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EDITORIAL: La responsabilità civile degli enti ospedalieri; Per colpa dei sanitari. Verso l’individuazione della prestazione di assistenza sanitaria

12 Settembre 2002 Commenta

Ritengo vi siano due profili distinti, seppur intimamente connessi, da esaminare per addivenire ad un possibile inquadramento della prestazione posta in essere dall’ente ospedaliero.
Sotto il primo profilo sorge l’esigenza di descrivere i contorni della prestazione erogata dall’ente ospedaliero pubblico ai pazienti che vi si rivolgano. 
Con riguardo al secondo, è d’uopo inquadrare il rapporto tra medico dipendente e struttura ospedaliera, al fine di stabilire secondo quali meccanismi, in punto di responsabilità, sia possibile ricondurre sul secondo le condotte dannose del primo.
Veniamo ad analizzare il primo dei due profili ai quali si è fatto poc’anzi accenno.


Una prima ipotesi sistematica, va nel senso di individuare un contratto d’opera professionale, disciplinato analogicamente alle regole stabilite per il professionista che eserciti autonomamente e alle conseguenti regole in materia di responsabilità contrattuale già descritte. Infatti si è in precedenza rilevato come la giurisprudenza della Corte di Cassazione abbia in più occasioni sostenuto che la similarità della prestazione che l’ente ospedaliero si impegna a porre in essere, quando il paziente si reca presso la struttura, con quella del prestatore d’opera, sia tale da giustificare l’attrazione del rapporto, quanto alla sua disciplina, nell’orbita del contratto d’opera professionale .
Conseguentemente si sostiene anche l’applicazione dell’art. 2236 cod. civ., nell’interpretazione giurisprudenziale che lo caratterizza. Appare tuttavia doveroso segnalare che sussistono sul punto voci di dissenso  che segnalano l’esistenza di una forzatura nell’applicare analogicamente, anche alla responsabilità dell’ente ospedaliero, una regola giurisprudenziale elaborata <<su misura>> per il prestatore d’opera.  A tale critica sembra tuttavia lecito rispondere che l’applicazione della regola dell’art. 2236 cod. civ., data la sua genesi e il suo significato e stante l’asserita applicabilità analogica delle norme sulla responsabilità del professionista, appare accettabile, anche in termini di unità e coerenza sistematiche. Non si vede come possa giustificarsi, se si accetta ben inteso l’applicazione analogica suddetta, una disparità di trattamento condizionata dalla circostanza che la prestazione sia posta in essere dal medico dipendente piuttosto che dal professionista autonomo.

Lo sforzo argomentativo è probabilmente indirizzato più correttamente se concentrato semmai nell’individuazione della prestazione atipica e complessa che l’ente ospedaliero, per il tramite dei suoi dipendenti e della sua complessa struttura, offre a coloro che la richiedono, come si dirà tra breve.

Infatti, la tesi più sopra rappresentata, non è, come anticipato in apertura, l’unica strada per descrivere correttamente il quadro: alcuni autori  sostengono, con l’avallo di certa giurisprudenza , che al contrario sarebbe preferibile configurare autonomamente la responsabilità delle strutture sanitarie, come fattispecie complessa comprensiva certo anche della prestazione intellettuale dei sanitari che vi prestano la loro opera, ma caratterizzata altresì da altre competenze, così come dalla circostanza di essere espressione di un particolare apparato organizzativo, e che potrebbe definirsi <<prestazione di assistenza sanitaria>>, ovvero <<contratto di spedalità>> .
La peculiarità di tale forma di contratto atipico consisterebbe altresì nella presenza di una serie di obblighi integrativi individuabili ex lege ovvero ex contractu.
In questo senso la giurisprudenza  ha riconosciuto la responsabilità della struttura ora per mancanza di sicurezza delle attrezzature , ora per mancata protezione della salute dei ricoverati , quindi per difetto di protezione della salute dei terzi , per omessa custodia degli assistiti , in ipotesi di danni anonimi , infine per omessa adeguata informazione .
Questa seconda ipotesi sembra più aderente alla realtà, osservando la quale emergono alcuni dati di fatto dai quali non sembra corretto prescindere. L’ente ospedaliero si presenta come una struttura complessa, caratterizzata certo dalla presenza al suo interno di medici dipendenti e di altri operatori in senso lato sanitari, ma anche dalla consistenza di una struttura organizzativa e amministrativa particolare, nonché dalla predisposizione di un apparato strumentale di rilievo. Non può mancare un ulteriore considerazione, ovverosia quella stimolata dalla c.d. spersonalizzazione della prestazione sanitaria all’interno della struttura. Invero il paziente non si rivolge direttamente all’uno o all’altro specialista, ma si rivolge alla struttura, che di volta in volta, in ossequio alle sue esigenze organizzative, indirizza il paziente verso lo specialista che in concreto è possibile individuare.
Ciò non di meno la prestazione, che lo specialista in concreto attivato presta, è sempre e comunque una prestazione d’opera assimilabile a quella del medico autonomo, e sembra corretto mantenerne perciò stesso fermi i principi di valutazione in punto di diligenza.

Pertanto individuare la prestazione dell’ente come prestazione complessa, che nei rapporti che ci interessano assume la forma di un contratto atipico come è stato ricordato in precedenza, pare essere l’ipotesi interpretativa sulla scorta della quale esaminare la materia.
Quanto alla configurazione dei rapporti tra Unità sanitaria locale (ormai A.s.l.) e medici dipendenti, in punto di riferibilità alla prima dei comportamenti dannosi posti in essere dai secondi, è il caso di rilevare  la possibilità di configurare in modo triplice il rapporto che si instaura tra paziente ed ente ospedaliero.
Le ipotesi interpretative vanno dall’inquadramento, in materia di responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., nella disciplina della responsabilità per fatto degli ausiliari, a quello, in materia di responsabilità aquiliana, nella disciplina della responsabilità dei padroni e dei committenti, ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., per arrivare all’affermazione della responsabilità diretta nel segno della c.d. immedesimazione organica  dell’ente, gestore di un servizio pubblico sanitario, con i suoi dipendenti. Quest’ultima posizione trova maggiori consensi in giurisprudenza, conoscendo articolate applicazioni ad opera della Suprema Corte di Cassazione.

Su tali basi si afferma pertanto la concorrenza della responsabilità dell’ente con quella dei medici suoi dipendenti, nelle forme che si sono illustrate brevemente in precedenza.
La prospettiva muta solo parzialmente se si passi ad analizzare il tema nei confronti della struttura privata. Infatti in tale evenienza la responsabilità del sanitario non è mai diretta , come accade se si accoglie il principio della c.d. immedesimazione organica propugnato da certa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, ma da valutarsi come di consueto, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., sotto il profilo della responsabilità contrattuale, nonché, ai sensi dell’art. 2049 cod. civ.,  sotto quello della responsabilità extracontrattuale.

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