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L’open source fa bene alla crescita

2 Marzo 2004 Commenta

L’Open Source potrebbe costituire una leva tutt’altro che secondaria per riavviare le dinamiche di mercato, soprattutto a livello locale. E’ quanto emerso dall’incontro che si e’ tenuto a Roma – promosso da Censis, RUR e Atenea – che ha avuto l’obiettivo di fare il punto sulla diffusione dei software Open Source nelle pubbliche aministrazioni, e sulle conseguenze che la crescita delle comunita’ Open Source sul territorio sta comportando in termini di sviluppo locale. Sono stati presentati in anteprima, nel corso dell’incontro, i dati dell’indagine dell’Osservatorio OCID (Osservatorio Citta’ Digitali) di RUR e Censis sulla penetrazione delle soluzioni Open Source tra gli Enti locali e, contestualmente, e’ stata offerta un’analisi di scenario sulle peculiarita’ della “via italiana” all’Open Source.
Inoltre e’ stato annunciato un grande progetto di sviluppo di soluzioni Open Source, particolarmente dedicate alla formazione, da parte di una rete collaborativa di soggetti a favore delle pubbliche amministrazioni e delle piccole e medie imprese (il c.d. meta distretto dell’open source).
La stessa pubblica amministrazione sta facendo molto in questo senso. Ma non basta e lo scenario italiano resta ancora caratterizzato da deficit di innovazione in condizioni di rallentamento economico.

Secondo i dati, dell’Osservatorio Citta’ Digitali (OCID) della Rur e del Censis, emersi nel corso dell’incontro gli utenti Internet crescono di giorno in giorno, essendo passati dal 21,3% della popolazione nel 2000 al 32,1% nel 2003, ma permangono forti resistenze nell’introdurre strumenti, del resto gia’ consolidati, per la gestione della routine familiare: il 59,2% delle famiglie per pagare le bollette si reca ancora ogni due mesi alla posta, il 40,5% utilizza la piu’ comoda domiciliazione bancaria e solo lo 0,3% delle famiglie italiane usa modalita’ innovative tramite telefono o internet. Inoltre tra gli italiani maggiorenni solo il 35,6% ha una carta di credito e il 54,2% un bancomat, strumenti essenziali per poter eseguire transazioni on line o telefoniche.
Il settore imprenditoriale registra non solo un’arretratezza complessiva in quanto a soluzioni adottate, ma anche un atteggiamento di chiusura e di diffidenza nei confronti delle soluzioni piu’ avanzate. All’interno dei distretti, e cioe’ delle aree imprenditorialmente piu’ dinamiche le imprese usano le tecnologie solo in una logica di office automation, mentre disdegnano le soluzioni di networking. Le ragioni di questo atteggiamento non sono prevalentemente economiche o legate alla mancanza di competenze, ma dettate dall’impulso a conservare l’autonomia (per il 73,7%) e dalla difficolta’ a condividere informazioni con le altre imprese esistenti sul territorio (75,1%). Il risultato e’ che le imprese usano Internet per spedire e ricevere posta elettronica (56,6%), ma poi non realizzano iniziative in comune come la creazione di siti territoriali (solo il 26,3% lo fa).

Nel settore pubblico ormai tutte le piu’ grandi amministrazioni locali dispongono di un sito Internet istituzionale per comunicare con le famiglie e le imprese. E’ un dato importante che testimonia la crescita di una cultura dell’innovazione di un settore (quello pubblico), il quale, superando stereotipi e luoghi comuni, e’ diventato un simbolo dello sviluppo e della diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Anche in questo caso, pero’, l’introduzione di nuove tecnologie non ha ancora portato a una revisione nell’organizzazione e nella gestione dei servizi alle imprese e alle famiglie. On line e’ possibile pagare l’ICI nel 17,5% dei comuni maggiori, ma e’ difficile portare a compimento altri tipi di pratiche. Prendendo in considerazione i servizi essenziali individuati dal piano e-government, in media solo nel 1,3% dei casi e’ possibile pagare on line o, almeno, consegnare un modulo tramite Internet.

