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Evoluzione tecnologica e regole di responsabilita’ civile

11 Dicembre 2003 Commenta

Brevi considerazioni a margine del recente libro di Francesco Di Ciommo su “Evoluzione tecnologica e regole di responsabilita’ civile”. di Giuseppe Cassano e Iacopo Pietro Cimino.


Negli ultimi due secoli le scoperte scientifiche ed i progressi tecnici hanno determinato, piu’ di quanto non fosse mai accaduto in precedenza, profondi mutamenti sociali di sicuro impatto sul piano giuridico. In proposito, basta pensare alle complesse questioni inerenti all’applicazione delle biotecnologie, nonche’ alle tante problematiche concernenti la tutela del diritto d’autore nell’era digitale, la gestione delle infrastrutture tecniche e industriali che supportano nuovi servizi e nuovi prodotti, la tutela della concorrenza nei mercati globali, la responsabilita’ per i danni cagionati dall’impresa innovatrice o il difficile rapporto tra incentivi all’innovazione tecnologica e libero accesso all’innovazione stessa.
In un contesto culturale, quale e’ quello che si e’ venuto determinando nei Paesi progrediti soprattutto negli ultimi decenni, in cui i fattori economici e tecnologici tendono a prevalere sulle tradizionali dimensioni umanistiche, il “principio di responsabilita’” e’ chiamato a svolgere un ruolo centrale per la sopravvivenza stessa del diritto ed il perseguimento di un sempre piu’ ampio benessere collettivo. E cio’ in quanto, in un ambiente normativo in cui manchino regole in grado di individuare con certezza il soggetto responsabile e i danni risarcibili, i consumatori aumentano la loro propensione al risparmio, gli imprenditori non investono e non innovano, il valore dell’impresa non riceve la remunerazione che merita e, in definitiva, il mercato si piega su se stesso e, da luogo di scambio produttivo di valore aggiunto, diventa arena in cui “chi puo’, difende cio’ che ha”.
L’affermazione attuale del principio di responsabilita’, tanto dal punto di vista antropologico, quanto, a maggior ragione, nell’ottica giuridica, non puo’, tuttavia affidarsi ai modelli tradizionali di stampo naturalistico, religioso o illumistico, e deve, al contrario, passare per una rimodulazione delle concezioni filosofiche e giuridiche che, pure efficienti in contesti storici diversi, oggi palesano la loro inadeguatezza a governare le problematiche suscitate dalle nuove tecnologie, in particolare di quelle operanti nel campo dell’informazione e della comunicazione, ovvero nell’ambito sanitario e della sicurezza. Per tali ragioni, dalla meta’ del 1800 in avanti, i presupposti, le funzioni e i criteri di imputazione della responsabilita’ civile sono stati sottoposti a vaglio critico, sia in Europa che negli Stati Uniti. In particolare, sul versante dei criteri di imputazione della responsabilita’ si registrano oggi le novita’ che piu’ direttamente dipendono dal progresso tecnologico, cosi’ come dimostrano le recenti normative, europee e nordamericane, che, segnando una sensibile frattura rispetto ai principi operanti in materia di product liability, disciplinano la responsabilita’ di utenti ed operatori per illeciti commessi mediante reti telematiche.

