Il rimedio migliore contro lo spamming?
Il 74% dei navigatori e’ favorevole a stilare una “no-spam listâ€, per impedire che la propria casella di posta venga inondata di messaggi spazzatura. E’ quanto risulta da un’indagine statistica tenutasi negli Stati Uniti e denominata â€2003 Consumer Spam Studyâ€, realizzata intervistando oltre 1000 utenti e diffusa mentre il Senato Usa sta dibattendo sulla controversa questione. L’iniziativa, infatti, non ha finora incontrato il consenso delle autorita’, secondo cui la creazione di una lista di indirizzi elettronici non e’ “un metodo utile di spendere soldi per rafforzare la lotta allo spam”.
La proposta della lista anti spam, nasce sulla falsariga della lista “do-not-callâ€, nata per arginare il crescente fenomeno del telemarket, i messaggi pubblicitari ingannevoli sui cellulari. In effetti la maggior parte degli intervistati, ritiene che le attuali misure anti-spam, filtri o blocco del mittente, non siano sufficienti. Il 37% dice di aver paura che il blocco del mittente non faccia altro che confermare agli spammer il proprio indirizzo e-mail.
Come appare evidente dall’indagine statistica sopra descritta anche il popolo americano e’ ormai stanco dei continui messaggi di posta elettronica indesiderati che in molti casi nascondono pubblicita’ ingannevoli.
Anche in Europa la questione e’ molto sentita e la Direttiva sul commercio elettronico 200/31/CEE di recente recepita dal nostro ordinamento ha affrontato anch’essa il tema della comunicazione commerciale non sollecitata: infatti l’art. 7 fornisce una soluzione regolamentare del c.d. spamming, l’invio cioe’ di posta elettronica non richiesta agli utenti titolari di caselle di posta elettronica.
La tutela del consumatore viene resa effettiva mediante prescrizioni analoghe a quelle presenti nell’articolo 10, paragrafo 2, della Direttiva 97/7/CE ed all’art. 12, paragrafo 2, della Direttiva 97/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sul trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni.
La norma si e’ resa necessaria a seguito del proliferare di iniziative spontanee di difesa da parte degli utenti della rete che hanno finito spesso per generare danni di rilievo a soggetti del tutto estranei alla attivita’ di spamming. In realta’, la tutela dell’utente telematico, in assenza di esplicite definizioni normative e’ stata realizzata indirettamente dalle misure di autotutela adottate dagli Internet Service Providers, che provvedono a sospendere l’invio alla casella di posta elettronica dei propri abbonati di tutti i messaggi provenienti da un operatore mediante il quale si esercita lo spamming.
La misura cautelare genera spesso un danno alla attivita’ dell’incolpevole fornitore di caselle di posta elettronica e dei suoi abbonati, i quali se intendono inviare un messaggio ad un soggetto che ha la propria casella di posta presso il provider che ha adottato la misura di ritorsione, si vedono opporre un netto rifiuto all’invio dell’ e-mail.
Gli stessi utenti telematici hanno creato sistemi di autotutela basati sul principio della ritorsione come l’esercizio della c.d. reazione flaming. Essa consiste nell’invio di numerosi annunci di protesta nelle caselle degli operatori colpevoli dell’invio di unsolicited-mail con il conseguente blocco del sistema del sollecitatore telematico.
Naturalmente queste soluzioni non sono state ritenute sufficienti dal legislatore comunitario che ha optato per una tutela diretta degli utenti telematici.
La proposta originaria di Direttiva disponeva un onere a carico del «sollecitatore telematico» in quanto disponeva che il destinatario potesse identificare immediatamente, con una dicitura particolare sulla «busta» della posta elettronica, la comunicazione commerciale non sollecitata, senza doverla aprire.
In sostanza, la comunicazione commerciale non sollecitata doveva potersi distinguere dalle altre comunicazioni che il destinatario riceveva al proprio domicilio informatico, con la facolta’ di poter cestinare il messaggio senza doverlo leggere. La presenza della accettazione espressa del messaggio non sollecitato non esime il mittente dall’indicare con precisione l’indirizzo a cui inviare eventuali doglianze.
La norma era espressione di un principio regolamentare, affermatosi nella tradizione giuridica anglosassone denominato opt-in consistente nel divieto di invio della informazione commerciale senza una accettazione preliminare da parte destinatario. Nonostante questa forma di tutela sembri idonea a preservare il consumatore garantendogli la piu’ ampia liberta’ di scelta in ordine al comportamento da adottare non e’ questa la soluzione adottata dal legislatore comunitario ne’, sia detto per inciso, da quello statunitense.
Fra i vari progetti normativi statunitensi in tema di comunicazione commerciale non sollecitata un solo provvedimento infatti adotta esplicitamente la regola della autorizzazione preliminare.
All’opposto vi e’ la tendenza a regolare il fenomeno della informazione commerciale non sollecitata, esigendo un comportamento attivo di rifiuto preliminare da parte del destinatario il quale ha l’onere di iscriversi in determinati registri c.d. orange-books per non ricevere la posta non sollecitata. Tale principio viene definito opt-out.
La Direttiva esprime questo secondo principio e stabilisce l’onere preliminare di inclusione delle persone fisiche all’interno di registri «negativi» che le societa’ di telemarketing sono obbligate a consultare, prima dell’invio della comunicazione commerciale non sollecitata.
Poiche’ pero’ non e’ stato specificato se tali registri siano generali, siano relativi solo alle persone fisiche ovvero possano contenere anche la distinzione fra le comunicazioni che il destinatario non intende ricevere, si viene a creare la paradossale situazione secondo la quale la mancata iscrizione dell’utente all’interno del registro equivale ad accettazione tacita della informazione sollecitata. E quindi il sistema prefigurato dalla Direttiva comunitaria, che lascia agli stati membri l’onere di stabilire con precisione le modalita’ attuative della norma in questione, finisce per favorire indirettamente i fautori delle c.d. vendite aggressive tramite la rete telematica.
In realta’, per quanto riguarda il nostro paese, il Decreto di attuazione della Direttiva n. 70/2003 nel disciplinare il fenomeno dello spamming all’art. 9 sembra essere piu’ aderente al principio dell’opt-in, accolto nella prima stesura della Direttiva.
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