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EDITORIAL: Il Trust. – Segue. Il trust amorfo; La legge regolatrice del trust

25 Settembre 2002 Commenta

Il trust amorfo


L’aggettivo amorfo e’ stato utilizzato[1] per quel modello di trust contenuto nella Convenzione, la quale non contiene disposizioni volte a dare una compiuta definizione dell’istituto. L’aggettivo e’ idoneo a descrivere un trust sostanzialmente privo di contenuti sul piano teorico, cosi’ da essere piu’ facilmente inquadrabile ed adattabile sia negli ordinamenti di common law che di civil law. Infatti l’art.2 e’ una formula definitoria assai generica, il trust ricorre in presenza di “rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente -con atto tra vivi o mortis causa- qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per il perseguimento di un certo scopo”.
Una dottrina minoritaria[2], invece, riconduce la configurazione dell’istituto ex art.2 al trust forgiato dall’equity. Altri Autori[3] si limitano ad esprimere dubbi sulla configurabilita’ del trust amorfo. Optando per la tesi contraria al trust amorfo si dovrebbe dedurre l’inapplicabilita’ della Convenzione ad istituti diversi dal trust inglese, ma dotati delle caratteristiche strutturali previste dall’art.2, sino a giungere ad una disciplina ingiustificatamente discriminatoria e in contraddizione con lo stesso tenore letterale dell’articolo.
Per Lupoi con l’omissione nella Convenzione di alcuna prescrizione circa la posizione dei creditori del disponente “si da’ per scontato che il semplice il semplice trasferimento del controllo possa non essere accompagnato da trasferimento della posizione dominicale”[4].
La Convenzione si applica ai soli trusts costituiti per volonta’ del disponente e comprovati per iscritto, dovendosi escludere i constructive trusts ed i resulting trusts, tuttavia ogni Stato e’ libero di dichiarare che le disposizioni siano estese ai trusts costituiti in base ad una decisione giudiziaria (art.20). Una dottrina minoritaria sostiene che, “per quanto valido all’estero, e’ escluso che possa essere riconosciuto in Italia un trust non scritto”[5], ma, non prevedendo l’art.3 una forma particolare, sarebbe sufficiente una semplice scrittura privata. Secondo altra parte della dottrina si dovrebbe[6], invece, utilizzare una concezione di prova scritta coincidente con quella inglese, per la quale sarebbe sufficiente l’esibizione di un documento anche proveniente dal trustee o da un terzo, da cui risulti la volonta’ istitutiva del disponente.
In base all’art.4 e’ estraneo all’ambito applicativo della Convenzione ogni profilo di validita’ del negozio dispositivo. La capacita’ negoziale del settlor ricade nell’ambito dell’art.4, mentre la capacita’ del trustee rispetto all’ufficio e’ disciplinata (ex art.8) dalla legge regolatrice del trust. Nel trust costituito per testamento si applichera’ l’art.47 legge 218/1995 per la capacita’ del settlor, per la validita’ formale l’art.48, per la validita’ sostanziale l’art.46; nel trust inter vivos[7] sono applicabili gli artt. 23 o 25 legge 218/1995 per la capacita’ del settlor, mentre si discute[8] se sia applicabile l’art.56 relativo alle donazioni o l’art.58 relativo alle promesse unilaterali. E’ anche prospettabile un trust avente fonte contrattuale, non ipotizzabile nel modello tradizionale inglese (dovrebbe in questo caso applicarsi[9] l’art.57 legge 218/1995, con conseguente rinvio alla Convenzione di Roma del 1980, pur in presenza del citato art.1 lettera g).

In base all’art.4, quindi, si evince se, rispetto ad un determinato profilo[10] del trust, debba applicarsi la Convenzione dell’Aja o meno.

