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EDITORIALE: La tutela dei consumatori: La prospettiva aziendale

3 Gennaio 2003 Commenta

La disciplina volta alla tutela della controparte contrattuale dei fornitori di beni di consumo non e’ posta nell’interesse dei fornitori, cosi’ come in materia di responsabilita’ da prodotta non e’ a favore del produttore o del fornitore.


Da tale semplice constatazione discende un’ovvia conseguenza, che da un punto di vista strettamente giuridico gli interessi del fornitore consistono
– nell’evitare ed eludere per quanto possibile l’applicazione delle regole suddette;
– nel limitare le conseguenze pregiudizievoli nei suoi confronti di tali regole, sia in termini di rischio potenziale che di probabilita’ che questo si verifichi;
– nel rendere il meno probabile e il meno dannoso possibile l’evento che i diritti attribuiti al consumatore vengano fatti oggetto di una vertenza
– nel migliorare le proprie probabilita’ di successo nel caso una vertenza abbia luogo.


Cio’ non significa che l’azienda debba improntare la propria politica contrattuale esclusivamente in funzione di tali interessi. Interesse dell’azienda e’ ugualmente praticare i prezzi piu’ alti, ma cio’ non significa ovviamente che sia possibile o conveniente andare oltre un certo limite, che e’ determinato dalla concorrenza diretta ed indiretta cui il fornitore e’ soggetto, ed in ultima analisi dal potere contrattuale di cui esso gode nei confronti del consumatore, che e’ tutt’altro che assoluto nella maggiorparte dei casi. Tali considerazioni non riguardano per altro chi si occupa degli aspetti legali, che e’ chiamato a fornire indicazioni su cosa si possa (forse) fare, lasciando all’ufficio vendite o all’imprenditore decidere se poi sia anche conveniente farlo.


La prima decisiva questione riguarda i limiti soggettivi della normativa in esame. Se la responsabilita’ da prodotto, o quella che richiede particolari formalismi nell’approvazione in generale delle cosiddette clausole vessatorie, gravano sul fornitore indipendentemente dalla  identiita’ dell’altro contraente, la disciplina in materia di tutela dei consumatori riguarda come sappiamo unicamente le persone fisiche che agisce per scopi estranei alla propria attivita’ imprenditoriale o professionale (cfr., prima ancora dell’art. 1519-bis, l’art. 1469-bis). Tale limitazione si combina con il perdurare del principio secondo cui un contratto si perfeziona unicamente sulla base del consenso delle parti. Ora, nel momento in cui il regime dei contratti B2C si allontana sempre di piu’ da quello dei contratti B2B, e’ assolutamente plausibile che l’identita’ dell’altro contraente sotto tale profilo costituisca un elemento essenziale nel consenso del fornitore ad effettuare la fornitura, o almeno ad effettuarla a tale prezzo. E’ possibile ad esempio che il fornitore richieda ed ottenga una copertura assicurativa supplementare, o a condizioni piu’ onerose, inerente alle responsabilita’ supplementari che si prende in una fornitura ad un consumatore, ovvero alla maggior probabilita’ di sopportare oneri e risarcimenti in relazione al regime piu’ sfavorevole in materia di denuncia di vizi, di prescrizione della relativa azione, di prova della presenza del vizio alla consegna, di certezza di potersi difendere nel foro preferito, eccetera. Se anche non e’ questo il caso, del resto, e’ ragionevole argomentare che tali voci finiscano statisticamente, in un gran numero di rapporti, per alterare l’equilibrio economico della transazione.

La distinzione non e’ affatto irrilevante anche sotto il profilo del fatto che mentre i consumatori raramente comprano petroliere, una grande quantita’ di tradizionali beni di consumo sono in realta’ acquistati per scopi “professionali”. Ancora, la valorizzazione dello “scopo” dell’acquisto giustifica la disapplicazione della normativa a tutela del consumatore non solo ai fini di un’attivita’ imprenditoriale o professionale in essere, ma anche con riferimento ad attivita’ future, o puramente programmate, del tutto indipendentemente dal fatto che poi esse vengano davvero poste in essere.


