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E-COMMERCE: Crisi ? No, grazie ai micropagamenti

4 Dicembre 2002 Commenta

Stancamente le voci sul difficile decollo del commercio elettronico si trascinano nelle piu’ disparate schede statistiche e nei commenti degli esperti del settore. Ma per far rinascere l’e-commerce e dargli vigore, alcuni studiosi di marketing indicano la via – molto dibattuta in realta’ – dei c.d. “micropagamenti”.


Australia – La situazione del commercio elettronico non e’ delle piu’ rosee. Accurate informazioni statistiche hanno sempre riscontrato una scarsa diffusione di questo tipo di commercio sia in America sia – soprattutto – in Europa.
I motivi in base ai quali non si riesce a vedere lo “slancio” dell’e-commerce consistono fondamentalmente nella “insicurezza” di qualunque compratore a lasciare in rete i propri dati personali (e, soprattutto, il numero di carta di credito). Il rischio che corre il consumatore, nell’ipotesi dell’acquisto di un bene, per esempio, consiste nell’eventualita’ che un hacker intercetti il numero della carta e lo riutilizzi per fare altri acuisti a danno del vero titolare. In gergo tecnico, si dice che l’hacker “sniffa” il numero della carta, cioe’ egli fiuta (dall’inglese to sniff) quel dato, osservando un determinato flusso di informazioni in rete (tale reato e’ perseguibile ai sensi dell’art. 617-quater c.p.).
Un rimedio a questo problema potrebbe essere non utilizzare la carta di credito e, a tal riguardo, si sono prospettate diverse alternative. Una prima soluzione e’ stata quella di introdurre carte di credito ricaricabili, il cui furto non arreca ingenti danni al suo titolare, ma solo la perdita del credito (di solito molto basso) che si aveva.
Un altro strumento, che sembra essere tornato ultimamente all’attenzione di tutti, e’ il “micropagamento”, cioe’ far pagare al navigatore piccole somme per poter accedere a diversi servizi: lettura di articoli di testate giornalistiche, fruizione dei motori di ricerca, ecc. Un modo per effettuare questi micropagamenti e’ quello di addebitare sulla bolletta telefonica dell’utente la cifra spesa (sara’ poi il gestore telefonico a pagare il venditore la relativa spettanza).

In tal modo si andrebbero ad aumentare (con piccolissimi pagamenti) le risorse economiche di tutti gli operatori della rete che offrono ai navigatori servizi – a volte molto complessi – in maniera gratuita. Inoltre, un tale sistema potrebbe essere utilizzato per “qualificare” l’audience di qualunque sito che voglia utilizzare tale servizio: in tal modo, i pubblicitari potrebbero avere alla mano dati interessanti per capire e gestire le campagne pubblicitarie sul web.
Il problema, pero’, non e’ solo organizzativo, ma anche giuridico.
Dal primo punto di vista, e’ importante che, oltre al consenso di tutti i navigatori, vi sia l’accordo dei venditori che sulla rete fanno commercio (cosa che non sembra poi cosi’ semplice da realizzare).
Dall’altro punto di vista, e’ necessario predisporre accurati sistemi giuridici volti a tutelare il consumatore ogni volta che egli accede a servizi di e-commerce. Fortunatamente, al momento in Europa esistono tali strumenti. Si ricordano brevemente, infatti, la direttiva 97/7/CE sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (attuata in Italia dal d. lgs. n. 185/99) e la recente direttiva 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della societa’ dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (la cui attuazione e’ stata delegata dal Parlamento al Governo con la legge n. 39/02).

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