Per uscire dalla crisi, per far crescere la propensione all’innovazione, e’ necessario mettere a punto nuovi modelli e nuove soluzioni che non siano le semplici trasposizioni commerciali di tecnologie messe a punto altrove. Le soluzioni open source, i progetti finalizzati a sviluppare soluzioni specifiche per le piccole e medie imprese italiane e per la pubblica amministrazione, possono essere l’occasione non solo per ridurre i costi spesi in licenze software, ma anche per sviluppare competenze e capacita’ in grado di ridare vitalita’ alle imprese italiane.
Di recente sono stati forniti anche gli strumenti normativi per favorire un simile sviluppo con la direttiva del Dipartimento dell’Innovazione e delle Tecnologie datata 19 dicembre 2003 sullo sviluppo ed utilizzazione dei programmi informatici da parte delle pubbliche amministrazioni, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 31 del 7 febbraio 2004.
Tale direttiva reca le regole ed i criteri tecnici per l’acquisto ed anche per il riuso del software nella Pubblica amministrazione ed indubbiamente l’inclusione di questa nuova tipologia d’offerta tra le soluzioni tecniche contribuisce ad ampliare la gamma delle opportunita’ e delle possibili soluzioni in un quadro di economicita’, equilibrio, pluralismo e aperta competizione.
L’atto e’ stato preceduto da una approfondita indagine conoscitiva, voluta a gennaio 2002 dallo stesso Ministro Stanca e condotta da un’apposita commissione tecnica che, per la prima volta, ha fotografato la situazione dell’ informatica e del software a codice sorgente aperto nella Pubblica amministrazione. Dall’indagine e’ emerso che nel 2001 la Pubblica amministrazione italiana ha speso 675 milioni di euro per il software (il 22% della spesa totale in tecnologie dell’informazione e della comunicazione): di questi il 61% e’ stato destinato al software realizzato specificatamente e il 39% per quello a licenza.

Il provvedimento dopo le solite definizioni di prammatica, prevede innanzitutto un’ analisi comparativa delle soluzioni (art. 3) in quanto dispone che le Pubbliche amministrazioni acquisiscano programmi informatici sulla base di valutazione comparativa tecnica ed economica tra le diverse soluzioni disponibili sul mercato, tenendo conto della rispondenza alle proprie esigenze, ma anche della possibilita’ di poter sviluppare programmi informatici specifici e del riuso da parte di altre amministrazioni dei programmi informatici sviluppati ad hoc.

Tra le valutazioni di tipo tecnico ed economico vanno contemperati anche il costo totale di possesso delle singole soluzioni e del costo di uscita, ma anche del potenziale interesse di altre amministrazioni al riuso dei programmi informatici.
Nel caso di acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante il ricorso a licenze d’uso, le amministrazioni si debbono contrattualmente assicurare che, qualora il fornitore non sia piu’ in grado di fornire supporto, il codice sorgente e la relativa documentazione vengano resi disponibili o almeno ceduti al fornitore.
Le Pubbliche amministrazioni nell’acquisto dei programmi informatici dovranno privilegiare le soluzioni che: assicurino l’interoperabilita’ e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della Pubblica amministrazione, salvo che ricorrano peculiari ed eccezionali esigenze di sicurezza e di segreto; rendano i sistemi informatici non dipendenti da un unico fornitore o da un’unica tecnologia proprietaria; garantiscano la disponibilita’ del codice sorgente per l’ispezione e la tracciabilita’ da parte delle Pubbliche amministrazioni; esportino dati e documenti in piu’ formati, di cui almeno uno di tipo aperto (art. 4).
Nel caso di programmi informatici sviluppati ad hoc, l’amministrazione committente ne acquisisce la proprieta’ dato che ha contribuito con le proprie risorse all’identificazione dei requisiti, all’analisi funzionale, al controllo ed al collaudo del software realizzato dall’impresa fornitrice (art. 5).
Le Pubbliche amministrazioni, inoltre, si assicurano contrattualmente la possibilita’ di trasferire la titolarita’ delle licenze dei programmi informatici acquisiti nelle ipotesi in cui all’amministrazione che ha acquistato la licenza ne subentri un’altra nell’esercizio delle stesse attivita’ (art. 6).
Per favorire il riuso dei programmi informatici di proprieta’ delle amministrazioni, nei capitolati e nelle specifiche di progetto dovra’ essere previsto che i programmi sviluppati ad hoc siano facilmente esportabili su altre piattaforme. Inoltre nei contratti di acquisizione di programmi informatici sviluppati per conto e a spese delle amministrazioni, le stesse includono clausole che vincolano il fornitore a mettere a disposizione servizi che consentano il riuso delle applicazioni (art. 7).
Naturalmente l’attuazione della “Direttiva Stanca per l’open source” da parte della Pubblica amministrazione sara’ promossa dal Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione-CNIPA, che fornira’ gli adeguati supporti.

Le vere difficolta’, che impediscono la piena affermazione dell’open source, comunque risiedono  altrove e si sostanziano nella necessita’ di non violare le regole di mercato che deve essere sempre trasparente, inoltre e’ indiscussa la maggiore notorieta’ dei prodotti piu’ pubblicizzati (Microsoft), quindi la loro maggiore conoscenza ed uso, per non parlare poi dell’assistenza tecnica che li contraddistingue.
Chiaramente, questi aspetti, talvolta possono anche condizionare le politiche di mercato e questo periodo e’ particolarmente delicato in quanto e’ in atto una diffusa ed organizzata informatizzazione dei pubblici Uffici che allo stato attuale e’ sicuramente fondata sull’utilizzo di un software di massa non open source.

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