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EDITORIAL: Il Trust – Segue: La tesi prevalente favorevole ai trusts interni; Un terzo orientamento

29 Settembre 2002 Commenta

La tesi prevalente favorevole ai trusts interni


La maggioranza degli Autori si mostra favorevole rispetto alla figura del trust interno, in primo luogo criticando quella interpretazione dell’art.6 della Convenzione che porterebbe ad escludere l’ammissibilita’ dei trusts domestici. Nell’art. 6 par. 2 viene fornita una precisa indicazione nel senso del favor validitatis del trust, tanto che in esso si precisa l’unico caso in cui la scelta della legge applicabile al trust deve essere disattesa. Nell’art.6 viene chiaramente indicata la rilevanza non solo di ogni “scelta espressa” operata in sede di costituzione del trust, ma anche di ogni possibile forma di “scelta implicita” ricavabile al riguardo dalle disposizioni dell’atto che costituisce il trust, oltre all’operativita’ del c.d. de’peçage volontario[1] al fine di consentire differenti scelte di legge applicabile in funzione delle specifiche caratteristiche di alcuni elementi del trust suscettibili di essere isolati (art. 9)[2]. E’ stato rilevato, inoltre, che il nostro ordinamento interno conosce anche una fattispecie nella quale e’ consentito il rinvio ad una legge nazionale diversa da quella che regolerebbe il rapporto in base agli ordinari criteri di collegamento internazionalprivatistico: l’art.161 c.c. prevede, infatti, la possibilita’ del rinvio per la disciplina del rapporto patrimoniale dei coniugi, enunciando in modo specifico il contenuto della regolamentazione[3].
L’orientamento favorevole al trust interno si fonda su di una interpretazione letterale dell’art.13 della Convenzione ed in particolare dell’espressione “nessuno Stato e’ tenuto a riconoscere”: la norma non sarebbe fonte di un divieto, ma si limiterebbe a precisare l’insussistenza di un obbligo di riconoscimento. In particolare “come emerge dai lavori preparatori della Convenzione, l’art.13 non sarebbe altro che una disposizione programmatica che ha voluto attribuire la liberta’ e la discrezione ai legislatori dei singoli Stati di riconoscere o meno i trusts interni”[4]. In sede di ratifica lo Stato italiano non ha introdotto alcuna norma interna tesa a vietare il riconoscimento in questione, riproducendo il contenuto dell’art.13.

La dottrina in esame da’ per avvenuta, con la ratifica del 1989, la valutazione degli effetti caratteristici del trust come compatibili con l’ordine pubblico interno. Tenuto in considerazione che la penetrazione del trust in un paese che non conosce tale istituto potrebbe suscitare dubbi sulla sua ammissibilita’ per la violazione di principi fondamentali dell’ordinamento (tipicita’ dei diritti reali e numero chiuso degli stessi), questi Autori affermano che “la ratifica della Convenzione da parte dei singoli Stati [ha] l’effetto di non rendere possibile il ricorso a tali principi”[5], poiche’ la Convenzione e’ capace di contribuire alla determinazione del contenuto dell’ordine pubblico dello Stato del foro[6].

Nel momento in cui la corrente di pensiero che si sta analizzando individua nel diritto del trustee una proprieta’ funzionale, non e’ applicabile il divieto ex art.2740 2° comma c.c. ai beni pervenuti a titolo di trust al trustee, poiche’ da essi egli non puo’ trarre alcuna utilita’ personale[7]. “Il richiamo all’art. 2740 c.c. e’ fuori luogo, poiche’ tale norma stabilisce un principio di responsabilita’ patrimoniale generica che non e’ assolutamente messo in pericolo dall’esistenza di un trust, poiche’, com’e’ ovvio, ciascun trust rispondera’ pienamente degli obblighi assunti dal trustee con tutti i suoi beni presenti e futuri, operando il principio di segregazione solo nei confronti dei beni personali del trustee (suoi eredi ecc. e di quelli di altri trust), non [pregiudicando] certo (…) i creditori del trust, che sono ampiamente tutelati dalla norma in questione”[8]. Volendo comunque ammettere che l’istituto del trust in astratto ricada sotto il divieto in esame (2740 c.c.) , la legge 364/1989 avrebbe introdotto una nuova fattispecie di patrimonio separato.