Cio’ a sua volta esclude che le dichiarazioni dell’acquirente in tal senso, foss’anche contenute in un modulo predisposto dal venditore, possano essere ritenute irrilevanti; e se le stesse non valgono ad escludere di per se’ l’applicazione di norme imperative ai rapporti che oggettivamente sarebbero da esse regolate, e’ ben possibile ritenere che vengano ad incidere in primo luogo ed innanzitutto sulla stessa validita’ del contratto, ovvero sulla capacita’ del contraente privato di azionare tale contratto ad un qualsiasi fine.


Esistono invece dei limiti quanto alla possibilita’ di sottoporre il contratto ad un ordinamento nazionale diverso da quello italiano e piu’ favorevole, giusto l’art. 1519-octies, III comma, salvo il caso che il contratto sia privo di contatti significativi con paesi dell’Unione Europea. E’ naturalmente possibile tentare di aggirare la clausola suddetta attraverso una clausola arbitrale, o una clausola di deroga alla giurisdizione italiana, a favore di un foro piu’ rispettoso della volonta’ delle parti al riguardo ma esistono in proposito le difficolta’ rappresentate da un lato dall’art. 1469-bis, che prevede quanto meno una presunzione di vessatorieta’ per le clausole arbitrali,  dall’altro dalle disposizioni contenute nel Regolamento di Bruxelles e nella legge di riforma del diritto internazionale privato italiano. Giova comunque rilevare che nei rapporti di valore inferiore ai mille euro il Giudice di Pace giudica secondo equita’, e che pur essendo potenzialmente portato ad identificarsi con il consumatore e’ ben possibile che per eta’ e formazione sia piu’ portato ad applicare le soluzioni tradizionali in materia contrattuale di quanto non lo sia un giudice chiamato a giudicare secondo diritto e percio’ secondo la nuova disciplina.


Ancora, giova notare che la disciplina in materia di tutela del consumatore, cosi’ come quella in materia di responsabilita’ da prodotto, lascia in realta’ l’azienda perfettamente libera di sottrarsi dalle conseguenze delle norme in questione ripercuotendo, se ha il potere contrattuale per farlo e nei soli limiti dell’abuso di un eventuale rapporto di dipendenza economica, praticamente ogni conseguenza economica a monte o a valle della catena distributiva.

Cio’ detto, anche per la misura in cui gli effetti della nuova disciplina non possano essere evitati da parte del fornitore, la stessa, ben lungi dal rendere irrilevanti le condizioni di fornitura, enfatizza al contrario l’opportunita’ di provvedere ad un’ampio e smaliziato utilizzo delle stesse in vista della minimizzazione del rischio e di un’esatta delimitazione delle obbligazioni aziendali. Al di la’ del fatto che persino clausole nulle sono nondimeno spesso spontaneamente osservate dall’altro contraente, sia cio’ per rispetto degli accordi presi o per inefficiente tutela dei suoi interessi, viene in conto qui il sostanziale avvicinamento di tutti i contratti di fornitura a fattispecie e regole tradizionali dell’appalto piu’ che della compravendita. Cio’ in particolare attraverso la previsione di un’obbligazione del fornitore di fornire non semplicemente la cosa identificata nel contratto (salve le garanzie per vizi, mancanza di qualita’ promesse ed evizione), ma una cosa conforme al contratto stesso; il che richiede esattamente che la stessa sia definita quanto meglio possibile, e cio’ in particolare con riguardo alle cosiddette “presunzioni” di cui all’art. 1519-ter. La necessita’ dei requisiti previsti, teoricamente a favore del fornitore, puo’ in effetti essere vinta non tanto attraverso prove critiche riguardo la natura del bene fornito risponda ai requisiti richiesti (cosa che anzi riguarda il presupposto per la loro applicazione), ma attraverso la prova di un diverso contenuto del contratto, che ha espressamente pattuito in termini sufficientemente prudenziali (e magari al di sotto della reputazoine e/o dell’effettiva aspettativa della parti quanto alle caratteristiche e prestazioni del prodotto) margini di tolleranza e limiti inferiori di qualita’ che ridimensionino quanto commercialmente possibile gli impegni giuridicamente vincolanti dell’azienda.


