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Europarlamento: Si ai brevetti software; Gli emendamenti ed il dibattito.

29 Settembre 2003 Commenta

L’Europarlamento ha dato il via libera alla relazione sulla direttiva per la brevettabilita’ delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici. L’obiettivo dichiarato e’ quello di garantire che i brevetti vengano concessi sulla stessa base in tutta l’Unione Europea.
Nella relazione alla direttiva, l’europarlamentare Arlen McCarthy, ha comunque chiesto una serie di modifiche per meglio circoscrivere le invenzioni sul software soggette a brevetto. Per il momento le invenzioni oggetto della nuova normativa riguardano dispositivi come i telefoni cellulari, gli elettrodomestici intelligenti, i dispositivi di comando dei motori, le macchine utensili. McCarthy ritiene che con la direttiva si evita che le piccole imprese di software debbano far fronte alla concessione inadeguata di brevetti nel caso di invenzioni “oscure o ovvie”.
Inoltre, la relatrice e’ convinta che la disciplina Ue e’ importante per garantire condizioni concorrenziali adeguate rispetto ai colossi dell’elettronica, Microsoft in testa.

Nonostante diversi interventi legislativi e giurisprudenziali che hanno contraddistinto non solo l’Italia ma anche tanti altri paesi dell’Unione Europea, mai e’ stato sopito il grande dibattito sulla effettiva natura giuridica del software e sulla sua tutelabilita’. La proposta di direttiva UE, che in effetti rivede (in parte) quanto gia’ stabilito in precedenti interventi comunitari, costituisce un’ampia conferma di quanto sopra sostenuto.
La dottrina dominate del nostro paese ha sempre affermato che il valore del software, anche dal punto di vista giuridico, non sta nel supporto su cui e’ registrato, ma nel suo contenuto creativo-ideativo; il pericolo che corre il suo autore non e’ tanto quello che gli sia sottratto quel supporto, ma che quel contenuto (nella maggior parte dei casi frutto d’anni di lavoro) sia plagiato da altri (BORRUSO).
La tutela giuridica del software, di conseguenza, non puo’ essere assicurata dalle norme civili e penali che difendono la proprieta’ o il possesso di beni materiali ma da altri specifici strumenti.
Se da un lato, i produttori di software hanno fatto e continuano a fare ricorso a difese di carattere tecnico e commerciale, quali l’uso di “trappole” difensive di carattere elettronico, sistemi di protezione fisica del programma e l’adozione di particolari politiche di distribuzione, dall’altro si e’ cercato di trovare nell’ambito del diritto quelle misure idonee a garantire le energie intellettuali investite nell’attivita’ di programmazione contro le altrui illecite appropriazioni (ALPA).

Tra gli strumenti giuridici utilizzabili a questo fine alcuni, quali le previsioni appositamente inserite nel contratto tra fornitore ed utente allo scopo di disciplinare l’utilizzazione del programma e gli obblighi di fedelta’ sanciti a carico del prestatore di lavoro dall’art. 2105 c.c., presentano lo svantaggio di apprestare una tutela puramente obbligatoria, limitata, in pratica, alla diretta controparte del rapporto contrattuale ed inoperante nei confronti di terzi estranei; analoghi limiti soggettivi circoscrivono sensibilmente l’operativita’ e l’efficacia dei rimedi rintracciabili nell’ambito della normativa dedicata al segreto industriale (art. 623 c.p.) ed alla concorrenza sleale.
Tale obiettivo condizionamento ha indotto i giuristi a privilegiare, nella ricerca di una soluzione adeguata, l’area dei diritti di privativa (i soli in grado di garantire una tutela erga omnes) previste per le creazioni intellettuali. La conseguenza di tale impostazione e’ stata che l’intero dibattito nazionale sulla protezione giuridica del software ha oscillato, fin dalle sue prime battute, fra due poli: quello della disciplina dei brevetti da un lato, e del diritto d’autore dall’altro, quali classiche forme di tutela della proprieta’ intellettuale.
In ambito internazionale, il paese che per primo ha risolto la questione della tutela dei programmi per elaboratore sono stati gli U.S.A. che con il  “Computer Software Copyright Act” del 12 dicembre 1980, prevedendo la registrabilita’ dei programmi, hanno considerato gli stessi opere d’ingegno e non invenzioni, in quanto privi dei requisiti necessari di novita’ ed originalita’.
Piu’ in particolare negli USA, secondo un indirizzo dottrinale al quale fu dato il nome di “copyright approach”, si ritenne che i programmi per elaboratore potessero essere qualificati come “literary works” e, quindi, protetti con le stesse norme in tema di copyright.
In seguito numerosi paesi (Germania, Francia, Regno Unito) hanno seguito la stessa via segnata dagli USA emanando delle leggi a tutela dei programmi per elaboratore.

In Italia, in particolare, prima del d.lgs. n. 518/92 (che ha modificato la legge n. 633/41) con il quale in aderenza all’indirizzo comunitario e’ stata privilegiata la soluzione del diritto d’autore, il problema della tutela del software era stato affrontato esclusivamente sotto il profilo giurisprudenziale.
In sostanza, la lacuna della legge era colmata, anche se in maniera non pacifica, ricorrendo analogicamente alla disciplina per la tutela del diritto d’autore; in un primo momento, infatti, la questione era stata esaminata e risolta in modo contrastante con riferimento al fenomeno dei videogames.