E’ stato sostenuto che sarebbe contrario all’art.3 della Costituzione italiana riconoscere un trust costituito da uno straniero su beni siti in Italia e regolato da una legge straniera che contempla il trust, e negare invece la legittimita’ di un trust istituito da un cittadino italiano in presenza delle stesse condizioni[9].
Per quanto concerne l’asserito attentato all’unicita’ del diritto di proprieta’ ed alla tipicita’ dei diritti reali, il punto e’ strettamente connesso con le posizioni assunte dalla dottrina rispetto alla natura del diritto del beneficiario[10]: la proprieta’ viene acquistata esclusivamente dal trustee, senza che si possa intravedere un’innovativa suddivisione del dominio col beneficiario. “Il diritto di proprieta’ “dimora” nella sfera del trustee, il quale e’ vincolato, nell’esercizio delle classiche prerogative dominicali, all’attuazione degli obblighi impostigli dall’incarico fiduciario, rispetto al quale l’acquisto dell’unitario diritto reale si configura quale mezzo per la soddisfazione dell’affidamento in lui riposto dal disponente”[11].§

In primo luogo si e’ evidenziato[12] che nell’ordinamento italiano esistono vincoli opponibili erga omnes al diritto di proprieta’ privi di natura reale: locazioni ultranovennali (art.2643 n.8 c.c.); conferimenti in godimento di immobili in una societa’ per una durata ultranovennale o illimitata (art.2643 n.10 c.c.); anticresi (art.2643 n.12 c.c.); contratto preliminare (art.2645-bis c.c.); cessio bonorum (art.2649 c.c.); anche vincoli d’interesse culturale, di edilizia abitativa convenzionata, di destinazione alberghiera. La giurisprudenza ha ravvisato la trascrivibilita’-opponibilita’ dei regolamenti condominiali deroganti alla disciplina legale del godimento delle parti comuni e delle vendite obbligatorie (vendita di cosa altrui, vendita condizionata, vendita di cosa futura)[13].

Ancora a sostegno della tesi secondo cui sarebbe ormai superata la concezione della unicita’ del diritto di proprieta’ e, quindi, del corrispondente principio di ordine pubblico, vengono citate le “multiproprieta'”. La proprieta’ sul medesimo bene spetterebbe separatamente, e al di fuori di una ipotesi di comunione, a piu’ soggetti. Ne risulterebbero travolte le obbiezioni alla ricezione del trust interno fondate sul principio del diritto di proprieta’ come diritto unitario e sul numero chiuso dei diritti reali[14]. Inoltre l’affermazione del numero chiuso dei diritti reali sarebbe destinata a esprimersi, oltre che “nell’obbligo di non creare altri diritti reali”, anche nel “divieto, nell’ambito dei diritti reali tipici, di cambiar(n)e il contenuto sostanziale”[15]. Tuttavia non pare che le multiproprieta’ siano esempi calzanti ed efficaci rispetto alle conclusioni che se ne traggono. “In particolare, le multiproprieta’ sono caratterizzate dal frazionamento temporale del diritto sul bene tra piu’ soggetti, ciascuno dei quali e’ titolare pieno per il periodo corrispondente alla frazione spettantegli” [16]. L’opinione consolidatasi in dottrina e’ quella della multiproprieta’ come comunione, che non lascia spazio alle argomentazioni addotte dalla dottrina per il superamento del “dogma” dell’unicita’ del diritto di proprieta’ e della tipicita’ dei diritti reali.
Espresse previsioni normative hanno disciplinato fattispecie in cui puo’ essere scissa la titolarita’ sostanziale da quella formale, fattispecie in cui il godimento si distingue dalla gestione: e’ il caso dell’affidamento di valori mobiliari a societa’ fiduciarie, a SIM, a societa’ di gestione dei fondi comuni di investimento. Si verificano anche dei fenomeni di opponibilita’ nei confronti dei terzi di negozi ad effetto obbligatorio: mandato senza rappresentanza e negozio fiduciario (artt.1706 e 1707 c.c., art.79 l.fall.)[17].
Il principale argomento addotto dalla corrente dottrinaria in esame per avvalorare la propria tesi si risolve nell’attacco frontale al dogma dell’unicita’ ed assolutezza del diritto di proprieta’, tanto che Gambaro ritiene essere stato scambiato il Code civil, archetipo dei moderni codici, con il testo costituzionale. La proprieta’ individuale e compatta, “l’ipotesi semplice contemplante un solo soggetto ed un solo bene (…) e’ solo una figura astratta utile ad organizzare sistematicamente tutte le figure piu’ concrete: la proprieta’ familiare, e quella dei gruppi organizzati, le varie forme di comunione e la proprieta’ frammentata dall’esistenza di diritti concorrenti”[18].

