New York, USA – La RIAA, Recording Industry Association of America, haindetto giorni fa una durissima lotta contro tutti i dipendenti di societa’che scaricano musica illegalmente via Internet. Enormi sarebbero i danni permancato guadagno e altrettanto enormi sarebbero le implicazioni per quellesocieta’ che non adottano le misure necessarie per fermare il fenomeno. Sicalcola, infatti, che per ogni canzone scambiata illecitamente i danniammontino a circa 150.000 dollari, per non calcolare le spese legali e leparcelle degli avvocati. Proprio allo scopo di far capire alla moltitudinedi aziende i rischi che corrono, la RIAA – tramite i propri legali – hainviato lettere a circa 300 societa’ degli USA, ammonendole di poterincorrere in “significal legal damages”. Le lettere spedite sono completeanche di dettagliate analisi di quelle che sono le attivita’ di presuntaviolazione del copyright. Una parte di quella minuziosa informativa includeaddirittura l’indirizzo IP delle macchine da cui sono collegati i presuntipirati, con una lista delle opere illegalmente condivise. Infatti, le retiaziendali in molti casi sono utilizzate dai dipendenti come juke-boxtelematici da cui scaricare le canzoni scambiate illegalmente attraverso gliormai famosi software di file-sharing, come KaZaA. Un portavoce della RIAAnon ha indicato in maniera precisa l’identita’ delle societa’ che hannoricevuto le lettere-avviso. Approssimativamente, pero’, si puo’ calcolareche il 20% riguardi aziende nel campo medico, un altro 20% riguardi l’ambitoindustriale e un 35% si riferisca a societa’ inserite nel campo della IT. Ilresto si riferirebbe, infine, ad aziende di diversa collocazione nelmercato. Al di la’ dei dati forniti e dei pericoli cui si espongono lesocieta’ che non adottano strumentazioni tecnologiche per filtrare icontenuti utilizzati dai propri dipendenti (in Italia e’ stabilita anche lareclusione), la RIAA vuole cercare in qualche modo di interrompere uncircolo vizioso che da diverso tempo ha preso piede un po’ in tutte leaziende medio-grandi. E, seppur con queste maniere decise e inconsuete, sipuo’ affermare che (in senso lato) l’associazione americana voglia cercaredi “educare” tutti coloro utilizzano Internet anche per lavoro a rispettareil lavoro compiuto da tanti artisti e dalle rispettive case discografiche.]]>
New York – La RIAA, Recording Industry Association of America, ha indetto giorni fa una durissima lotta contro tutti i dipendenti di societa’ che scaricano musica illegalmente via Internet. Enormi sarebbero i danni per mancato guadagno e altrettanto enormi sarebbero le implicazioni per quelle societa’ che non adottano le misure necessarie per fermare il fenomeno.
Si calcola, infatti, che per ogni canzone scambiata illecitamente i danni ammontino a circa 150.000 dollari, per non calcolare le spese legali e le parcelle degli avvocati. Proprio allo scopo di far capire alla moltitudine di aziende i rischi che corrono, la RIAA – tramite i propri legali – ha inviato lettere a circa 300 societa’ degli USA, ammonendole di poter incorrere in “significal legal damages”. Le lettere spedite sono complete anche di dettagliate analisi di quelle che sono le attivita’ di presunta violazione del copyright. Una parte di quella minuziosa informativa include addirittura l’indirizzo IP delle macchine da cui sono collegati i presunti pirati, con una lista delle opere illegalmente condivise. Infatti, le reti aziendali in molti casi sono utilizzate dai dipendenti come juke-box telematici da cui scaricare le canzoni scambiate illegalmente attraverso gli ormai famosi software di file-sharing, come KaZaA. Un portavoce della RIAA non ha indicato in maniera precisa l’identita’ delle societa’ che hanno ricevuto le lettere-avviso. Approssimativamente, pero’, si puo’ calcolare che il 20% riguardi aziende nel campo medico, un altro 20% riguardi l’ambito industriale e un 35% si riferisca a societa’ inserite nel campo della IT. Il resto si riferirebbe, infine, ad aziende di diversa collocazione nel mercato. Al di la’ dei dati forniti e dei pericoli cui si espongono le societa’ che non adottano strumentazioni tecnologiche per filtrare i contenuti utilizzati dai propri dipendenti (in Italia e’ stabilita anche la reclusione), la RIAA vuole cercare in qualche modo di interrompere un circolo vizioso che da diverso tempo ha preso piede un po’ in tutte le aziende medio-grandi. E, seppur con queste maniere decise e inconsuete, si puo’ affermare che (in senso lato) l’associazione americana voglia cercare di “educare” tutti coloro utilizzano Internet anche per lavoro a rispettare il lavoro compiuto da tanti artisti e dalle rispettive case discografiche.
Forse da cio’ discende la meticolosita’ con cui i legali della RIAA hanno indicato, in allegato alle lettere-avviso, anche una lista (log) dei file scambiati dai dipendenti, memorizzando il tutto in CD-Rom.
A ogni modo, si tratta di una risoluta presa di posizione della RIAA di fronte a questo ulteriore aspetto della condivisione di musica illegale. Tanto e’ vero che l’associazione precisa che le informazioni di cui ha la disponibilita’ sono il risultato di una “minima” ricerca condotta in tal senso. Cio’ sta a significare che se quella ricerca fosse piu’ particolareggiata, si scoprirebbe molto di piu’. La portata di quanto accennato poc’anzi e’ molto piu’ ampia di quanto sembri. Infatti, dev’essere preso in considerazione da un lato il cambiamento dei rapporti fra azienda e dipendente, dall’altro lato, invece, l’impotenza per le societa’ di gestione collettiva dei diritti d’autore di perseguire giudizialmente le innumerevoli violazioni del copyright. Dal primo punto di vista, non e’ improbabile prevedere svariate azioni disciplinari interne per limitare e arginare il fenomeno del “file-sharing da ufficio”. Cosi’ come e’ alquanto ipotizzabile un ricorso in massa a quelle strumentazioni tecniche volte a filtrare il contenuto dei materiali condivisi fra le reti aziendali e l’esterno. Nessuna norma lo impone, ma lo suggerirebbe l’esigenza stessa di non cadere in concorso con gli autori delle violazioni del copyright.
Dal secondo ambito, invece, si evidenzia la impossibilita’ tecnica di procedere giudizialmente nei confronti di tutti i pirati presenti in rete. Per questo, mettere in guardia le aziende (da cui con certezza si scambia diverso materiale illegale) sembra essere un buon punto di partenza.
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