La direttiva Europea per la brevettabilita’ del software e’ complessa e delicata e sull’argomento si sono avute opinioni difformi, come testimoniato dalla complessita’ dell’iter della discussione in corso di svolgimento presso l’Unione Europea. Lo ha sottolineato il Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie Lucio Stanca in un intervento nel corso della seduta del 14 gennaio scorso presso la Camera dei Deputati.
Difatti allo stato attuale il Commissario europeo competente ha ritenuto accettabili da parte della Commissione solo 22 dei 64 emendamenti parlamentari ed e’ necessaria una trattativa tra il Consiglio ed il Parlamento; poiche’ per la sua complessita’, la trattativa non potra’ chiudersi prima dello scioglimento dell’attuale Assemblea nel prossimo giugno, essa dovra’ essere condotta con il nuovo Parlamento; il problema e’ quindi rinviato, per la soluzione finale, per un congruo lasso di tempo.
Il Ministro, nel suo intervento, ha sottolineato che la proposta di direttiva, nella relazione introduttiva, si pone l’obiettivo di armonizzare la legislazione esistente in materia “evitando mutamenti repentini della posizione giuridica e in particolare un’estensione della brevettabilita’ ai programmi per elaboratori in quanto tali”.
L’intervento del Ministro Stanca su una direttiva che sta facendo discutere molto ha avuto l’obiettivo di fare il punto della situazione sui lavori della Commissione europea e nello stesso tempo introdurre un argomento cosi’ delicato come la brevettabilita’ del software anche in Italia.
In effetti nonostante diversi interventi legislativi e giurisprudenziali che hanno contraddistinto non solo l’Italia ma anche tanti altri paesi dell’Unione Europea, mai e’ stato sopito il grande dibattito sulla effettiva natura giuridica del software e sulla sua tutelabilita’. La proposta di direttiva UE, che in effetti rivede (in parte) quanto gia’ stabilito in precedenti interventi comunitari, costituisce un’ampia conferma di quanto sopra sostenuto.
La dottrina dominante del nostro paese ha sempre affermato che il valore del software, anche dal punto di vista giuridico, non sta nel supporto su cui e’ registrato, ma nel suo contenuto creativo-ideativo; il pericolo che corre il suo autore non e’ tanto quello che gli sia sottratto quel supporto, ma che quel contenuto (nella maggior parte dei casi frutto d’anni di lavoro) sia plagiato da altri (BORRUSO).
La tutela giuridica del software, di conseguenza, non puo’ essere assicurata dalle norme civili e penali che difendono la proprieta’ o il possesso di beni materiali ma da altri specifici strumenti.
Se da un lato, i produttori di software hanno fatto e continuano a fare ricorso a difese di carattere tecnico e commerciale, quali l’uso di “trappole†difensive di carattere elettronico, sistemi di protezione fisica del programma e l’adozione di particolari politiche di distribuzione, dall’altro si e’ cercato di trovare nell’ambito del diritto quelle misure idonee a garantire le energie intellettuali investite nell’attivita’ di programmazione contro le altrui illecite appropriazioni (ALPA).
Tra gli strumenti giuridici utilizzabili a questo fine alcuni, quali le previsioni appositamente inserite nel contratto tra fornitore ed utente allo scopo di disciplinare l’utilizzazione del programma e gli obblighi di fedelta’ sanciti a carico del prestatore di lavoro dall’art. 2105 c.c., presentano lo svantaggio di apprestare una tutela puramente obbligatoria, limitata, in pratica, alla diretta controparte del rapporto contrattuale ed inoperante nei confronti di terzi estranei; analoghi limiti soggettivi circoscrivono sensibilmente l’operativita’ e l’efficacia dei rimedi rintracciabili nell’ambito della normativa dedicata al segreto industriale (art. 623 c.p.) ed alla concorrenza sleale. Tale obiettivo condizionamento ha indotto i giuristi a privilegiare, nella ricerca di una soluzione adeguata, l’area dei diritti di privativa (i soli in grado di garantire una tutela erga omnes) previste per le creazioni intellettuali.
La conseguenza di tale impostazione e’ stata che l’intero dibattito nazionale sulla protezione giuridica del software ha oscillato, fin dalle sue prime battute, fra due poli: quello della disciplina dei brevetti da un lato, e del diritto d’autore dall’altro, quali classiche forme di tutela della proprieta’ intellettuale.
In ambito internazionale, il paese che per primo ha risolto la questione della tutela dei programmi per elaboratore sono stati gli U.S.A. che con il “Computer Software Copyright Act†del 12 dicembre 1980, prevedendo la registrabilita’ dei programmi, hanno considerato gli stessi opere d’ingegno e non invenzioni, in quanto privi dei requisiti necessari di novita’ ed originalita’.