La prima decisione sul tema e’ stata quella della Pretura di Torino, che, con ordinanza 25 maggio 1982, aveva seguito la strada della concorrenza sleale, escludendo che si vertesse in materia coperta dalla normativa a tutela del diritto d’autore, negata a creazioni prive di pregio artistico.
Nel caso in questione la ditta Atari aveva citato in giudizio una societa’ concorrente (la Sidam) contestandole di aver copiato, in epoche diverse, tre videogiochi di produzione Atari di grande successo, denominati “Asteroids”, “Missile Command” e “Centipede”, commercializzandoli in Italia e all’estero a prezzi sensibilmente inferiori a quelli praticati dalla Atari stessa.
Il Pretore, preoccupandosi soltanto di ricercare nei personaggi e nella trama del gioco l’aspetto della creativita’ e della fantasia, aveva impostato il problema in termini di valore artistico e dopo aver definito i videogiochi “aggeggi creati per sollevare dalla noia gente sfaccendata”, aveva concluso: “La pedissequa riproduzione dei videogiochi prodotti da un concorrente non integra gli estremi di una violazione del diritto d’autore, non essendo i giochi in questione suscettibili di tutela sotto questo profilo, ma puo’ qualificarsi come concorrenza sleale per imitazione servile allorquando le immagini messe in scena dai giochi medesimi siano cosi’ simili da poter essere confuse da un comune utente, tenuto conto del grado medio di attenzione del pubblico… Il fatto che la riproduzione di un programma altrui faccia risparmiare al produttore cospicue somme di progettazione e di ricerca, quali vengono assorbite dalla sempre piu’ raffinata tecnica… fa si’ che tale fattispecie rientri nella previsione di cui al n.3 dell’art. 1598 c.c.”. Il Pretore aveva accolto, percio’, l’ipotesi della concorrenza parassitaria, in quanto il convenuto sfruttava con sistematicita’ le cospicue spese di progettazione e ricerca del concorrente (TRASSARI).

Il problema pero’ avrebbe trovato definizione compiuta in una successiva sentenza del Tribunale di Torino, 15 luglio/17 ottobre 1983, che, decidendo in sede di appello, ripudiava la tesi seguita dal Pretore di quella citta’ e qualificava i videogiochi come un tipo particolare di opera cinematografica.
La sentenza, dopo un’attenta analisi della fattispecie (con una chiara ed esauriente descrizione dell’hardware e del software dei videogiochi ed un analitico procedimento di confronto fra gli originali e le copie) e dopo aver accennato alle diverse tesi prospettate in dottrina, affrontava il problema specifico ed affermava: “Il videogioco (o videogame), consistente in un programma elettronico (software) memorizzato in un piccolo elaboratore idoneo a visualizzare su schermo luminoso una trama di gioco mediante originali personaggi animati, costituisce un’opera dell’ingegno di carattere creativo assimilabile all’opera cinematografica….

L’opera cinematografica, disciplinata dalle norme sul diritto d’autore, e’ un genus al quale appartengono, non solo i films, ma anche altre forme di rappresentazione, qualunque ne sia la tecnica di realizzazione e la forma di espressione.
Oggetto della tutela prevista dalle norme sul diritto d’autore non e’ solo l’opera d’arte, bensi’ l’opera dell’intelletto o della mente (opera dell’ingegno), che abbia il requisito oggettivo della novita’, originalita’ e non banalita’ (carattere creativo)”.
Analizzando il videogioco il Collegio osservava che esso e’ composto da una duplice serie di immagini in movimento, la prima delle quali – al pari di ogni film – si presenta a trama fissa (situazione che si verifica quando l’utente non ha ancora iniziato a giocare), mentre la seconda e’ a contenuto variabile, in relazione all’abilita’ e alla fortuna del giocatore; il videogame si configurerebbe pertanto come una sorta di “film aperto”. Evidentemente il videogioco rappresenta la forma piu’ semplice di arte cinematografica, poiche’ costruito su poche immagini, che si ripetono in continuazione; esso pero’, al pari di un film, ha una trama e dei personaggi precisi, che lo differenziano dagli altri prodotti (TRASSARI).

Tra i principali interventi dei giudici di merito (chiamati spesso ad affrontare la problematica in questione) sulla tutelabilita’ del software propriamente detto, bisogna menzionare quello del Pretore di Pisa, ordinanza 11 aprile 1984; in questo caso il giudice civile tracciava la pista nuova della tutelabilita’ del software, come opera appartenente alle scienze, precisando che l’opera dell’ingegno necessita del requisito della creativita’ in misura modesta.
Il principio veniva affermato in un campo ancora nuovo: nella fattispecie la Unicomp s.r.l., titolare di un pacchetto di programmi applicativi consistenti in una serie di procedure per la soluzione di problemi di fatturazione, di magazzino e di contabilita’ generale, per piccole e medie aziende, lamentava l’illecita approvazione ed utilizzazione da parte della General Informatics, una societa’ concorrente, dei propri programmi e dei relativi manuali d’uso.