Non solo. Esimenti per il fornitore inerenti alla conoscenza da parte del consumatore della “non-conformita'” del prodotto sono espressamente previste tanto con riguardo alle istruzioni e ai materiali forniti dall’acquirente, quanto per la conoscenza della non-conformita’, ed ancora per la conoscibilita’ di essa secondo l’ordinaria diligenza. Per quanto possa rivelarsi forte in futuro l’ostilita’ giurisprudenziale rispetto a politiche aziendale volte a ridimensionare in via generale gli effetti della normativa in commento, risulta percio’ difficile che possano essere ignorate aprioristicamente i riconoscimenti, le dichiarazioni di conoscenza, o le dichiarazioni di avere effettuato le verifiche espressamente indicate nel testo contrattuale, alla cui verita’ venga magari condizionata l’efficacia del contratto stesso. Dichiarazioni cui ci si puo’ anche tentare di valere, ogniqualvolta la stipulazione del contratto sia contestuale alla consegna o sia possibile ottenere ulteriore attivita’ negoziale da parte del consumatore all’atto della consegna stessa, ai fini di vincere la presunzione di cui all’art. 1519-sexies, secondo cui si presume che i difetti emersi nei sei mesi successivi sussistessero all’atto della consegna dei beni forniti.


Ugualmente, quanto ai rimedi esercitabili da parte del consumatore ex art. 1519-quater, pare opportuno che le condizioni di fornitura fissino dei limiti quanto al tempo inerente al loro esercizio, o prevedano un’interpretazione convenzionale del silenzio al riguardo, cosi’ come un termine per l’accettazione o il rifiuto della proposta del fornitore prevista dalla stessa disposizione, e per un’interpretazione convenzionale del relativo silenzio, salve le opportune accortezze per limitare il rischio che le relative clausole vengano dichiarate inefficaci ai sensi dell’art. 1469-bis.


Infine, la disciplina in materia di responsabilita’ di prodotto ha gia’ evidenziato l’importanza e l’utilita’ delle “avvertenze” e delle “istruzioni” in chiave di limitazione di responsabilita’, e l’esigenza di una loro contrattualizzazione per quanto possibile.

Con riguardo all’esigenza di minimizzare la probabilita’ ed il costo del contenzioso basato sulla nuova normativa, un elemento che vede per una volta convergere le esigenze del marketing e della tutela dell’azienda e’ una gestione strutturata e proceduralizzata dei reclami interni. Al di la’ del suo valore in termini di immagine, l’esistenza di una procedura precisa al riguardo puo’ indurre verosimilmente (e magari non a torto) il consumatore a ritenere di poter ottenere una tutela piu’ pronta, efficace ed a buon mercato attraverso il ricorso all’azienda stessa che a soggetti terzi, ed in caso positivo diminuisce l’impatto psicologico negativo del problema subito o percepito. In ogni modo, l’esperimento di una procedura di reclamo, oltre a sortire di per se’ un effetto dilatorio e defatigante, consente all’azienda di conoscere anticipatamente il “caso” che il consumatore potrebbe portare avanti ad un giudice, con ovvio vantaggio sia nella valutazione dell’opportunita’ di una transazione ed un assessment del relativo break-even point, che a livello processuale ove la contestazione sia destinato ad essere coltivato in tale sede.


Una possibilita’ interessante e’ quella di costruire contrattualmente le procedure di reclamo come una condizione di procedibilita’ di eventuali azioni giudiziarie. Tale previsione, anche a prescindere dal fatto che i casi di osservanza spontanea possono essere sufficientemente numerosi da giustificarla in ogni caso, appare meno facilmente attaccabile ai sensi dell’art. 1469-bis n. 18, in termini di limitazione alla facolta’ di opporre eccezioni o di deroga alla competenza dell’autorita’ giudiziaria, di quanto non sia invece la previsione di un arbitrato irrituale, o peggio rituale.