Piu’ in particolare negli USA, secondo un indirizzo dottrinale al quale fu dato il nome di “copyright approachâ€, si ritenne che i programmi per elaboratore potessero essere qualificati come “literary works†e, quindi, protetti con le stesse norme in tema di copyright.
In seguito numerosi paesi (Germania, Francia, Regno Unito) hanno seguito la stessa via segnata dagli USA emanando delle leggi a tutela dei programmi per elaboratore.
In Italia, in particolare, prima del d.lgs. n. 518/92 (che ha modificato la legge n. 633/41) con il quale in aderenza all’indirizzo comunitario e’ stata privilegiata la soluzione del diritto d’autore, il problema della tutela del software era stato affrontato esclusivamente sotto il profilo giurisprudenziale.
In sostanza, la lacuna della legge era colmata, anche se in maniera non pacifica, ricorrendo analogicamente alla disciplina per la tutela del diritto d’autore; in un primo momento, infatti, la questione era stata esaminata e risolta in modo contrastante con riferimento al fenomeno dei videogames. Successivamente si era consolidata nella giurisprudenza l’orientamento favorevole a ritenere applicabile al software la tutela sul diritto d’autore.
In tal senso, invero, in una delle rare pronunce del giudice di legittimita’ si era gia’ espressa con la sentenza del 24 novembre 1986 la III Sezione penale della Cassazione, che confermando la soluzione adottata da una parte della giurisprudenza di merito, sosteneva: “Il cosiddetto software, sia di base che applicativo, e’ oggetto del diritto d’autore, protetto civilmente e penalmente dalle norme della relativa legge (22 aprile 1941, n. 633); ne’ puo’ essere altrimenti – vale a dire tutelabile con i rimedi previsti dal codice civile in favore delle invenzioni industriali e contro l’imitazione servile dei prodotti, come e’ stato pur sostenuto – per esplicita esclusione legislativa, giacche’ il d.p.r. 22 giugno 1979 n. 338 ha stabilito la non brevettabilita’ dei programmi per ordinatori ed elaboratoriâ€.
Ma il Ministro Stanca nel suo intervento ha voluto sottolineare in particolare che il vero problema della direttiva europea non e’ giuridico ma e’ rappresentato dalla delicata valutazione dell’impatto che una direttiva di questo tipo puo’ avere sul processo di innovazione tecnologica e, in ultima analisi, sull’intero sistema produttivo.
In linea di estrema semplificazione si e’ affermato da parte di alcuni che la proposta e’ fortemente voluta dalle grandi case produttrici di programmi per elaboratore, che possono sostenere gli ingenti costi necessari a ottenere la protezione brevettuale, mentre e’ avversata dagli ambienti accademici, che affermano che la brevettabilita’ “delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici”, oltre ad essere contraria al principio della “non brevettabilita’ delle idee in quanto tali”, costituirebbe un freno per il progresso e l’evoluzione della tecnologia.
In realta’, sostiene il Ministro, questa schematizzazione critica e’ troppo semplicistica: e’ infatti riduttivo pensare che sul problema della brevettabilita’ del software esista una “semplice” contrapposizione fra le grandi case produttrici di software e gli ambienti accademici. Si tratta, invece, di compiere una valutazione complessiva che tenga adeguatamente conto sia di come tutelare gli investimenti fatti sia di come evitare una eccessiva rigidita’ del mercato e del processo innovativo.
E’ necessario, inoltre, che la direttiva in questione non freni il processo di utilizzo di open source in cui tutti concorrono all’evoluzione dei programmi proprio in virtu’ della possibilita’ di impiegare parti di software sviluppate da altri.
Al fine, quindi, di valutare l’impatto di una disciplina in materia di brevettabilita’ del software nell’ambito del sistema Italia, dove preponderante e’ il tessuto economico delle piccole e medie imprese, il Ministro ha proposto l’apertura di un tavolo di lavoro composto da rappresentanti autorevoli del mondo del lavoro, giuridico, economico, informatico.
Questo gruppo di persone deve produrre entro pochi mesi una fotografia tecnica, economica e giuridica della situazione italiana sul problema della brevettabilita’ del software e una proposta concreta da porre all’attenzione dell’Unione europea.
Diciamo pure che l’intervento del Ministro Stanca dopo un’analisi piuttosto approfondita ed obiettiva dell’intera problematica termina con una proposta scontata, in linea con simili iniziative (vedasi open source, banda larga con la creazione di determinate commissioni).
Questo tipo di soluzione consistente nell’affidamento dell’analisi di una specifica problematica ad un gruppo di persone competenti presenta pero’ un inconveniente rappresentato dall’effettiva composizione del gruppo di lavoro che deve riunire esponenti di tutti gli ambienti socio-economici coinvolti oltre che i tecnici specializzati. In caso contrario avremmo ovviamente solo valutazioni di parte.
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