Il recente testo di Di Ciommo – Evoluzione tecnologica e regole di responsabilita’ civile, Esi, Napoli, 2003 – dopo aver ampiamente affrontato i temi ora evocati, nella sua seconda parte si propone di vagliare, nell’ottica della law & economics e comparando le soluzioni tecniche e giuridiche adottate nei principali paesi di civil law e common law, l’efficienza economica dei diversi modelli di responsabilita’ civile, per danno cagionato dall’impresa che fornisce i c.d. «servizi della societa’ dell’informazione», proposti a livello normativo, dottrinale o giurisprudenziale, suggerendo in chiusura, relativamente al problema del danno cagionato da utenti di reti telematiche, un modello di imputazione della responsabilita’ che appare efficiente nell’ottica della migliore allocazione possibile dei costi sociali da innovazione.
Il libro muove dalla considerazione del ruolo che le regole in materia di responsabilita’ civile giocano nel diritto delle obbligazioni. Dalla “creazione del danno”, da parte del danneggiante o agente, sorge una obbligazione, l’obbligazione di risarcimento del danno risentito dal danneggiato o vittima: essa determina un vincolo derivante dalla legge (artt. 1173, 2043 c.c.).
Il danno a sua volta e’ visto come espressione materiale, fisica, visibile di un comportamento dannoso: e’ uno degli aspetti di una fattispecie che la scienza giuridica, intesa a ricondurre a volonta’ dell’uomo o comunque ad un comportamento umano ogni conseguenza giuridica, denomina complessivamente atto illecito.
L’illecito, in senso giuridico, e’ appunto l’atto che provoca danni a terzi, e che crea una obbligazione di risarcimento.
I confini tra la responsabilita’ contrattuale e la responsabilita’ extracontrattuale non sono netti, ed anzi tendono progressivamente a diventare sempre meno nitidi. Vi sono casi nei quali si ha la responsabilita’ extracontrattuale per vicende aventi origine da un contratto: ad es., la induzione all’inadempimento, la rottura delle trattative, la conclusione di un contratto nullo, la conclusione di un contratto in danno al terzo e cosi’ via.
In un’epoca nella quale si assiste, nell’ambito di ogni ordinamento, al passaggio da forme di responsabilita’ con colpa a forme di «responsabilita’ oggettiva», anche il profilo della deterrence, tende a scomparire, o, quanto meno, ad assumere significati assai diversi da quelli originari.
Tale aspetto e’ il vero elemento portante di tutta la riflessione di Di Ciommo sul sistema della responsabilita’ civile.
Al riguardo l’autore opportunamente precisa che l’obbligo di risarcire il danno, che dovrebbe indurre l’agente ad adottare tutte le misure idonee a prevenire pregiudizi ai terzi e a distoglierlo dall’intraprendere attivita’ pericolose o eccessivamente rischiose puo’ divenire un forte strumento di deterrence solo se subordinato all’accertamento di una «colpa» dell’agente.

Una riformulazione degli scopi che alle regole di responsabilita’ civile si assegnano negli ordinamenti attuali non puo’ percio’ prescindere dall’approccio svalutativo che si e’ delineato in materia di «sanzione» del comportamento illecito, sia in materia di «affermazione della potesta’ statuale» connessa con la violazione di norme di legge, sia, infine, in materia di prevenzione del danno.  Nella societa’ post-moderna, il fine fondamentale delle regole di responsabilita’ diviene pertanto e’ quello risarcitorio.
L’elasticita’ del sistema e’ anzi raggiunta non solo mediante l’applicazione della clausola generale di responsabilita’, ma anche mediante la costruzione di principi generali.
La giurisprudenza pone in evidenza, in primis, il principio di autoresponsabilita’, che in altri ordinamenti si esprime in termini di «assunzione del rischio».
Autoresponsabilita’ significa dunque assunzione delle conseguenze dei propri atti o comportamenti verso i terzi, ma anche verso se stessi (conseguenze dannose arrecate al proprio patrimonio, perdita di un diritto, di un’azione, di una facolta’).
L’analisi degli impieghi del principio neminem laedere apre pertanto uno scenario affascinante.
Responsabilita’ oggettiva non significa, poi, responsabilita’ “assoluta” o, addirittura, “garanzia”; l’ambito della responsabilita’ era sino ad oggi per lo piu’ circoscritto dalle nozioni di “prodotto” e di “difetto” e dall’onere probatorio accollato al danneggiato.
E’ probabilmente significativo che – a differenza di quanto e’ accaduto in altri Paesi dell’Unione europea – la giurisprudenza in materia di responsabilita’ del fabbricante nel primo decennio di applicazione del d.p.r. n.224 del 1988 non e’ stata copiosa, anzi, le pronunce si contano in numero davvero esiguo. 
In questo contesto di aperture e sviluppi, Di Ciommo viene dunque a trattare il danno da informazione e il danno da prestazione di servizi nelle reti di comunicazione e informazione.
Quello dell’informazione, pur delineatosi in termini moderni solo di recente, costituisce, a tutt’oggi, problema di grande attualita’.
L’informazione talvolta (come in Francia) e’ costruita come un bene giuridico a se’ stante, quasi si trattasse di una porzione incorporea del reale, sulla quale si possono compiere tutte le operazioni consentite alle “cose”.
L’informazione e’, poi, attualmente connessa all’uso di tecnologie informatiche, si’ che oggi essa diventa oggetto di uno dei settori piu’ delicati, ove le questioni di responsabilita’ si moltiplicano in modo davvero impressionante.
In materia di informatica, accanto a pregevoli contributi dottrinali (sempre di Di Ciommo, si veda la voce Internet (responsabilita’ civile) per l’Enciclopedia giuridica Treccani), non si registrano al momento significative pronunce argomentate sull’art. 2043 c.c.; mentre ve ne sono alcune sull’art. 2598, n. 1 e n. 3, per cio’ che concerne la protezione del software.

