Cassazione: La pedopornografia e’ delitto solo se divulgata on line.
Napoli – Con sentenza 4900 del 3 febbraio scorso, la Corte di Cassazione (V Sez. Pen.) ha precisato che al fine della configurazione del delitto di cui all’art. 600-ter, 3° co., C.p., e’ necessario che la distribuzione, divulgazione, o pubblicizzazione del materiale fotografico di cui al precedente comma primo dello stesso articolo, deve avere come destinatari un numero indeterminato di persone o comunque deve essere idonea a raggiungere tale obiettivo.
Laddove, invece, la trasmissione di una foto dovesse avvenire solo a seguito di una manifestazione di volonta’ dichiarata nel corso di una conversazione privata, si verserebbe nell’ipotesi piu’ lieve di cui al 4° comma.
Questa sentenza della Corte di Cassazione ritorna su un argomento (gia’ affrontato piu’ volte v. per tutte la recente sentenza n. 5397/02) molto delicato come la pornografia minorile per la cui repressione e’ stata emanata la legge n. 269 del 3 agosto 1998 che ha preso in considerazione anche le ipotesi in cui gli illeciti vengano commessi tramite l’utilizzo di Internet.
Tale normativa, tra l’altro, e’ stata molto contestata in dottrina per una tutela penale che talvolta appare eccessiva e per una visione della Rete piuttosto negativa.
Basi pensare all’acceso dibattito sulla configurabilita’ della responsabilita’ penale del provider sia di carattere omissivo per non aver impedito quell’evento costituito dall’immissione in rete di materiale pedopornografico sia di carattere commissivo per aver con la propria condotta addirittura agevolato la realizzazione del reato.
Nel caso di specie, la Suprema Corte e’ chiamata ad esaminare la decisione della Corte d’Appello che ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento del Tribunale di Trieste di rigetto dell’istanza di remissione in liberta’ dell’imputato T.C. indagato per il reato di cui all’articolo 600-ter terzo comma e 81 c.p. per avere ripetutamente, l’attivita’ durava da quasi un anno, e per via telematica, operando con il nickname “tcbsx” in una chat line, distribuito o comunque divulgato materiale pornografico avente ad oggetto minori di diciotto anni ritratti nel corso di rapporti sessuali tra loro e con adulti, cedendolo nel corso di tali attivita’ ad ufficiali di Pg del compartimento di polizia postale e delle telecomunicazioni “Veneto”, che agivano sotto copertura ai sensi dell’art. 14 1° e 2° comma della legge n. 269/98.
A prescindere dalle necessarie cautele che la Suprema Corte ha piu’ volte richiesto ai fini della corretta applicazione dell’art. 14 della legge n. 269/98 (che con le ipotesi previste al 1° ed al 2° comma ha introdotto, potremmo dire, una nuova figura di agente provocatore che specialmente al 2° comma pone in essere una vera e propria attivita’ illecita, anche se per attirare soggetti pericolosi; di conseguenza e’ necessario che vengano rispettate tutte le formalita’ procedurali previste al fine di garantire al massimo il rispetto dell’art. 15 della Costituzione), il vero problema si pone sulla configurabilita’ nel caso di specie, del delitto contestato all’imputato e cioe’ dell’art. 600-ter, 3° comma del codice penale che prevede la distribuzione, divulgazione, o pubblicizzazione del materiale fotografico di cui al precedente comma primo, con qualsiasi mezzo, anche in via telematica.
In effetti gia’ per il passato la Suprema Corte (v. sentenza n. 5397/02) ha sancito che ai fini della configurabilita’ del delitto in esame si richiede come necessaria condizione la diffusione del materiale fotografico ad un numero indeterminato di persone o quanto meno l’idoneita’ della condotta a raggiungere una serie indeterminata di destinatari.
Nel caso di specie, lamenta la Corte, non sembra che si sia realizzata tale condizione, poiche’ per quanto il contatto si sia svolto nell’ambito di una chat line del tipo IRC, si sono avute isolate cessioni nel corso di discussioni private (per l’esattezza due di cui al capo di imputazione) e, quindi, non esisteva la possibilita’ per gli altri partecipanti alla chat di disporre di quelle fotografie.
Il Supremo Organo giudicante, entrando piu’ nello specifico, sottolinea che la divulgazione delle foto incriminate non si e’ avuta attraverso programmi (come nel caso di Napster) che consentono una condivisione on line di cartelle comuni.
In tal caso, difatti, non sussistevano dubbi sulla configurabilita’ del delitto contestato in quanto chiunque una volta collegatosi in rete poteva accedere alle cartelle presenti sul disco rigido e prelevare le fotografie pedopornografiche.
E’, quindi, senz’altro ipotizzabile il delitto di cui al 4° comma dell’art.600-ter del cod. pen. che prevede l’ipotesi residuale, meno grave, di chi consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale di minori.
Appare, evidente che qualora esista una volonta’ dichiarata nel corso di una conversazione privata di trasmettere una foto ad una singola persona (a prescindere da chi si nascondi dietro tale persona) non puo’ che configurarsi l’ipotesi di reato meno grave di cui al 4° comma dell’art. 600-ter c.p., mentre qualora la volonta’ del soggetto sia quella di mettere a disposizione delle foto pedopornografiche a favore di un’intera collettivita’ telematica, non sussistono dubbi sulla configurabilita’ del reato piu’ grave di cui al 3° comma dell’art. 600-ter c.p.
La tesi della Corte di Cassazione e’ senz’altro condivisibile e possiamo dire ormai consolidata, anche se esistono impostazioni dottrinarie (Picotti) che, in linea con quanto sostenuto dal Tribunale e dalla Corte d’Appello nel caso di specie, sostengono che, solo nel caso di un messaggio di posta elettronica diretto ad un destinatario ben individuato puo’ parlarsi di un contatto esclusivo fra due persone, mentre negli altri casi, senza fare alcuna distinzione, considerate le caratteristiche di rete aperta di Internet e’ sufficiente la semplice messa a disposizione on-line di determinati messaggi per mettere in comunicazione l’autore con un numero indeterminato di soggetti.
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