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Limiti al legittimo utilizzo di una smart card

8 Luglio 2004 Commenta

La Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sent. n. 23221/2004 ritornando su un argomento molto dibattuto in dottrina ha sancito ancora una volta che l’uso di una scheda elettronica (smart card) che consente la ricezione dei programmi televisivi a pagamento in un locale dove, appunto, la gente accede a pagamento, configura il reato di cui all’art. 171 ter della L. 22/4/1941 n. 633 quando il contratto posto in essere con la societa’ di trasmissione dei programmi preveda l’uso strettamente personale e familiare di tale strumento, con l’implicata esclusione di una qualunque utilizzazione a fini commerciali.
Gia’ in precedenza la Suprema Corte aveva risolto una questione analoga allo stesso modo (Cass. Pen. Sez. III, 23/9/02 n. 31579).

La decisione della Corte di Cassazione ritorna su un argomento particolarmente dibattuto contraddistinto, come sostenuto dalla stessa Suprema Corte da una produzione legislativa piuttosto confusionaria.
Il caso in esame e’ molto diffuso ed e’ rappresentato dal gestore di un locale pubblico, per l’esattezza una pizzeria, che pur avendo stipulato con SKY un contratto ad uso domestico consente a tutta la clientela di poter vedere eventi sportivi attraverso una televisione e relativo decoder installati nel locale.
Prima ancora di entrare nel merito della questione e’ opportuno chiarire che un sistema di trasmissione televisiva satellitare differisce dalla normale trasmissione televisiva terrestre in quanto e’ costituito da un insieme di apparati, in particolare trasmettitori, convertitori, satelliti, elaboratori di dati in trasmissione (encoder) e analoghi elaboratori in ricezione (decoder), ricevitori protetti da misure di sicurezza (criptazione), finalizzati alla trasmissione di dati che, diffusi da centri di smistamento costituiti dalle reti televisive, permettono di raggiungere gli utenti abilitati, cioe’ coloro in possesso di card legalmente acquisite che contengono i codici necessari alla lettura dei segnali codificati.
Prima che la materia venisse disciplinata piu’ dettagliatamente dagli ultimi interventi legislativi, le frequenti fattispecie di decriptazione abusiva del sistema di trasmissione televisiva venivano risolte dalla Corte di Cassazione (v. sent. N. 1904 del 27 marzo 1998 Sez. V penale; sent. N. 4389 del 2 luglio 1998, V sez. Penale) alla luce dell’applicazione degli artt. 615 ter e 615 quater del codice penale, provocando non poche contestazioni della dottrina in quanto la Suprema Corte al fine di giustificare l’applicazione della normativa summenzionata introdotta dalla legge 547/93 era costretta ad una “forzatura” equiparando il sistema televisivo satellitare ad un sistema informatico o telematico.
Difatti da un punto di vista tecnico il sistema informatico e’ un insieme di componenti hardware e software che consentono il trattamento automatico dei dati; il sistema telematico si configura quando due o piu’ sistemi informatici vengono collegati fra loro tramite reti di telecomunicazione allo scopo di scambiare dati.

Un sistema di trasmissione, invece, anche se fondato su un collegamento satellitare (il che potrebbe far pensare ad un sistema telematico) che, previa ricezione da una stazione terrestre dell’impulso, provvede ad irradiarlo sull’intero territorio coperto dal servizio, non presenta alcuna funzione di scambio di dati, in quanto il satellite si limita a diffondere il segnale senza avere alcun rapporto diretto con il decoder che solo successivamente lo capta, provvedendo a rielaborarlo grazie al codice di decrittazione contenuto nella smart card.
Il legislatore, evidentemente, resosi conto, anche a seguito delle discusse pronunce giurisprudenziali, dell’esistenza di una grave lacuna legislativa in materia attraverso l’emanazione della legge n. 248/2000 e’ intervenuto specificamente con l’introduzione dell’art. 171-ter che alla lettera e) punisce, se il fatto e’ commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 2580 a 15495 euro chiunque in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condiziona, mentre alla lettera f) punisce, con la stessa pena, sempre se il fatto e’ commesso per uso non personale, chiunque a fini di lucro introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, distribuisce, vende, concede in noleggio, cede a qualsiasi titolo, promuove commercialmente, installa dispositivi o elementi di decodificazione speciale che consentono l’accesso ad un servizio criptato senza il pagamento del canone dovuto.
Rilevante e’ anche l’art. 171-octies che punisce, qualora il fatto non costituisca piu’ grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 2580 a 25825 euro, chiunque a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale. Si specifica che per accesso condizionato devono intendersi tutti i segnali audiovisivi trasmessi da emittenti italiane o estere in forma tale da rendere gli stessi visibili esclusivamente a gruppi chiusi di utenti selezionati dal soggetto che effettua l’emissione del segnale, indipendentemente dalla imposizione di un canone per la fruizione di un tale servizio.

