”[9]. Persisterebbero, a causa dello sdoppiamento del diritto di proprieta’ contrario all’ordine pubblico interno, gravi dubbi sull’ammissibilita’ di un trust domestico, quali invece non sussisterebbero in relazione ad un trust che sia straniero anche per un solo elemento[10].

Uno dei maggiori ostacoli alla legittimita’ del trust interno deriverebbe secondo alcuni Autori[11] dall’art.2740 c.c., quale norma italiana inderogabile o di applicazione necessaria. “La questione decisiva verte sulla separazione, che il trust impone sui beni che ne costituiscono oggetto, rispetto al patrimonio del trustee. Ora una separazione di tal genere non e’ conseguibile quale esito puro e semplice di un atto di autonomia privata, essendo fin troppo evidenti gli indici che la legge fornisce nel senso che la separazione e’ realizzabile solo dalla legge”[12].

Peculiare e’ la posizione di sfavore rispetto all’ammissibilita’ di trusts domestici di quella dottrina che rileva: “Pur volendo tener ferma l’applicabilita’ della Convenzione dell’Aja, sembra in ogni caso opporsi, come arduo ostacolo ad un generale riconoscimento del trust interno operato in base alla Convenzione stessa, l’art. 15 lett. “d” di quest’ultima, il quale fa salve -le disposizioni di legge previste dalle regole di conflitto del foro-, inderogabili -mediante una disposizione di volonta’-, con specifico richiamo di quanto attiene in particolare, al -trasferimento della proprieta’-”[13].

La sfiducia dei fautori dell’orientamento contrario ai trusts interni si rafforza con l’osservazione che “sotto la spinta della novita’ sono state proposte soluzioni non sempre condivisibili, (…) c’e’ il desiderio di far entrare nel nostro ordinamento in modo surrettizio, attraverso la finestra della Convenzione dell’Aja, un istituto che il legislatore italiano non ha introdotto invece attraverso la porta principale della legge organica”[14]. Gli stessi Autori osservano che “la legge 364/1989 contiene una disciplina di diritto internazionale privato e, di conseguenza, si limita a regolare l’individuazione del diritto applicabile (…). Una cosa, dunque, e’ dire che il trust non sia piu’ ignoto al nostro ordinamento, altra cosa e’ ritenere che esso sia diventato un istituto disciplinato o disciplinabile alla stregua di qualsiasi altro istituto del diritto interno italiano”[15]
Parte della dottrina non e’ cosi’ categorica nel ravvisare un divieto di costituzione di “trusts tricolore”, pur esaminando tutti gli aspetti problematici che presenta la questione. Mazzamuto conclude un suo articolo sul tema con un vero e proprio invito: “Ancora una volta vale il richiamo ad approfondire prima di tutto l’analisi e la comprensione della fiducia all’interno del nostro ordinamento giuridico: ed e’ solo, dopo aver risolto e superato in ipotesi i problemi che la riguardano, magari anche con l’ausilio della comparazione con l’esperienza straniera, che sara’ forse possibile delineare l’istituto di diritto interno conforme al modello amorfo della Convenzione”[16].
In conclusione va segnalato un precedente (Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere del 14 luglio 1999)[17], che ha rigettato il reclamo proposto da un Notaio contro il provvedimento di rifiuto da parte del Giudice del Registro di iscrizione di un atto di acquisto di quote sociali da parte di un Trustee. Il Tribunale in primo luogo rileva la non riconoscibilita’ di un Trust i cui elementi “importanti” siano “domestici” e quindi privi di elementi di estraneita’. La dottrina in esame evidentemente condivide il contenuto del recente decreto nel quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere motiva il mancato riconoscimento degli effetti del trust interno in quanto precisi elementi hanno consentito di rilevare la presenza di circostanze da cui dedurre “un abuso della regola normativa che permette la scelta della legge applicabile”[18]. L’abuso in questione “potrebbe condurre alla deroga di disposizioni imperative del diritto italiano, in particolare a quella prevista dall’art. 2740 c.c.”. Infine, come ultima motivazione del rifiuto dell’iscrizione, il Tribunale ravvisa il contrasto con il c.d. principio di tipicita’ delle iscrizioni sancito dall’art. 2188 c.c.[19].