Ugualmente importante, in termini sia di probabilita’ che un’azione venga instaurata che in termini di costo della resistenza correlativamente necessaria che eventualmente come abbiamo gia’ visto di regole applicate dal giudice, e’ la questione del foro. Le previsioni contrattuali al riguardo incontrano i limiti in materia di deroga alla giurisdizione del giudice italiano di cui si e’ gia’ detto; e la potenziale inefficacia delle clausole relative a competenze esclusive interne ai sensi dell’art. 1469-bis (di cui va provata la non-vessatorieta’ “tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende” o il fatto che la clausola sia stata oggetto di trattativa individuale).


Esistono per altro numerosi fattori che incidono indirettamente sull’identificazione del foro competente. Per quello che riguarda la distribuzione di competenza tra i giudici italiani, ad esempio, tale foro coincide in effetti con il foro del convenuto, con quello in cui e’ sorta l’obbligazione e con quello in cui l’obbligazione deve essere eseguita, tre circostanze che non sfuggono necessariamente da ogni controllo delle parti, tenuto conto che la seconda puo’ essere facilmente “pilotata”, la terza puo’ essere oggetto di una espressa previsione contrattuale, mentre la prima vede lo stesso art. 1469-bis prevedere possa far riferimento al “domicilio elettivo” del convenuto, ovvero quello che il convenuto dichiara e si sceglie arbitrariamente, magari per ottenere che il fornitore accetti il suo ordine.

In ogni modo, sia a livello nazionale che internazionale, ove esista piu’ di un foro (essendo in tal caso probabile che almeno uno di essi sia fortemente preferibile per il fornitore) vale il principio della prevenzione, cosi’ che la certezza dell’imminenza di un’azione ai sensi della nuova disciplina puo’ rendere opportuno agire in prevenzione, per un accertamento negativo, o, ancora piu’ facilmente, per il pagamento del prezzo, posto che ove questo non sia ancora avvenuto la prima iniziativa di autotutela, a livello per cosi’ dire di “riflesso condizionato” del consumatore, e’ quello di valersi dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460, o, in termini meno paludati di rifiutare il pagamento; cosi’ che in tal caso il tentativo di recupero del credito presenta il vantaggio supplementare di radicare la competenza nel foro prescelto dall’attore anche per le eventuali azioni per inadempimento, dalla riduzione del prezzo al risarcimento del danno alla richiesta di riparazione o sostituzione. Cio’ del resto vale in un elevato numero di casi anche ove il foro adito sia incompetente, essendo sufficiente che il convenuto costituito non si curi di eccepire al riguardo, o che ometta di farlo nei tempi e nelle forme prescritte.


Infine, le caratteristiche del contenzioso suddetto ben si prestano ad una gestione di massa, che veda predisposte ab origine tutte le misure opportune alla precostituzione di prove, ed alla piu’ efficace resistenza in causa. In effetti, una volta verificate ed escluse le possibilita’ di definire la vertenza, la gestione della stessa pare nella maggior parte dei casi dover essere improntata a criteri semplicemente di massimizzazione delle proprie probabilita’ di successo e degli oneri incombenti sulla controparte, anche al di la’ dell’eventuale antieconomicita’ di tale politica nel singolo caso, stante la necessita’ di esercitare la massima possibile dissuasione rispetto a tale tipo di azioni e l’evidente convenienza in caso contrario di limitare i costi diretti ed indiretti (ad esempio di immagine) in via transattiva.


In questo senso l’attuale sistema  processuale, con la sua complicata e preordinata serie di adempimenti, decadenze, preclusioni, etc. consente sia di ottimizzare e formalizzare notevolmente l’armamentario defensionale impiegato nella rappresentanza giudiziale dell’azienda di un numero rilevante di casi simili per la stessa azienda, attraverso la creazione e l’aggiornamento di librerie di argomenti, precedenti, schemi di prova, etc. da utilizzare secondo i casi, sia di valersi appieno dell’eventuale inadeguatezza delle risorse professionali impiegate dal consumatore.


Infine, la teorizzata estensione del campo delle indagini difensive alla sfera del contenzioso civile ed anzi alla mera eventualita’ di esso, presenta spunti di notevole interesse ai fini della tutela dell’azienda da tentativi speculativi da parte di consumatori in forza della nuova disciplina o di quella in materia di responsabilita’ da prodotto.

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