Come appare evidente il legislatore, in considerazione anche dell’aspetto fortemente tecnico delle fattispecie in esame, e’ stato molto preciso proprio allo scopo di evitare interpretazioni evasive.
Ma questo provvedimento non ha mai convinto molto ne’ il legislatore ne’ gli operatori del diritto sia per l’eccessiva severita’ sia per il chiaro intento della stessa normativa di proteggere i guadagni di determinate lobby di industriali che hanno introdotto le emittenti di pay-TV.
In effetti, considerato che la crittografia e’ uno strumento essenziale per il successo economico di queste attivita’, il legislatore si e’ subito preoccupato della facilita’ con la quale e’ possibile trovare (specie su Internet) informazioni sul funzionamento dei sistemi di trasmissione cifrata e sul modo di aggirarli e quindi e’ intervenuto per punire non solo la pubblicizzazione e commercializzazione di attrezzature pirata, nonche’ il possesso privato o l’uso di decoder clonati, ma persino ogni privato scambio di informazioni sulle caratteristiche di sicurezza dei sistemi crittografici delle pay-TV, andando quindi ben al di la’ della tutela consentita dal piu’ elementare principio di liberta’ di manifestazione del pensiero.

Quindi il 15 novembre 2000 il d.lgs n. 373 abrogava di fatto le summenzionate disposizioni penali.
In particolare dall’esame degli artt. 1, 4 e 6 del d.lgs. appariva evidente che la nuova normativa puniva solo con sanzioni amministrative chiunque importa, distribuisce, vende, possiede a fini commerciali; ovvero installa quei dispositivi illeciti che, all’art. 1 dello stesso decreto, vengono definiti come tutte quelle apparecchiature o programmi per elaboratori elettronici concepiti o adattati al fine di rendere possibile l’accesso ad un servizio protetto in forma intelligibile senza l’autorizzazione del fornitore del servizio.
Considerato che il servizio protetto comprende anche il servizio ad accesso condizionato, ovvero il sistema delle trasmissioni televisive ( via cavo, via satellite, via radio) criptate, non sussistevano dubbi sulla depenalizzazione operata dal d.lgs. n. 323 nei contronti delle fattispecie di reato previste dalla legge 248/2000.
Successivamente pero’ l’avvento della legge n. 22 del 7 febbraio 2003 ha ulteriormente complicato le cose in quanto con la specifica integrazione (operata dall’art. 1) del comma 1 dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 373/2000 sembra che si voglia ritornare di nuovo alla originaria previsione incriminatrice di cui alla legge 248/2000.
Difatti viene espressamente prevista l’applicazione di sanzioni penali e di altre misure accessorie previste per le attivita’ illecite di cui agli articoli 171-bis e 171-octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni.
A questo punto la Suprema Corte prendendo spunto da una propria precedente decisione (Cass. Pen. Sez. III, 23/9/02 n. 31579, Martina) risolve la questione sentenziando che in tema di tutela del diritto d’autore, l’uso di una scheda elettronica (smart card) che consente la ricezione dei programmi televisivi a pagamento in un locale dove, appunto, la gente accede a pagamento, configura il reato di cui all’art. 171 ter. della L. 22/4/1941 n. 633: quando il contratto posto in essere con la societa’ di trasmissione dei programmi preveda l’uso strettamente personale e familiare di tale strumento, con l’implicata esclusione di una qualunque utilizzazione a fini commerciali.