Si noti, pero’, che i giudici di merito, limitavano l’applicazione analogica delle norme a tutela del diritto d’autore esclusivamente al profilo civilistico, era cioe’ esclusa la applicabilita’ delle sanzioni penali di cui all’art. 171 legge 633/1941, stante il divieto del ricorso all’analogia in materia penale.

La Pretura di Bologna, con sent. 24 aprile 1986 per il “software detto residente o di base” negava il carattere di opera dell’ingegno precisando: “il dibattito teorico sino ad oggi sviluppatosi sulla proteggibilita’ del software e sul tipo di tutela da adottare ha avuto riguardo, prevalentemente al software “applicativo” e non a quello “residente”. Nel caso di specie, nelle memorie di tipo ROM… risiedono stabilmente i programmi che presiedono al funzionamento stesso della macchina, costituendone di fatto parte integrante…ne costituiscono il linguaggio interno.
Tali programmi non possono usufruire della tutela penale invocata (ai sensi dell’art. 171 l. 22 aprile 1941). E cio’ per una serie di ragioni ricavabili dall’interpretazione sistematica e letterale della norma in esame. Quando il legislatore, infatti, ha voluto fissare una disciplina per il programma  di elaboratore l’ha ricompreso tra le opere astrattamente brevettabili, sia pure per escluderlo “in quanto tale” (v. art. 12 r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, modificato dall’art. 7 d.p.r. 22 giugno 1979 n. 338), ma consentendone la brevettabilita’ se inserito in una “invenzione di combinazione”… Tanto piu’ appare convincente questa soluzione legislativa per il caso concreto visto che i programmi considerati addirittura ineriscono alla macchina e partecipano ad una ”combinazione” astrattamente tutelabile dalla legge 1127/39 e quindi anche dall’art. 88 ivi previsto” (TRASSARI).

La Pretura di Roma, ord. 4 luglio 1988 affermava che la tutela ex legge 633/1941 dei programmi per elaboratore quali opere dell’ingegno appartenenti lato sensu alle scienze “pur se non del tutto appagante – in considerazione soprattutto del fatto che, nei programmi in questione, quel che rileva, piu’ che la forma esterna, e’ il contenuto ed inoltre il linguaggio utilizzato dal programma non e’ rivolto all’uomo bensi’ alla macchina – merita di essere perseguita in attesa di un auspicabile intervento del legislatore.
E la Pretura di Torino 10 febbraio 1993 riteneva che “chiarita la natura dei programmi e’ facile individuare e distinguere in essi il contenuto dall’espressione formale dell’opera. Il primo non e’ tutelabile attraverso le norme sul diritto d’autore ma eventualmente brevettabile in presenza delle condizioni richieste dalla legge e qualora faccia parte di un’invenzione di combinazione…. L’espressione formale dell’opera, scindibile nella forma esterna ed interna, quest’ultima riguardante l’organizzazione, lo svolgimento, lo stile dati dall’autore alla materia, nel caso di specie e’ rappresentata dal programma sorgente, piu’ che sotto il profilo del linguaggio macchina utilizzato (es. Pascal, Basic, Quik Basic, Occam ecc.) o sotto il profilo dell’analisi del problema e costituisce l’oggetto della tutela”.

A parte le voci discordi, si era comunque consolidata nella giurisprudenza l’orientamento favorevole a ritenere applicabile al software la tutela sul diritto d’autore.
In tal senso, invero, in una delle rare pronunce del giudice di legittimita’ si era gia’ espressa con la sentenza del 24 novembre 1986 la III Sezione penale della Cassazione, che confermando la soluzione adottata da una parte della giurisprudenza di merito, sosteneva: “Il cosiddetto software, sia di base che applicativo, e’ oggetto del diritto d’autore, protetto civilmente e penalmente dalle norme della relativa legge (22 aprile 1941, n. 633); ne’ puo’ essere altrimenti – vale a dire tutelabile con i rimedi previsti dal codice civile in favore delle invenzioni industriali e contro l’imitazione servile dei prodotti, come e’ stato pur sostenuto – per esplicita esclusione legislativa, giacche’ il d.p.r. 22 giugno 1979 n. 338 ha stabilito la non brevettabilita’ dei programmi per ordinatori ed elaboratori” .

Resta adesso da vedere cosa succedera’ a seguito di questa proposta di direttiva eurpea che rischia non solo di sconvolgere le legislazioni di molti paesi, quali il nostro, ma anche di sollevare le associazioni dei consumatori, le piccole imprese di software e la stessa comunita’ dell’open-source.
La brevettabilita’, infatti, rendera’ segreti i fondamenti che consentono di costruire i programmi elettronici.
In pratica, un programmatore dovra’  assicurarsi che il codice utilizzato non violi nemmeno una delle decine di migliaia di brevetti software esistenti. Pena il via libera di un numero elevatissimo di denunce. Per questo, in molti ritengono che la direttiva e’ un ostacolo alla libera circolazione della conoscenza e un favore alle multinazionali americane del software.

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