La legge regolatrice del trust


E’ determinante stabilire la portata dell’art.6, in quanto le considerazioni effettuate in proposito da parte della dottrina hanno costituito il principale argomento per avvalorare la tesi dell’ammissibilita’ del trust interno, cioe’ il trust creato in Italia ed il cui solo elemento di internazionalita’ sia costituito dal rinvio ad una legge regolatrice straniera.

Il ruolo primario e’ attribuito alla volonta’ del settlor. La legge regolatrice dovra’ essere scelta sino al momento della costituzione, successivamente si applichera’ l’art.7 (“il trust sara’ regolato dalla legge con la quale ha collegamenti piu’ stretti”). Il settlor puo’ riservarsi nell’atto istitutivo il potere di modifica successiva della legge da applicare (la disciplina e’ quella dell’art.10).
Per non perdersi nelle contrastanti opinioni, e’ opportuno affidarsi alla convinzione della dottrina dominante[11], che ritiene non sussistere per il disponente una limitazione della liberta’ di scelta della legge regolatrice. La Convenzione, infatti, non prevede in modo espresso un limite all’autonomia privata, che renda necessario il ricorrere di un criterio di collegamento con lo Stato la cui legge viene individuata come regolatrice del trust.
E’ di fondamentale importanza il secondo paragrafo dell’art.6 per il quale, in assenza di scelta da parte del settlor, si applichera’ la legge che presenta il collegamento piu’ stretto ex art.7[12], ma precisa Lupoi[13] che, ove si acceda alla tesi del trust amorfo, difficilmente in un ordinamento non si rintraccia tale tipo di trust dai connotati del tutto generici[14]. La legge regolatrice disciplina “la validita'[15] del trust, la sua interpretazione, i suoi effetti e l’amministrazione del trust”[16]. La domanda obbligata che si pone la dottrina e’ se il sistema internazionalprivatistico italiano conosca il “trust amorfo” della Convenzione: per Fumagalli “difettando una specifica disposizione relativa al trust, sarebbe (…) necessario (…) ricondurre l’istituto alla norma relativa alla proprieta’ ed agli altri diritti sulle cose (art.22 disp.prel.[ora art.51 legge 218/1995]) (…). Dal riferimento alla lex rei sitae, quale legge richiamata dall’art.22 disp.prel. per regolare il trust, consegue che ove il bene (…) sia situato in Italia, il trust non possa essere costituito”[17]; Broggini distingue il momento costitutivo dalla sostanza del rapporto, sostenendo che “il momento di costituzione del rapporto potra’ essere inquadrato con riferimento a cinque ipotesi: e’ stato costituito un ente privo di natura associativa e quindi art.25 (…); e’ avvenuta una attribuzione patrimoniale mortis causa e quindi art.46 (…); e’ avvenuta una donazione e quindi art.56 (…); e’ stato assunto un obbligo convenzionale da parte del trustee-fiduciario e quindi art.57 (…); sono stati conferiti poteri al trustee-fiduciario mediante atto unilaterale autonomo e quindi art.60 (…). In factum ius positum est-soltanto l’analisi concreta strutturale e funzionale del rapporto puo’ permettere la scelta (…) fra questi cinque possibili collegamenti (…).

Non si puo’ dimenticare che nella sostanza il rapporto si avvicina all’istituto della proprieta’. Il patrimonio del trust ha pur sempre un aggancio con la lex rei sitae”[18]; altra parte della dottrina[19] si limita ad affermare che al rapporto dovra’ applicarsi l’art.57 legge 218/1995.