Esposti i percorsi logici seguiti dalla dottrina, e’ necessario tornare all’art. 13. La norma non opera direttamente all’interno dell’ordinamento dello Stato aderente, “ma si rivolge al giudice chiamato a giudicare caso per caso sul singolo trust, ed e’ da interpretarsi in stretta correlazione con quanto prevede il successivo art. 15 in ordine ai limiti del riconoscimento, da ritenersi invalicabili quando gli effetti prodotti dalla istituzione di un trust deroghino materie che la Convenzione stessa ritiene inderogabili”[19]. Per Lupoi “l’art.13 e’ l’estremo rimedio apprestato quando, nonostante gli articoli 18, 16 e 15, le modalita’ o gli scopi del trust siano valutati dal giudice come ripugnanti ad un ordinamento (…) il quale non conosca quella particolare figura di trust (…): l’art.13 previene il rischio che un trust riesca a produrre effetti ripugnanti nonostante tutte le difese convenzionali (per esempio, l’evasione o l’illegittima elusione fiscale)”[20].

Un terzo orientamento


E’ possibile individuare una terza tesi che trova pochi sostenitori in dottrina: mediante la ratifica della Convenzione il trust sarebbe stato normativamente recepito nel nostro ordinamento, sarebbe ormai un istituto giuridico dell’ordinamento italiano. Le problematiche non sarebbero piu’ legate alla tutelabilita’, ma esclusivamente al regolamento dei confini rispetto ad altre fattispecie giuridiche di piu’ risalente sedimentazione nella nostra tradizione giuridica[21]. La questione, quindi, consisterebbe nella individuazione della linea di confine che separa il trust dagli altri istituti giuridici italiani, mentre dovrebbero abbandonarsi le discussioni circa l’ammissibilita’ del trust. Gli Autori[22] che sostengono quest’orientamento auspicano un intervento legislativo per una disciplina dettagliata e soddisfacente di quell’istituto introdotto il 1° gennaio del 1992 con l’entrata in vigore della legge di ratifica della Convenzione. Tuttavia la dottrina dominante e’ decisa sul punto e, come detto in precedenza, sentenzia: “La Convenzione non introduce nel nostro ordinamento un nuovo istituto, ma consente il riconoscimento di un trust regolato da una legge straniera che lo conosca”[23]. 