[1] Gambaro Voce “trusts” in Digesto-Discipline Privatistiche, sezione civile, vol. XIX,Torino, 1999, nota 55 pag.466; Piccoli L’avamprogetto di Convenzione sul trust ne lavori della Conferenza di diritto internazionale privato dell’Aja ed i riflessi di interesse notarile, in Rivista del Notariato, 1984, nota 41 pag.857.
[2] Fumagalli in Aa.Vv. Convenzione relativa alla legge sui trusts ed la loro riconoscimento, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 1993, 1283.
[3] Lupoi Trusts, Milano, 2001, 533-540 conclude “il collegamento interpretativo fra l’art.13 e l’art.7 è, dunque, obbligato”; Luzzatto Legge applicabile e “riconoscimento” di trusts secondo la Convenzione dell’Aja, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 16.
[4] Piccoli Possibilità operative del trust nell’ordinamento italiano. L’operatività del trustee dopo la Convenzione dell’Aja, in Rivista del Notariato, 1995, 68; Corsini Trust e diritti dei legittimari e dell’erario in Italia, in Rivista del Notariato, 1998, 72; Salvatore Il Trust-Profili di diritto internazionale e comparato, Padova, 1996, 96
[5] Lenzi Operatività del trust in Italia, in Rivista del Notariato, 1995, 1380-1381.
[6]Broggini in Aa.Vv. Il trust in Italia oggi, a cura di Benvenuti, Milano, 1996, 19-20; ma cfr. anche lo stesso Autore Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Europa e Diritto Privato, 1998, 399 ss.
[7] Gazzoni Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista “non vivente” su trust e trascrizione), in Rivista del notariato, 2001, 15.
[8] Busato La figura del trust negli ordinamenti di common law e di diritto continentale, in Rivista di Diritto Civile, 1992, 341-343.
[9] Ragazzini Trust “interno” e ordinamento giuridico italiano, in Rivista del Notariato, 1999, 301.
[10] Fumagalli in Aa.Vv. Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 1993, 1282-1284; Corapi Introduzione in Cheshire Il concetto del “trust” secondo la common law inglese, Torino, 1998, XII e XIII nota 9; Giardina in Aa.Vv. Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 1993, nota 6 di pagg.1212-1213; Andreoli Il trust nella prassi bancaria e finanziaria, Padova, 1998, 86-88; Corso Trust e diritto italiano: un primo approccio, in Quadrimestre, 1990, 520 e 523; Bortolani La Convenzione relativa alla legge sui trusts e al loro riconoscimento, in le Nuove Leggi Civili Commentate, 1990, 1019; Saturno La proprietà nell’interesse altrui nel diritto civile e comparato, Napoli, 1999, 178; si rinvia alla bibliografia per Zitiello (pag.1033), Di Nuzzo, Lenzi (pagg.1381ss.), Ballarino (1996, 574), Salvatore.  
[11] Pesiri L’applicazione dei trusts in Italia, in Rassegna di Diritto Civile, 1998, 2, 462 s.
[12]Castronovo Trust e diritto civile italiano, in Vita Notarile, 1998,1323-1339. L’Autore continua: “esemplare in tal senso era l’art. 19 d.lg. 23 luglio 1996 n. 415, di recepimento della direttiva europea in materia di servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari, che sotto la rubrica separazione patrimoniale così disponeva al primo comma: “Nella prestazione dei servizi previsti dal presente decreto, gli strumenti finanziari e il denaro dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti dalla impresa di investimento, nonché gli strumenti finanziari dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti dalla banca, costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti. Su tali azioni non sono ammesse azioni dei creditori dell’intermediario o nell’interesse degli stessi… Le azioni dei creditori dei singoli clienti sono ammesse nei limiti del patrimonio di proprietà di questi ultimi”. Ora il testo citato, formalmente abrogato ad opera dell’art. 214 d.lg. 24 febbraio 1998 n. 58 Testo unico in materia di intermediazione finanziaria, è riprodotto quasi alla lettera dall’art. 22 dello stesso d.lg. n. 58/1998; e l’art. 36, sesto comma analogamente prevede che i fondi comuni di investimento, costituiti dalle società di gestione del risparmio, sono “patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante”. Ho menzionato queste disposizioni non soltanto per il loro contenuto, ma pure per il modello di legislazione di cui sono chiaro indice. Esse possono spiegarsi, infatti, soltanto con una precisa assunzione di competenza esclusiva – se mai potessero sussistere dubbi – da parte dell’ordinamento in materia di separazione di patrimoni. In secondo luogo, essendo recentissime e ripetute non consentono di ipotizzare mutamenti di tendenza da parte dell’ordinamento”.
[13] Palermo Il “trust interno”, in Web, 1999.
[14] Girello Appunti di viaggio sulla strada del trust, in Le Società, 1998, 25. Scrive De Angelis Trust e fiducia nell’ordinamento italiano, in Rivista di Diritto Civile, 1999, II, 361 a proposito dei trusts: “Pare (…) difficile crederne legittimo l’utilizzo per rapporti con effetti esclusivamente domestici”.
[15] Castronovo Trust e diritto civile italiano, in Vita Notarile, 1998,1323-1324.
[16] Mazzamuto Il trust nell’ordinamento italiano dopo la Convenzione dell’Aja, in Vita Notarile, 1998, 762; si sono espressi dubitativamente anche Rescigno P. Notazioni a chiusura di un seminario sul trust, in Europa e Diritto Privato, 1998, 461-462 e Masi C. La Convenzione dell’Aja in materia di trusts, in Aa.Vv. Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, a cura di G.Vettori, Padova, 1999, 779-783.
[17] In Trusts e attività fiduciarie, 2000, 251.
[18] Lo stesso soggetto, grazie ad un trust interno, intendeva modificare la sua posizione soggettiva da titolare pieno di quote sociali in trustee di tali quote per rendere opponibile tale diversa posizione nei confronti di terzi per ragioni ed in presenza di circostanze tali da far presumere un intento fraudolento.
[19] Steidl Prassi italiana in materia di pubblicità societaria, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 130-134, nella critica di tale pronunzia rileva: “Si pensi soltanto che lo stesso atto che ha dato luogo al rifiuto di iscrizione da parte del Tribunale, doveva essere iscritto anche presso il Registro delle Imprese di Napoli. Ebbene, il Conservatore di quel Registro non ha trovato difficoltà a evidenziare la qualità di trustee di colui il quale aveva acquistato le quote della s.r.l. in questione”.

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