[1] Già Piccoli in L’avamprogetto di Convenzione sul trust nei lavori della Conferenza di diritto internazionale privato dell’Aja ed i riflessi di interesse notarile, in Rivista del Notariato, 1984, 859-860 aveva colto la difformità dell’istituto ivi delineato dal trust di modello inglese, qualificandolo in termini di “trust latu sensu”; Lupoi Trusts, Milano, 1997, 416-427.
[2] Broggini Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Europa e Diritto Privato, 1998, 408-409.
[3] Luzzatto Legge applicabile e “riconoscimento” di trusts secondo la Convenzione dell’Aja, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 11.
[4] Lupoi Trusts, Milano, 2001, 509.
[5] Zanazzi Il trust operativo, Milano, 2001, 30.
[6]Arrigo–Cavanna, Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento, in Commentario breve al Codice Civile. Leggi complementari a cura di Alpa–Zatti, Padova, 1999, 15-16.
[7] De Donato A. – De Donato V. – D’Errico, Trust convenzionale. Lineamenti di teoria e pratica, Roma, 1999, 64. Gli Autori ritengono applicabili gli artt.25, 60, 57 in base a fuorvianti presupposti, infatti il trust non è un ente, non implica il conferimento di procura ed il trustee non assume un obbligo contrattuale.
[8] Fumagalli in Aa.Vv. Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 1993, 1240.
[9] Ballarino-Bonomi Materie escluse dall’ambito d’applicazione della Convenzione di Roma, in collana studio del Consiglio Nazionale del Notariato, Milano, 1994, vol.VIII, 87ss.; Fumagalli in Aa.Vv. Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 1993, 893-901.
[10] Per esempio la dottrina ritiene che le “rules against perpetuities” ed “against accomulation” non rientrino tra le “questioni preliminari” di cui all’art.4. Si applicherebbe il secondo paragrafo dell’art.8 lettera f.
[11] Lupoi Trusts, Milano, 2001, 523; Luzzatto Legge applicabile e “riconoscimento” di trusts secondo la Convenzione dell’Aja, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 7; Carbone Autonomia privata, scelta della legge regolatrice del trust e riconoscimento dei suoi effetti nella Convenzione dell’Aja del 1985, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 145.
[12] Per determinare la legge con la quale il trust ha collegamenti più stretti, si fa riferimento in particolare: al luogo di amministrazione del trust designato dal disponente; alla ubicazione dei beni in trust; alla residenza o domicilio del trustee; allo scopo del trust e al luogo ove esso deve essere realizzato.
[13] Lupoi Trusts, Milano, 1997, 425-427; anche Arrigo-Cavanna Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento, in Commentario breve al codice civile. Leggi complementari a cura di Alpa-Zatti, Padova, 1999, 23.
[14] Laddove anche il “trasferimento al trustee è un dato opzionale”, essendo sufficiente che il trustee abbia il “controllo” dei beni in trust: “essi certamente esistono in diritto italiano”in Lupoi Trusts, Milano, 2001, 509.
[15] Si ritiene la legge regolatrice disciplini la validità sostanziale (nella quale rientra anche il tema delle prerogative che il settlor può riservarsi) e non anche formale.
[16] L’art.8 prevede espressamente dieci profili che debbono essere disciplinati dalla legge regolatrice: la nomina, le dimissioni e la revoca dei trustee, la capacità di esercitare l’ufficio di trustee e la trasmissione delle funzioni di trustee; i diritti e obblighi tra gli stessi trustee; il diritto del trustee di delegare in tutto o in parte l’adempimento dei suoi obblighi o l’esercizio dei suoi poteri; il potere del trustee di amministrare e di disporre dei beni in trust, di darli in garanzia e di acquisire nuovi beni; il potere del trustee di effettuare investimenti; i limiti relativi alla durata del trust e i poteri di accantonare il reddito del trust; i rapporti tra trustee e beneficiari, compresa la responsabilità personale del trustee nei confronti di questi ultimi; la modifica o la cessazione del trust; la distribuzione dei beni in trust; l’obbligo del trustee di rendere conto della sua gestione.
[17] Fumagalli in Aa.Vv. Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 1993, 1244.
[18] Broggini in Aa.Vv. Il trust in Italia oggi, a cura di Benvenuti, Milano, 1996, 25-26.
[19] Salvatore Il Trust-Profili di diritto internazionale e comparato, Padova, 1996, 63.

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