[1] Carbone Autonomia privata, scelta della legge regolatrice del trust e riconoscimento dei suoi effetti nella Convenzione dell’Aja del 1985, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 145-154; Luzzatto Legge applicabile e “riconoscimento” di trusts secondo la Convenzione dell’Aja, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, nota 43 pag.15.
[2] L’art. 9 recita: “In applicazione del presente capitolo aspetti del trust suscettibili di essere regolati a parte, quali quelli relativi alla sua amministrazione, possono essere disciplinati da una legge diversa”.
[3] Arrigo–Cavanna, Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento, in Commentario breve al Codice Civile. Leggi complementari a cura di Alpa–Zatti, Padova, 1999, 24.
[4] Moja Trusts interni e società di capitali: un primo caso, in Giurisprudenza commerciale, 1998, II, 770.
[5] Corrao in Aa.Vv. Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 1993, 1312-1313.
[6] Lupoi Trusts, Milano, 1997, 452 sostiene: “ L’adesione alla Convenzione significa (…) che i trusts non sovvertono nulla (o se si preferisce, che il sovvertimento che essi producono è accettabile)”.
[7] Lupoi Trusts, Milano, 2001, 576-577 interpreta l’art.2740 individuando nei beni futuri “quelli che, in mancanza di un atto di deviazione dei normali effetti giuridici, entrerebbero nel patrimonio di un soggetto; (…) i beni del trustee non sono mai “beni futuri”, in quanto essi sono trasferiti al trustee precisamente perché siano segregati”.
[8] Steidl Prassi italiana in materia di pubblicità societaria, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 130-134.
[9] Lipari fiducia statica e trusts in Aa.Vv. I trusts in Italia oggi, a cura di Benvenuti, Milano, 1996, 75; Calò Dal probate al family trust, Milano, 1996, nota 86 pag.99.
[10] Come si è posto in evidenza, la tesi dello sdoppiamento del diritto di proprietà è recessiva.

[11] Calvo La tutela dei beneficiari nel trust interno, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 1998, 55-56.
[12] Arrigo–Cavanna, Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento, in Commentario breve al Codice Civile. Leggi complementari a cura di Alpa–Zatti, Padova, 1999, 32; Palermo Autonomia negoziale e fiducia (breve saggio sulla libertà delle forme), in studi in onore di P.Rescigno, Milano, 1998, V, 354ss.; Gabrielli Inventario di questioni recenti nel campo della pubblicità immobiliare, in Pubblicità immobiliare e attività notarile, Padova, 1989, 38; Piccoli-Corso-Dolzani La trascrizione degli atti riguardanti trusts, in Rivista del Notariato, 1995, 1393-1395.
[13] Cfr. Sentenze della Cassazione 1637/1971, 2520/1973 e 4497/1986.
[14] Busato La figura del trust negli ordinamenti di common law e di diritto continentale, in Rivista di Diritto Civile, 1992, 343. Relativamente alla multiproprietà afferma: “Non si può considerare assimilabile né alla comunione né a nessun altro diritto reale di godimento, ma (…) al contempo presenta tutte le caratteristiche di una situazione reale”. Nella nota 165 richiama Calliano, La multiproprietà, in Trattato di diritto privato a cura di Rescigno, VII, 1982, 227 ss. e Caselli, un nuovo diritto reale: la multiproprietà, in Rassegna di diritto civile, 1985, 613 ss.
[15] U. Morello, La multiproprietà azionaria, in Il Notaro 1983, 1.
[16] Ragazzini Trust “interno” e ordinamento giuridico italiano, in Rivista del Notariato, 1999, 301-302.
[17] Andreoli Il trust nella prassi bancaria e finanziaria, Padova, 1998, 111-211; Piccoli Possibilità operative del trust nell’ordinamento italiano. L’operatività del trustee dopo la Convenzione dell’Aja, in Rivista del Notariato, 1995, 41.
[18] Gambaro in Aa.Vv. I trusts in Italia oggi, a cura di Benvenuti, Milano, 1996, 63-65.
[19] Steidl Prassi italiana in materia di pubblicità societaria, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 130-134.
[20] Lupoi Trusts, Milano, 1997, nota 206 pag.460.
[21] Lipari fiducia statica e trusts in Aa.Vv. I trusts in Italia oggi, a cura di Benvenuti, Milano, 1996, 73.
[22] Oltre a Lipari, anche Palermo Autonomia negoziale e fiducia (breve saggio sulla libertà delle forme), in studi in onore di P.Rescigno, Milano, 1998, V, 343 s.
[23] Cfr. pag. 52 e la nota 106.

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