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TELELAVORO: Sottoscritto l’accordo quadro UE

12 Settembre 2002 Commenta

E’ recente la sottoscrizione a Bruxelles dell’accordo-quadro sul telelavoro tra le organizzazioni industriali e sindacali europee (tra le quali l’Unice per i datori di lavoro ed il CES per i sindacati). Tale accordo prevede il potenziamento delle sviluppo delle attivita’ di telelavoro in ambito europeo e disciplina specifiche misure di protezione dei lavoratori dipendenti che usufruiscono di questa particolare modalita’ di lavoro. L’accordo interessa oltre quattro milioni di lavoratori ed e’ ispirato a principi di flessibilita’ e sicurezza per cui vi saranno casi in cui datori di lavoro non potranno imporre il telelavoro (qualora non sia previsto nell’ambito delle attivita’ per le quali il lavoratore e’ stato assunto) come casi in cui i datori di lavoro potranno rifiutare le richieste dei lavoratori di operare per via telematica.
Gli stati membri dovranno recepire l’accordo-quadro entro tre anni ed a sorvegliare l’applicazione a livello nazionale delle norme fondamentali contenute nell’accordo saranno le stesse parti sociali. Quindi non ci sara’ bisogno di far ricorso a strumenti normativi europei quali direttive o decisioni come attualmente avviene. Le garanzie si applicheranno a tutti i telelavoratori, indipendentemente dalla durata del contratto di lavoro.

Molto importante questo accordo sul telelavoro che finalmente prevede una disciplina comune a livello europeo per una modalita’ di lavoro che vede coinvolte oltre 9 milioni di persone in tutta Europa destinate a crescere vertiginosamente nei prossimi anni.
I paesi piu’ avanzati, dove la cultura del telelavoro e’ piu’ radicata, sono naturalmente quelli Scandinavi come la Finlandia, la Svezia e la Danimarca che hanno in proporzione il maggior numero di impiegati che lavorano da casa. Si tratta di paesi dove si fa largo uso di Internet e di avanzate tecnologie che sono disponibili, anche a basso costo. Inoltre sono caratterizzati da una legislazione molto flessibile e da una cultura aziendale aperta ed innovativa.
Le nazioni mediterranee tra cui l’Italia sono ovviamente le piu’ arretrate, con una bassa percentuale di telelavoratori e cio’ e’ dovuto principalmente alla scarsa diffusione delle nuove tecnologie e ad una eccessiva burocratizzazione.
In particolare, nel nostro paese, nonostante l’emanazione di diversi provvedimenti in materia, specie avuto riguardo alla Pubblica Amministrazione (d.lgs. n. 165 del 2001 art. 36; dalla legge 16 giugno 1998, n. 191; dal D.P.R 8 marzo 1999, n.70; dall’Atto di indirizzo all’ARAN e l’Accordo quadro nazionale sul telelavoro nella …

Pubblica Amministrazione siglato il 23 marzo 2000; dalla deliberazione AIPA del 31 maggio 2001), il ricorso a forme di telelavoro e’ un fenomeno relativamente recente e di dimensioni ancora modeste. Le ragioni di questo ritardo non vanno ricercate nei vincoli di natura tecnica ed economica (sotto questo profilo il telelavoro e’ perfettamente realizzabile), ma, piuttosto, in quelli di tipo culturale ed organizzativo. Nel nostro Paese, infatti, stenta ad affermarsi quella cultura del decentramento e della flessibilita’ che e’ alla base delle principali esperienze di telelavoro realizzate a livello internazionale; sui soggetti eventualmente coinvolti, inoltre, agiscono ancora forti condizionamenti di natura psicologica, connessi ai timori di isolamento sociale e professionale, associati a questa forma di lavoro.

Il principale ostacolo all’introduzione del telelavoro in Italia viene individuato nella rigidita’ degli attuali modelli organizzativi, caratterizzati da una struttura fortemente gerarchica. Le resistenze maggiori sono venute proprio dallo stesso management aziendale, preoccupato di perdere il proprio potere fondato prevalentemente sul controllo diretto dei lavoratori e non adeguatamente preparato ad un rinnovamento nei sistemi organizzativi e di gestione delle risorse umane (CASSANO).
Riserve e preoccupazioni sono state espresse anche dalle organizzazioni sindacali, soprattutto nei riguardi del telelavoro domiciliare. Esse sono legate al timore di un ritorno a condizioni di lavoro preindustriali, alla perdita di potere contrattuale del lavoratore, pericolo paventato soprattutto per le categorie con scarsa qualificazione professionale, alla frammentazione della forza lavoro, con conseguente isolamento che la esporrebbe al rischio di sfruttamento attraverso il cottimo telematico, alla difficolta’ di organizzare sindacalmente i telelavoratori.
Inoltre, l’introduzione del telelavoro in Italia e’ stata fortemente condizionata dalla circostanza che, alla luce del diritto positivo e dei contratti sindacali, la qualificazione giuridica del telelavoratore non e’ chiaramente determinabile. A cio’ si aggiunge la rigidita’ e l’arretratezza dell’attuale legislazione del lavoro, scarsamente idonea a regolamentare forme di lavoro flessibili legate all’innovazione tecnologica.

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