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E’ il momento del telelavoro

27 Novembre 2002 Commenta

Il 27 novembre scorso si e’ tenuto a Milano un importante convegno che ha avuto per oggetto l’impatto del telelavoro sull’ambiente, l’economia e l’occupazione. Il convegno e’ stato organizzato dall’istituto di ricerca Avanzi e dalla Camera di Commercio di Milano nell’ambito di Sustainable Teleworking (www.sustel.org), progetto internazionale finanziato dalla Commissione Europea.

Napoli – Il telelavoro costituisce un’attivita’ tipica della new economy ed altro non e’ che una modalita’ di prestazione di lavoro svolta da un dipendente in un qualsiasi luogo ritenuto idoneo (esterno alla sede di lavoro) dove la prestazione sia tecnicamente possibile. E’ caratterizzato dal supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che consentono il collegamento con l’Ente per il quale viene svolta la prestazione.
La Comunita’ Europea ha subito compreso l’importanza del telelavoro ed ha visto nello stesso uno strumento di importanza strategica per realizzare importanti obiettivi quali: aumentare la flessibilita’ e la produttivita’ delle aziende e, nello stesso tempo, accrescere la competitivita’ internazionale.
Il ruolo centrale del telelavoro, per una crescita equilibrata dell’Europa, e’ stato sottolineato in due importanti relazioni ufficiali: Il Libro Bianco Delors e il Rapporto Bangemann sulla societa’ dell’informazione. Quest’ultimo ha indicato le azioni necessarie affinche’ il telelavoro diventi una priorita’ per la Commissione europea. Il progetto e’ divenuto operativo nel 1994. Esso e’ stato aggiornato nel 1996 come “piano d’azione continuo”, sulla base del successo nella liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni e nella realizzazione del Quarto Programma Quadro (1995-1998), soprattutto attraverso una gran quantita’ di misure di sostegno alla ricerca e sviluppo tecnologico.
Piuttosto di recente la Commissione si e’ occupata anche dei problemi normativi e contrattuali relativi al telelavoro, in particolare, di quelli relativi alla protezione sociale, alla salute e alla sicurezza. La Direzione Generale V, che si occupa delle relazioni industriali e degli affari sociali della Commissione dell’Unione Europea insieme alla Fondazione di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro ha svolto una ricerca sulle tre aree tematiche sopra indicate; sulla base di questa, nel giugno 1996, si e’ tenuta una conferenza quadripartita (imprenditori, sindacati, governi, esperti).

Ultimamente e per l’esattezza il 23 maggio 2002 e’ stato sottoscritto a Bruxelles l’accordo-quadro sul telelavoro tra le organizzazioni industriali e sindacali europee (tra le quali l’Unice per i datori di lavoro ed il CES per i sindacati). Tale accordo prevede il potenziamento delle sviluppo delle attivita’ di telelavoro in ambito europeo e disciplina specifiche misure di protezione dei lavoratori dipendenti che usufruiscono di questa particolare modalita’ di lavoro. L’accordo interessa oltre quattro milioni di lavoratori ed e’ ispirato a principi di flessibilita’ e sicurezza per cui vi saranno casi in cui datori di lavoro non potranno imporre il telelavoro (qualora non sia previsto nell’ambito delle attivita’ per le quali il lavoratore e’ stato assunto) come casi in cui i datori di lavoro potranno rifiutare le richieste dei lavoratori di operare per via telematica.
Gli stati membri dovranno recepire l’accordo-quadro entro tre anni ed a sorvegliare l’applicazione a livello nazionale delle norme fondamentali contenute nell’accordo saranno le stesse parti sociali.
Come sempre ben diversa e piu’ progredita e’ la situazione degli Stati Uniti dove l’idea del telelavoro nacque negli anni Sessanta, allorche’ la disponibilita’ crescente e i costi sempre piu’ contenuti dei personal computers e l’esistenza di ampie reti di collegamento indusse alcuni “futurologi” americani a parlare della possibilita’ di lavorare da casa, collegandosi per via telematica con l’ufficio.
Attualmente negli Stati Uniti i telelavoratori superano i 16 milioni e negli anni piu’ recenti si e’ notato un aumento considerevole delle persone che hanno un home business, quindi non sono dipendenti di imprese, ma consulenti o collaboratori esterni.
I telelavoratori in senso allargato (considerando anche i lavoratori autonomi e i dipendenti “mobili”, tipo i funzionari commerciali) sarebbero tra il 3 e il 6% della forza lavoro. Ma i dipendenti con vero e proprio contratto di telelavoro sarebbero solo 360 mila. Comunque, i dati degli Usa sono sconfortanti, se si considera che la legislazione americana contro l’inquinamento favorisce esplicitamente con incentivi fiscali la creazione di posti di lavoro a distanza. Probabilmente, negli Stati Uniti il fenomeno assume piuttosto la caratteristica di un lavoro professionale individuale e autonomo. Il che non e’ male ma presenta qualche rischio.

In Italia la normativa di riferimento riguarda principalmente il telelavoro nella P.A. ed e’ costituita dal d.lgs. n. 165 del 2001 art. 36; dalla legge 16 giugno 1998, n. 191; dal D.P.R 8 marzo 1999, n.70 (regolamento); dall’Atto di indirizzo all’ARAN e l’Accordo quadro nazionale sul telelavoro nella Pubblica Amministrazione siglato il 23 marzo 2000; dalla deliberazione AIPA del 31 maggio 2001 (regole tecniche).
Purtroppo, pero’, esiste ancora un notevole ritardo nello sviluppo di questa nuova forma di lavoro dovuto non tanto a vincoli di natura tecnica ed economica (sotto questo profilo il telelavoro e’ perfettamente realizzabile), ma, piuttosto, a quelli di tipo culturale ed organizzativo. Nel nostro Paese, infatti, stenta ad affermarsi quella cultura del decentramento e della flessibilita’ che e’ alla base delle principali esperienze di telelavoro realizzate a livello internazionale.

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