INTERNET: Perche’ Google censura alcuni siti ?
Pochi giorni fa, il motore di ricerca Google, nelle versioni francese e tedesca, ha censurato 113 siti web dal contenuto alquanto controverso. Non e’ la prima volta che un search engine si trova a dover gestire i materiali dei siti web cui fa rinvio, ma adesso la questione sembra essere divenuta un problema giuridico di carattere internazionale.
Bologna – Forse non era del tutto imprevista, ma la notizia che ha a oggetto il motore di ricerca Google apre la discussione su un argomento di serio rilievo per il diritto dell’informatica: la liceita’ dei link generati dai search engines.
Ma veniamo alla notizia. Nei giorni scorsi, Google ha eliminato riferimenti a 113 siti web dal discutibile contenuto. Le modifiche hanno riguardato solo due versioni del famoso searcher: quella tedesca e quella francese. I siti proibiti si riferiscono a materiali anti-semiti, filonazisti e simili, oltre a siti di fondamentalisti cristiani come Jewsus-is-lord.com. La notizia e’ stata il frutto di una particolare e accuratissima ricerca svolta dal Berkman Center della Harvard Univiersity, nel corso della quale sono state testate 2,5 miliardi di pagine web e sono state confrontate con le versioni di diversa lingua di Google. Tutta questa analisi e’ stata possibile grazie a un software, che confronta le URL presenti in rete con gli indici di Google, creato da Edelman, uno studente al primo anno della facolta’ di giurisprudenza ad Harvard.
Secondo questa ricerca sono stati eliminati siti come 1488.com, un network cinese di consulenza legale, 14words.com, un servizio di webhosting discount, e Stormfront.org, uno dei piu’ famosi siti del c.d. “orgoglio bianco” (il sito include un elenco di articoli di nazionalisti bianche e alcuni commenti di David Duke, uno dei leader del Ku Klux Klan).
E’ dunque necessario che i motori di ricerca studino particolari sistemi per evitare l’indicizzazione di siti dal contenuto controverso? Ma se questi search engines sono gestiti da “semplici” societa’ e non da agenzie governative, da dove sorge il fondamento giuridico di tale obbligo? E come e’ possibile riuscire a ottemperare contemporaneamente a tutte le norme disciplinanti il buon costume dei vari Paesi del mondo?
Per cercare in qualche modo di rispondere a queste domande, bisogna necessariamente capire quale sia la natura di un motore di ricerca.
a) Innanzitutto, sembra doversi escludere la equiparazione del search engine alla figura dello ISP (Internet Service Provider). Il motore di ricerca, infatti, non offre un servizio di accesso alla rete come puo’ essere messo a disposizione dal c.d. provider. Da cio’ deriva che non e’ possibile applicare le norme e le interpretazioni dottrinali che riguardano i provider alle caratteristiche del sito che offre servizi di ricerca su Internet.
b) Allora puo’ il search engine essere configurato come un mero fornitore di servizi e, in particolare, servizi di ricerca (come se la rete intera fosse considerata un enorme hard disk)? La risposta parrebbe essere affermativa. Ma cosa e’ precisamente un “fornitore di servizi”? E’ un soggetto che non svolge alcun giudizio di merito sul contenuto delle pagine web che mette a disposizione, perche’ queste ultime non sono da lui ospitate, ma, per es., meramente linkate, indipendentemente dalla loro posizione. Potrebbe essere assimilato, pertanto, al c.d. SysOp (System Operator) cioe’ quel soggetto che gestisce le informazioni e i messaggi inclusi nei BBS (Bullettin Board Systems). Il SysOp non e’ responsabile del contenuto interno delle informazioni amministrate (anche se potrebbe esserlo qualora svolgesse attivita’ di editore “in senso lato” – si veda E. Tosi, “I problemi giuridici di Internet”, p. 344 e segg., Giuffre’, 2001).
In conclusione, se si seguisse l’orientamento sub b), non sarebbe in alcun modo applicabile la disciplina (si veda la direttiva 2000/31/CE, per es.) secondo cui un provider ha l’onere – in qualche modo – di controllare il contenuto delle pagine pubblicate.
Infatti, se si identifica il motore di ricerca come un mero fornitore di servizi, consegue che (come afferma l’art. 4 b) del regolamento AIIP) “la fornitura di prestazioni tecniche senza conoscenza del contenuto non puo’ far presumere la responsabilita’ dell’attore che ha fornito tali interpretazioni”.
Sarebbe da escludere, infine, qualunque responsabilita’ da parte di Google per le pagine meramente linkate, in sede di risultato di ricerca.
Non si puo’ non condividere, comunque, la prudenza con cui Google abbia voluto censurare dal proprio servizio pagine web dal contenuto decisamente ambiguo, per evitare qualunque contrasto con le diverse leggi di tutti quei Paesi raggiunti da Internet.
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