Home » Focus del mese

Che valore giuridico ha la pagina web?

12 Marzo 2004 Commenta

Le informazioni tratte da una rete telematica sono per natura volatili e suscettibili di continua trasformazione e, a prescindere dalla ritualita’ della produzione, va esclusa la qualita’ di documento in una copia su supporto cartaceo che non risulti essere stata raccolta con garanzie di rispondenza all’originale e di riferibilita’ a un ben individuato momento. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con sentenza n. 2912 del 18 febbraio scorso.


Continua a far discutere questa affermazione della Corte di Cassazione che si inserisce in un momento piuttosto delicato caratterizzato da alcune decisioni giurisprudenziali che hanno attribuito rilevanza di documento scritto a semplici messaggi di posta elettronica, scatenando cosi’ aspre dispute dottrinali. Indubbiamente ogni qualvolta si interviene con qualsiasi tipo di decisione sul fenomeno del momento rappresentato da Internet e’ inevitabile la discussione e cio’ per le caratteristiche della Rete contraddistinta da una realta’ fortemente tecnologica per cui molti autori preferiscono parlare, piu’ che di realta’, di virtualita’.
Internet, quindi, e’ il mondo della virtualita’ dove il dato informatico assume una notevole rilevanza, considerato il grande valore della rete come mezzo di telecomunicazione e mezzo di diffusione del pensiero. Indubbiamente, come afferma la Suprema Corte, i contenuti di un sito web sono soggetti a rapidi cambiamenti, per cui non e’ facile ancorare ad una data ben precisa la stampa di una videata se non osservando precise prescrizioni procedurali che pero’ (e questo bisogna ricordarlo) sono previste per altre situazioni di fatto che con Internet non hanno niente a che vedere. In altri termini e su questo non ci sono dubbi il valore probatorio di quanto accertato e documentato da una pagina web stampata non puo’ essere considerato inequivocabile. La fotografia, la ripresa cinematografica riproducono in maniera fedele la c.d. realta’ tangibile, che puo’ sicuramente costituire oggetto di una simile forma di accertamento, ma Internet non e’ la stessa cosa; il dato informatico e’ contraddistinto dall’immaterialita’ e ridurlo a carta stampata non puo’ considerarsi un’operazione ineccepibile sia da un punto di vista tecnico che giuridico.
D’altro canto lo stesso problema si era posto con l’avvento della contestatissima legge n. 62/2001 che faceva rientrare nella nozione di prodotto editoriale qualsiasi tipologia di flusso di informazioni che contraddistingue la nostra societa’. La dottrina prevalente, ha quindi, sin dall’inizio dell’operativita’ della legge, contestato questa definizione di prodotto editoriale ritenendola vaga ed imprecisa, giustificata solo dalla necessita’ di fornire al mondo dell’editoria dei meccanismi di erogazione di provvidenze o di agevolazioni pubbliche (Zeno-Zencovich, “I prodotti editoriali elettronici nella L. 7 marzo 2001 n. 62 e il preteso obbligo di registrazione” in “Il diritto dell’informazione e dell’informatica”, n. 2, Milano, 2001).

D’altronde riesce davvero difficile ricondurre ad una stessa realta’ un prodotto informativo telematico e quello cartaceo in quanto quest’ultimo e’ caratterizzato da fattori fisici, mentre l’informazione telematica e’ caratterizzata dalla virtualita’.
In effetti, come e’ stato giustamente specificato in dottrina, l’informazione si articola ed e’ la materia prima di determinati prodotti, dando vita ad imprese e specializzazioni professionali essenzialmente a partire dal mezzo: i prodotti cartacei si differenziano in relazione al supporto (quotidiano, libro ecc.), quelli radiofonici e televisivi in relazione alla dimensione temporale, quelli elettronici alle modalita’ di fruizione (cd, on-line). Vi sono dei prodotti informativi che combinano le diverse caratteristiche (si pensi alle opere multimediali), ma solitamente attorno a ciascun mezzo si organizza un’industria con proprie specifiche caratteristiche che si presentano con sistematicita’ e servono a distinguere l’una dall’altra (Zeno-Zencovich, “op. cit”).
Per questo motivo altra dottrina ha argutamente osservato che al massimo la rete, considerata la sua dimensione globale, puo’ essere vista come un grande canale di “distribuzione” del prodotto editoriale, ma mai quest’ultimo puo’ essere identificato con un sito Internet (Costanzo, “Ancora a proposito dei rapporti tra diffusione in Internet e pubblicazione a mezzo stampa” in “Il diritto dell’informazione e dell’informatica”, n. 4/5, Milano, 2000).
Nel caso di specie il problema si sdoppia e cioe’ bisogna cercare di capire, innanzitutto se una copia cartacea di una pagina web possa assumere la “qualita’ di documento” e poi valutare l’eventuale valore probatorio. Probabilmente la Suprema Corte in un’ottica eccessivamente garantista non si e’ nemmeno posta tale problematica ed a priori ha escluso qualsiasi valore alla pagina web stampata.
Una piu’ attenta riflessione e forse anche una maggiore conoscenza della Rete, pero’, avrebbe dovuto gia’ portare alla conclusione che i files pubblicati su Internet sono gia’ di per se’ documenti informatici originali, per cui la stampa di un testo pubblicato su Internet puo’ almeno essere considerata una riproduzione di un documento a prescindere da un suo specifico valore probatorio.

