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Contro lo spam non servono leggi. Meglio l’autogestione

4 Febbraio 2004 Commenta

Se qualcuno avesse chiesto dieci anni fa a un utente americano di Internet che cosa fosse lo “spam”, questi avrebbe iniziato a descrivere la carne di maiale venduta in scatola. Oggi la parola e’ talmente in uso da essere pienamente identificabile nella posta commerciale indesiderata.
La sua continua ed esponenziale diffusione ha fatto paura non solo all’economia internettiana, ma anche ai Legislatori di diversi paesi al mondo che sono corsi al riparo con svariate normative ad hoc. Ma oggi e’ gia’ possibile parlare del fallimento anche delle leggi anti-spam. L’unica soluzione sembrerebbe essere l’autogestione.

Infatti, le sanzioni amministrative e penali che sono state disposte dalle legislazioni di mezzo mondo non hanno sortito alcun effetto positivo. Ultimo in ordine di tempo e’ il CAN-SPAM Act americano entrato in vigore nel 2004, ma che non ha intimorito nessuno spammer. Oggi il fenomeno e’ talmente in crescita che le previsioni e gli studi sul suo sviluppo e sull’influenza che esso sta avendo sull’intero mercato della rete si aggiornano quotidianamente. E’ di questi giorni la notizia di una ricerca (condotta da un’organizzazione di consumatori, Trans-Atlantic Consumer Dialogue – TACD), la quale dimostra che il 52 per cento dei navigatori intervistati sta acquistando meno (o per nulla) su Internet, proprio a causa delle preoccupazioni e del disturbo arrecato dallo spamming.
Ci si rende conto solo ora che l’unica vera soluzione allo spamming e’ quella di autogestire lo scambio delle e-mail. Non vi e’ un unico e determinato modello di autogestione, ma ve ne sono tanti quanti l’ingegno umano (e l’aiuto tecnologico) possa ideare. L’autogestione consiste fondamentalmente nel riunire attorno a un tavolo tutti coloro che vogliono uno scambio sicuro di posta e trovare una tecnica sicura per raggiungere lo scopo.
Un modello di cui si e’ discusso in passato e’ quello di nominare un soggetto che si accolli la responsabilita’ di inoltrare correttamente un messaggio di posta al destinatario. Il corrispettivo di questo servizio consiste nel far pagare una commissione modestissima al mittente della mail. Questo tipo di organizzazione ha fatto sorridere tutti gli quegli utenti di Internet che si riconoscono in un modello di assoluta liberta’ e anarchia per tutto cio’ che riguarda la rete.
Oggi, invece, si comincia a parlarne di nuovo. E a discuterne sono due delle piu’ grandi realta’ tecnologiche dei nostri tempi: Microsoft e Yahoo!. Nessuno dei due big appena citati afferma di aver mai pagato per mandare e-mail, ma entrambi si dimostrano molto entusiasti nell’adottare un sistema del genere, al fine di evitare lo spamming. Una societa’ della Silicon Valley propone recentemente un sistema di affrancatura e spedizione elettronica sicura della posta.

La Goodmail System Inc. – questo e’ il nome della societa’ – sta studiando un sistema per certificare e assicurare l’invio e la ricezione di posta elettronica in maniera del tutto sicura. Un soggetto che invia numerose e-mail puo’ stipulare un accordo con Goodmail, che fornira’ pacchetti di francobolli elettronici (stringhe di testo criptate) da inserire nello “header” di ogni messaggio. Successivamente il messaggio transitera’ da quegli ISP che aderiscono al servizio (e che ricevono il pagamento di una modestissima commissione, un penny, detratta una altrettanto piccola percentuale che andra’ a Goodmail). Quei mail server processeranno la e-mail direttamente al destinatario. Quest’ultimo non paghera’ nulla per ricevere la posta, ma sara’ tranquillo che il mittente non sara’ uno spammer.