L’interpretazione della Corte di Cassazione per la verita’ non convince molto poiche’ non sembra che la norma invocata avesse come riferimento il caso di specie per cui appare evidente un adattamento della normativa esistente giustificato dalle idee poco chiare del legislatore in materia.
In effetti nella fattispecie in esame un accordo esiste con il legittimo distributore anche se non consente la trasmissione in pubblico di un servizio criptato. E’ quindi palese la minore gravita’ della violazione e la difficile applicabilita’ della norma invocata, ma nel silenzio o meglio nella…… esagerata loquacita’ del legislatore, la Corte di Cassazione si scopre organo giudiziario di common law ed interpreta parecchio estensivamente la normativa denunciando in modo indiretto un’ulteriore lacuna legislativa.

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Limiti Al Legittimo Utilizzo Di Una Smart Card

6 Luglio 2004 Commenta

ROMA – La Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sent. n. 23221/2004ritornando su un argomento molto dibattuto in dottrina ha sancito ancora unavolta che l’uso di una scheda elettronica (smart card) che consente laricezione dei programmi televisivi a pagamento in un locale dove, appunto,la gente accede a pagamento, configura il reato di cui all’art. 171 terdella L. 22/4/1941 n. 633 quando il contratto posto in essere con lasocieta’ di trasmissione dei programmi preveda l’uso strettamente personalee familiare di tale strumento, con l’implicata esclusione di una qualunqueutilizzazione a fini commerciali.

Gia’ in precedenza la Suprema Corteaveva risolto nello stesso senso una questione analoga (Cass. Pen. Sez. III,23/9/02 n. 31579).

La decisione della Corte di Cassazione ritorna suun argomento particolarmente dibattuto contraddistinto, come sostenuto dallastessa Suprema Corte da una produzione legislativa piuttostoconfusionaria.

Il caso in esame e’ molto diffuso ed e’ rappresentatodal gestore di un locale pubblico, per l’esattezza una pizzeria, che puravendo stipulato con SKY un contratto ad uso domestico consente a tutta laclientela di poter vedere eventi sportivi attraverso una televisione erelativo decoder installati nel locale.

Prima che la materia venissedisciplinata piu’ dettagliatamente dagli ultimi interventi legislativi, lefrequenti fattispecie di decriptazione abusiva del sistema di trasmissionetelevisiva venivano risolte dalla Corte di Cassazione (v. sent. N. 1904 del27 marzo 1998 Sez. V penale; sent. N. 4389 del 2 luglio 1998, V sez. Penale)alla luce dell’applicazione degli artt. 615 ter e 615 quater del codicepenale, provocando non poche contestazioni della dottrina in quanto laSuprema Corte al fine di giustificare l’applicazione della normativasummenzionata introdotta dalla legge 547/93 era costretta ad una “forzatura”equiparando il sistema televisivo satellitare ad un sistema informatico otelematico.

Il legislatore, evidentemente, resosi conto, anche aseguito delle discusse pronunce giurisprudenziali, dell’esistenza di unagrave lacuna legislativa in materia attraverso l’emanazione della legge n.248/2000 e’ intervenuto specificamente con l’introduzione dell’art. 171-terche alla lettera e) punisce, se il fatto e’ commesso per uso non personale,con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 2580 a 15495 eurochiunque in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette odiffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo diapparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni adaccesso condiziona.

Come appare evidente il legislatore, inconsiderazione anche dell’aspetto fortemente tecnico delle fattispecie inesame, e’ stato molto preciso proprio allo scopo di evitare interpretazionievasive.

Ma questo provvedimento non ha mai convinto molto ne’ illegislatore ne’ gli operatori del diritto per cui il 15 novembre 2000 ild.lgs n. 373 abrogava di fatto le summenzionate disposizionipenali.

In particolare dall’esame degli artt. 1, 4 e 6 del d.lgs.appariva evidente che la nuova normativa puniva solo con sanzioniamministrative gli autori dei precedenti illeciti. Successivamente pero’l’avvento della legge n. 22 del 7 febbraio 2003 ha ulteriormente complicatole cose in quanto con la specifica integrazione (operata dall’art. 1) delcomma 1 dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 373/2000 sembra che sivoglia ritornare di nuovo alla originaria previsione incriminatrice di cuialla legge 248/2000.

Difatti viene espressamente previstal’applicazione di sanzioni penali e di altre misure accessorie previste perle attivita’ illecite di cui agli articoli 171-bis e 171-octies della legge22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni.

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