Spunta da vecchie memorie di server poco protetti un vasto materiale interno della Microsoft (risalente al 2000) che ammette in maniera esplicita i vantaggi del sistema UNIX, rispetto al sistema operativo Windows 2000. La Microsoft, dunque, e’ sempre stata pienamente a conoscenza delle opportunita’ che gli altri software possono offrire e la scoperta di questi segreti rappresenta certamente un duro scossone per la casa di Redmond.
Washington, USA – Stanno facendo molto scalpore le pubblicazioni in rete di materiale interno della Microsoft, risalente al 2000. La “scoperta” di queste informazioni e’ stata effettuata pochi giorni fa, scovando all’interno di server poco protetti della Microsoft.
Anche se tale condotta costituisce reato (perseguibile in Italia ai sensi dell’art. 615-ter c.p. – “accesso abusivo a un sistema informatico o telematico” – e 595 c.p. – “diffamazione”), la rivelazione della documentazione suscita scandalo all’interno della casa di Redmond. Finora, pero’, non vi sono commenti ufficiali sulla veridicita’ del materiale reso pubblico. In particolare, sono stati resi noti alcuni documenti confidenziali di David Brooks (membro dell’allora “Windows 2000 Server Product Group) riguardo alla effettiva efficienza delle macchine equipaggiate con UNIX, rispetto a quelle su cui “gira” Windows 2000.
Si riportano alcuni stralci di questi commenti. “Con Unix e’ piu’ facile per un amministratore di sistema assicurare che non vi siano porte aperte attraverso cui potrebbero filtrare attacchi. La stabilita’ del kernel UNIX e la gratuita’ del software rispetto alle licenze Windows rendono appetibile la scelta per questo sistema soprattutto da parte di “start-up”. Mentre in Windows 2000 alcuni parametri che controllano il sistema operativo sono nascosti e difficili da amministrare pienamente, UNIX e’ piu’ facile da gestire.”
La notizia appena riportata impone alcune riflessioni sia da un punto di vista prettamente giuridico sia da un altro, piu’ generale, concernente la sicurezza della rete.
Per quanto concerne il secondo aspetto, e’ noto ormai che, purtroppo, la segretezza dei dati (privati) immessi in qualche modo nel circuito della rete e’ potenzialmente a rischio diffusione. Quello che puo’ essere fatto a danno di un singolo navigatore puo’ essere compiuto anche nei confronti della piu’ grande software house mondiale. E’ necessario, quindi, non sottovalutare l’aspetto sicurezza e disporre degli strumenti tecnici di tutela informatica piu’ moderni e all’avanguardia.
Dal punto di vista giuridico, invece, la diffusione via Internet di notizie lesive della reputazione di un soggetto costituisce per l’offeso una problematica ulteriore rispetto al “mero” danno in se’.
Con Internet – si sa – qualunque notizia fa letteralmente “il giro del mondo”, grazie alla a-territorialita’ congenita del mezzo di comunicazione. Questa caratteristica (che per molti contribuisce alla realizzazione di un nuovo mondo compatto e privo di confini) trasforma, pero’, lo strumento che veicola l’informazione in un amplificatore dei danni che il soggetto diffamato subisce gia’ per la condotta illecita compiuta a suo discapito.
Sara’ molto difficile, dunque, eliminare dall’intera rete i riferimenti a quell’attivita’ lesiva e, di conseguenza, sara’ maggiore il prolungamento delle conseguenze dannose del reato di diffamazione.
A tutte queste problematiche si aggiunge la spinosa questione della competenza territoriale dell’obbligazione risarcitoria derivante dal reato di diffamazione.
In Italia l’argomento e’ ancora molto dibattuto in giurisprudenza e in dottrina, ma ha avuto recentemente (con l’ordinanza Cass., III Sez. civ., 15 febbraio-8 maggio 2002 n. 6591) una puntuale (ma non per questo non criticata) definizione. Nell’ordinanza, infatti, la Cassazione prende le distanze da altre sentenze che hanno ritenuto competente il Giudice del luogo in cui si trova il server sul quale sono caricate le pagine del sito contenente le dichiarazioni diffamanti (Trib. Lecce, 16/11/00) o i Giudici di tutti i luoghi in cui la notizia diviene pubblica (Trib. Cagliari, 28/2/00).
La Corte (dopo una puntuale analisi del caso) risolve la questione, infatti, ritenendo competente il Giudice del luogo in cui i danni patrimoniali e morali si sono verificati a seguito dell’evento dannoso della diffamazione. Questo luogo dev’essere fatto coincidere con quello del domicilio del soggetto danneggiato, poiche’ e’ proprio in quel luogo – piu’ che altrove – che si sostanzia l’impoverimento e il danno morale.
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