Al fine di comprendere meglio quanto esposto in precedenza basta fare riferimento alla realta’ pubblicistica dove e’ fondamentale la distinzione fra l’atto amministrativo elaborato dal computer e l’atto amministrativo in forma elettronica.
I due concetti sono totalmente diversi l’uno dall’altro in quanto l’atto amministrativo ad elaborazione elettronica rappresenta il risultato di un sistema informativo, normalmente di alto livello, che, collegando norme e dati, predispone un provvedimento che altrimenti sarebbe stato il frutto di riscontri e valutazioni vincolate da parte di un funzionario. In presenza di valutazioni discrezionali  la predisposizione elettronica si ferma, offrendo al funzionario un atto parzialmente predisposto, da riempire con  la sua valutazione discrezionale.

L’atto ad elaborazione elettronica non e’ una novita’ degli ultimissimi anni: escludendo gli albori dell’informatica, quando si crearono i primi archivi, come fonte di sole notizie, i sistemi immediatamente successivi si preoccuparono di predisporre elaborazione dei dati al fine di fornire alla Pubblica Amministrazione bozze piu’ o meno complete o completabili di atti. E’ bene tuttavia sottolineare che tutto andava comunque stampato su carta e sottoscritto con firma autografa del funzionario responsabile.
Questo tipo di atto puo’ essere tranquillamente equiparato alla copia di una pagina web in quanto non ha alcun valore probatorio se non viene in qualche modo autenticato con la firma di un funzionario.
Indubbiamente pero’ la vera rivoluzione nell’organizzazione del lavoro amministrativo pubblico si avra’ con l’attuazione dell’altro concetto di “atto elettronico”,  ossia attuando il principio della validita’ giuridica dell’atto amministrativo in forma elettronica. Riconoscendo, difatti, valore giuridico all’atto amministrativo nella sua forma elettronica, si otterra’ quale principale e rivoluzionario effetto quello di renderlo disponibile in rete, senza confini di distanza, con possibilita’ di strutturare flussi di lavoro (workflow) sempre in forma elettronica, impostando una pratica amministrativa unica, a perfezionamento progressivo, qualunque sia il numero degli uffici o delle amministrazioni interessate (teleamministrazione). Tale concezione dell’atto elettronico trova il suo fondamento nell’art. 15 della legge Bassanini (n. 59/97) che al 2° comma ha sancito che ” gli atti, dati e documenti formati dalla Pubblica Amministrazione  e dai privati con mezzi  informatici o telematici, i contratti  stipulati  nelle medesime forme , nonche’  la loro  archiviazione  e trasmissione con mezzi  informatici, sono  validi  a tutti gli effetti di legge”.

La materia, come e’ noto, e’ stata, di recente, completamente riordinata dal DPR n. 445 del 28 dicembre 2000 che riunisce, in un unico testo, sia le disposizioni legislative che regolamentari inerenti la documentazione amministrativa (sorprende per la verita’ il silenzio in materia della Suprema Corte, la cui decisione e’ comunque ampiamente successiva al T.U.). Considerato che il documento elettronico fa ormai parte integrante della documentazione amministrativa intesa nel suo complesso, il T.U. in argomento ha disciplinato in maniera organica e circostanziata il documento informatico nei suoi vari aspetti, riproducendo le disposizioni di diversi provvedimenti normativi che sono stati ovviamenti abrogati (v. art. 77 del T.U.). 
In particolare l’art. 10 del T.U. al 1° comma realizza una finzione giuridica: quella di considerare atto scritto il documento informatico. La disposizione ha una precisa ratio di economia giuridica: piuttosto che integrare tutte le disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che prevedono il requisito della forma scritta, attraverso il richiamo del corrispondente documento informatico, la norma ha ritenuto, una volta per tutte, soddisfatto il requisito della forma scritta dal documento informatico.

Questo a condizione che lo stesso documento sia formato in ossequio di alcune regole previste al fine di avvalorarne autenticita’ e sicurezza.
Una volta stabilito che il documento informatico vale come scrittura, e’ ovvio che lo stesso assuma una rilevante efficacia probatoria. Si intuisce ampiamente, che la preoccupazione principale e’ stata quella di adeguare ad un diverso strumento, come quello informatico, le regole gia’ previste dal codice civile rispetto all’efficacia probatoria: tuttavia non e’ escluso che questo nuovo strumento comunicativo possa portare ad incidere sulle stesse regole sostanziali e procedurali.