Come gia’ abbiamo avuto occasione di sottolineare in altra sede, (Il nuovo regime di responsabilita’ dei providers: verso la creazione di un novello «censore telematico» ? – Un primo commento agli art. 14-17 del Dlgs. n. 70/2003 di prossima uscita su Giurisprudenza Italiana) prima dell’entrata in vigore del Dlgs. n. 70/2003 (attuativo della Direttiva EU n. 31/2000) la responsabilita’ del provider nei riguardi dei terzi, poteva essere esclusivamente ravvisata nelle comuni ipotesi di violazione delle norme di prudenza, diligenza e perizia, di cui all’art. 2043 c.c., individuate in base al parametro dell’agente modello.
Sulla scorta dei principi vigenti in materia di concorso nel «fatto illecito altrui», il provider poteva, pertanto, essere ritenuto responsabile degli atti compiuti dal proprio cliente, solo qualora, con la propria condotta dolosa o colposa, avesse offerto un «apporto causale» al realizzarsi del danno.
A modificare il quadro ha tuttavia provveduto il recente Dlgs. n. 70/2003.
Da una parte, dunque, il Legislatore ha imposto al provider l’obbligo giuridico di attivarsi al fine di impedire il perpetrarsi di violazioni commesse on line dai propri clienti mediante la porzione di server loro concessa. D’altra, pero’ la stesso Legislatore ha imposto al provider anche di valutare attentamente l’attendibilita’ delle notifications che perverranno, se non vorra’ rendersi contrattualmente inadempiente nei riguardi del proprio cliente per l’ipotesi in cui il contenuto rimosso dalla Rete si riveli affatto illecito o illegittimamente utilizzato.
Di tale responsabilita’ potra’ legittimamente predicarsi la sussistenza, diversamente da quanto previsto, in via generale, dall’art. 2043 c.c., solo sotto forma di colpa specifica, non essendo, all’uopo, sufficiente una colpa soltanto generica, attesa comunque la previsione di una eventuale praesumptio iuris tantum della sua esistenza.
Tuttavia, una volta codificata la regola di diligenza nel Dlgs. n. 70/2003 (ma trattandosi di responsabilita’ omissiva sarebbe piu’ opportuno dire di negligenza), ai fini della verifica di responsabilita’, sara’ sufficiente dimostrare la sua mera inosservanza.
In altre parole non occorrera’ ulteriormente indagare sull’esistenza o meno in capo al danneggiante dell’elemento soggettivo costituito dal dolo o dalla colpa.
Al riguardo – invitati in questo da Di Ciommo – viene da ripensare a quell’insegnamento che reputa il sistema della responsabilita’ civile come un complesso di regole destinate all’amministrazione del danno, e quindi alla ripartizione dei profitti e dei decrementi nell’ambito di un aggregato sociale, con funzione anche sanzionatoria di comportamenti non desiderabili.

Siamo gioco-forza indotti a riconsiderare il problema della giustizia correttiva, associandolo a quello della giustizia distributiva. La prima funzionale alla massimizzazione della ricchezza, mentre la giustizia distributiva tendente alla fondazione di uno “Stato equo”.
Ma sulla controversia dei criteri di imputazione del danno non e’ ormai piu’ il caso di spendere molte parole: questo tema e’ divenuto, infatti, uno dei capisaldi di ogni illustrazione del settore, in ogni opera recente.
Ci si e’ chiesti in che cosa consista allora la “moralita’” della responsabilita’ civile.
Ci si e’ chiesti anche (con Calabresi) se la realizzazione della ricchezza massima possa essere la migliore guida per la creazione delle regole di responsabilita’ civile.
La discussione accesa sembra aver modificato notevolmente, non solo i risultati cui era pervenuta la dottrina negli ultimi anni, ma soprattutto il metodo di studio e la prospettiva nella quale devesi collocare la problematica giuridica di questo settore.
E tuttavia l’esame approfondito di tutte queste posizioni ci porterebbe troppo oltre, apparendo senz’altro ultroneo rispetto alle finalita’ di questo breve saggio.
Al riguardo appare, pertanto, piu’ opportuno rinviare l’interprete alla lettura delle inquiete ed acute considerazioni che animano ed ispirano il libro di Di Ciommo, da cui sono instillate le nostre riflessioni.

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