In un solo passaggio, dunque, Goodmail potrebbe realizzare un filtraggio preventivo di chi acquista francobolli elettronici. Come riferisce Gingras, CEO di Goodmail, “cercheremo di fare il massimo degli sforzi per assicurarci dell’identita’ reale del mittente dei messaggi”.
Il risvolto estremamente positivo dell’utilizzo di questo sistema sara’ quello di minimizzare il numero di messaggi “falsi positivi”. Un “falso positivo” si ha quando un messaggio ricevuto da un utente, o almeno non qualificato come spam, e’ erroneamente bloccato o messo da parte dallo spam-filter. Il costo di questi errori si aggirera’ – secondo una previsione di Jupiter Research – a 419 milioni di dollari nel 2008 dai 230 milioni del 2003.
Se un messaggio arriva senza il francobollo elettronico, poi, sara’ ugualmente accettato, ma sara’ sottoposto a dei filtri anti-spam di Goodmail. Solo in questo caso, dunque, si potrebbero generare dei falsi positivi.
Altro lato positivo di Goodmail e’ quello che permette al destinatario della e-mail di rifiutare (qualora lo voglia) il messaggio di posta pervenutogli, semplicemente clickando il bottone di opt-out alla fine del messaggio stesso.
Sembrerebbe dunque che questo sistema possa davvero ridurre il fenomeno dello spamming, se fosse utilizzato su vasta scala. Infatti Goodmail si rivelerebbe davvero utilissimo per tutti i soggetti che vi sono coinvolti: il mittente (pur pagando una commissione esigua) avra’ la certezza che il messaggio giungera’; i mail server otterranno un compenso per l’uso della propria banda, ma sapranno che la quantita’ di e-mail con il francobollo non sara’ spam (che sicuramente genera piu’ preoccupazioni per un ISP); infine, il destinatario capira’ con assoluta semplicita’ la legittima provenienza del messaggio.
Da un punto di vista giuridico, l’accordo che un mittente stipula con Goodmail rientra nella fattispecie del contratto di trasporto di cose (ai sensi degli artt. 1678 e segg. c.c.).

Con tale contratto il vettore si obbliga, verso un corrispettivo, a trasportare un messaggio da un luogo (in questo caso virtuale) all’altro. Tale contratto rientra nella figura piu’ generale della locatio operis e non in quella della locatio operarum, con la conseguenza che incide sul vettore medesimo il rischio di una eventuale maggiore onerosita’ della prestazione in rapporto alle difficolta’ che possono verificarsi nella produzione del risultato.
La giurisprudenza sul punto, inoltre, ha precisato che resta del tutto indifferente che il predetto obbligo sia assunto da chi esercita professionalmente, nell’ambito di un’organizzazione di impresa individuale o collettiva, il mestiere di vettore, ovvero da qualsiasi altro soggetto non imprenditore. E’ altresi’ del tutto irrilevante che nella esecuzione dell’obbligazione provveda personalmente e con propri mezzi o che si avvalga in tutto o in parte, dell’opera di altri soggetti (Cass. 28/4/65, n. 752).
Nel caso di Goodmail, si puo’ parlare di un contratto di subtrasporto che questa societa’ stipula con gli altri ISP, che si faranno carico di processare la posta.
Il vettore e’ responsabile della perdita e dell’avaria delle cose consegnate per il trasporto, dal momento in cui le riceve a quello in cui le riconsegna al destinatario, se non prova che la perdita o l’avaria e’ derivata da caso fortuito, dalla natura o dai vizi delle cose stesse o dal fatto del mittente o da quello del destinatario (art. 1693 c.c.).
Dunque, tale responsabilita’ c.d. ex recepto del vettore e’ correlata al suo dovere di conservazione e custodia delle cose consegnategli, e non cessa con l’arrivo a destinazione delle medesime, ma solo con la riconsegna al destinatario (Cass. 23/3/85, n. 2079).

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