Il valore probatorio di un documento informatico e’ pero’ strettamente collegato al tipo di firma elettronica che lo contraddistingue ed indubbiamente il nuovo sistema di firme elettroniche delineato dal D.P.R. n. 137/2003 non ha chiarito molto le idee.
La firma elettronica generica (la cui individuazione nella realta’ e’ estremamente complessa) al di la’ della definizione canonica del d.lgs. n. 10/2002 ripresa anche dal nuovo D.P.R. (l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autentificazione informatica) puo’ essere intesa come ogni sistema che puo’ funzionare come “chiave” per accedere ad un documento o a un dato informatico (password, PIN, tecniche biometriche, chiavi asimmetriche). Il documento informatico sottoscritto con la firma elettronica soddisfa il requisito legale della forma scritta ed e’ valutabile come prova. In ogni caso al documento informatico sottoscritto con la firma elettronica non puo’ essere negata rilevanza giuridica ne’ ammissibilita’ come mezzo di prova.
La firma elettronica “avanzata” si distingue dalla firma elettronica “debole” in quanto presenta particolari caratteristiche. Essa secondo l’articolo 2, comma 1, lettera g), del  d.lgs. n. 10 e’ “la firma elettronica ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario e la sua univoca identificazione, creata con mezzi sui quali il firmatario puo’ conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati”. Assume quindi una rilevanza fondamentale per questo tipo di firma il fatto che la sottoscrizione identifichi il firmatario al quale deve poter essere attribuita in maniera univoca. Deve, inoltre, assicurare che l’atto non sia stato modificato, certezza che si ottiene se il firmatario ha il controllo esclusivo del sistema di sottoscrizione. La firma elettronica avanzata ha la stessa validita’ della firma elettronica “generica”, ma con il vantaggio che e’ piu’ sicura. Aumenta, quindi, la possibilita’ di utilizzarla come prova.

C’e’ poi la firma elettronica qualificata definita dal D.P.R. n. 137 come quella firma elettronica avanzata che sia basata su un certificato qualificato e creata mediante un
dispositivo sicuro per la creazione della firma. Si tratta, quindi, di un ambito piu’ ristretto che richiede due elementi: la firma deve essere associata ad un certificato qualificato (il certificato elettronico conferma l’identita’ del titolare della sottoscrizione) e deve essere creata mediante un sistema sicuro.
La sicurezza dell’apparato strumentale utilizzato per creare la firma e’ data dal rispetto di una serie di criteri indicati nel Decreto Presidenziale (v. art. 15 che ha introdotto tra gli altri l’art. 29-sexies del D.P.R. 445/2000)
In base poi al certificato qualificato (al quale il D.P.R. in esame dedica diverse disposizioni fra cui l’art. 11 che ha sostituito l’art. 27 del Testo Unico, l’art. 12 che ha introdotto l’art. 27-bis del Testo Unico, l’art. 13 che ha sostituito l’art. 28 del T.U., l’art. 14 che ha sostituito l’art. 29 del T.U., l’art. 15 che ha introdotto gli artt.29-bis, 29-ter, 29-quater, 29-quinquies, 29-sexies, 29-septies, 29-octies del T.U.) possono esserci due tipi di sottoscrizione: a) la firma qualificata con certificato rilasciato da certificatore accreditato (v. art. 13 del D.P.R. che ha sostituito l’art. 28 del T.U) che sarebbe in effetti la firma digitale. I certificatori accreditati sono quelli iscritti nell’elenco prima tenuto dall’AIPA (ora CNIPA).
Questa firma garantisce il massimo della sicurezza e puo’ essere usata nei rapporti fra privato e pubblica amministrazione; b) la firma qualificata con certificato rilasciato da certificatore notificato. Difatti, considerato che la prestazione di servizi di certificazione, alla luce di quanto prescritto dall’art. 10 del D.P.R. in esame che ha sostituito l’art. 26 del T.U., e’ libera e non necessita di autorizzazione preventiva, possono nascere certificatori che assicurano l’emissione di certificati qualificati, ma i cui livelli di qualita’ e sicurezza sono indicati dal mercato e non dalla legge.
Naturalmente tutte le firme qualificate rappresentano titolo di prova, fino a querela di falso, della volonta’ del sottoscrittore del documento.

Rimane pero’ il concetto che il documento informatico privo della firma elettronica, ha invece l’efficacia probatoria prevista dall’art. 2712 cod.civ., come gia’ ritenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, nel senso che esso va ricompreso tra “le riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica (ed ora elettronica) di fatti e di cose, le quali formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformita’ ai fatti o alle cose medesime”.
D’altro canto il disconoscimento della conformita’ di una delle riproduzioni menzionate nell’art. 2712 cod.civ. ai fatti rappresentati non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215, comma secondo, cod. proc. civ., della scrittura privata, perche’, mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformita’ all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (v. Cass. 12 maggio 2000 n. 6090 ed altre sentenze indicate dalla stessa Corte).

Scritto da

Commenta!

Aggiungi qui sotto il tuo commento. E' possibile iscriversi al feed rss dei commenti.

Sono permessi i seguenti tags:
<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>