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Rapporti fra privacy e giustizia

7 Gennaio 2005 Commenta

I trattamenti dei dati personali in ambito giudiziario sono disciplinati nella seconda parte del Codice per la protezione dei dati personali dagli artt. 46 a 52. L’art. 46 del Codice non trova precedenti nella legge 675/96 ed ha lo scopo di individuare i titolari dei trattamenti effettuati in tale ambito negli uffici giudiziari, nel CSM e negli altri organi di autogoverno e nel Ministero della giustizia, in relazione alle rispettive attribuzioni, prevedendo l’individuazione dei trattamenti, limitatamente a quelli effettuati con strumenti elettronici, in banche dati centrali o interconnesse.

Ai trattamenti effettuati dai predetti organi per ragioni di giustizia non si applicano alcune disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali. Difatti l’art. 47 individua le disposizioni del codice applicabili a tali trattamenti, dalle quali rimangono escluse quelle non agevolmente compatibili con un efficace perseguimento dell’interesse pubblico perseguito, e individua l’ambito di applicabilita’ della particolare disciplina in commento in relazione alle “ragioni di giustizia” di cui e’ fornita una specificazione sulla base dell’esperienza applicativa.
L’art. 47 chiarisce che si devono intendere effettuati per ragioni di giustizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie, o che, in materia di trattamento giuridico ed economico del personale di magistratura, hanno una diretta incidenza sulla funzione giurisdizionale.
Le medesime ragioni di giustizia non ricorrono, ad esempio, per l’ordinaria attivita’ amministrativo-gestionale di personale e mezzi. Rispetto a questi ultimi trattamenti, pertanto, trova applicazione in toto la pertinente disciplina del codice. Si ricorda in questa sede che in relazione a tali trattamenti il Garante effettua, ove necessario, i necessari accertamenti, anche su segnalazione dell’interessato, con le particolari modalita’ di cui all’art. 160, secondo opportuni moduli piu’ proficuamente sperimentati, che tengono conto della particolare collocazione istituzionale degli organi interessati.
Fra le disposizioni non applicabili ai trattamenti effettuati per ragioni di giustizia, si prevedono innanzitutto le disposizioni concernenti le modalita’ di esercizio dei diritti riconosciuti all’interessato, cioe’ il diritto di accesso ai dati personali, il diritto di ottenere l’aggiornamento, la rettificazione, la cancellazione, ecc.
Non si applica, inoltre, la norma che prevede la promozione da parte del Garante di codici di deontologia, il cui rispetto e’ condizione per la liceita’ del trattamento effettuato da soggetti privati e pubblici.
Non si applica neppure l’articolo 13 del Codice concernente la c.d. informativa, cioe’ le informazioni che il titolare del trattamento deve fornire agli interessati, cioe’ ai soggetti i cui dati sono trattati. Non si applicano, inoltre, le disposizioni sulla cessazione del trattamento, sui dati trattati dai soggetti pubblici, rispetto ai quali gli organi sopra menzionati godono di un regime speciale.

Inoltre i titolari non sono tenuti alla notificazione, non si applicano le disposizioni concernenti gli obblighi di comunicazione al Garante e il divieto di trasferimenti verso l’estero e infine non e’ esperibile la tutela di fronte al Garante.
La direttiva 95/46/CE fa riferimento ai trattamenti effettuati per ragioni di giustizia all’art. 3, par. 2 laddove sancisce che le proprie disposizioni non si applicano ai trattamenti di dati personali qualora effettuati per l’esercizio di attivita’ che non rientrano nel campo di applicazione del diritto comunitario, come quelle previste dai titoli V e VI del trattato sull’Unione europea e comunque ai trattamenti aventi come oggetto la pubblica sicurezza, la difesa, la sicurezza dello Stato (compreso il benessere economico dello Stato, laddove tali trattamenti siano connessi a questioni di sicurezza dello Stato) e le attivita’ dello Stato in materia di diritto penale.
L’art. 48 del Codice che non trova precedenti nella normativa pregressa sulla privacy favorisce le modalita’ di collegamento dell’autorita’ giudiziaria con altre banche di dati della pubblica amministrazione. In tal senso si prevede che ferma restando la necessita’ del rispetto delle eventuali previsioni normative sull’acquisizione dei dati, questa puo’ avvenire anche per via telematica sulla base di convenzioni che agevolino la consultazione degli archivi, nel rispetto delle regole di correttezza nel trattamento di dati personali (art. 11) e del principio di necessita’ del trattamento (art. 3) in base al quale i sistemi informatici e i programmi informatici sono configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, dovendosi, invece, di norma trattare dati anonimi o dati che non consentano di identificare l’interessato.
Il codice della privacy, prevede, all’art. 49 disposizioni di attuazione dei suddetti principi nel codice civile e nel codice penale con decreto del Ministro della Giustizia.

L’art. 50 del Codice estende ai procedimenti giudiziari in materie diverse da quella penale il divieto di pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione di un minore (art. 13 D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448). A tal riguardo si precisa che il Garante gia’ con pareri del 28 maggio 2001 e del 15 novembre 2001 ricordava che il diritto di cronaca deve essere esercitato nel rispetto del principio dell’essenzialita’ dell’informazione sottolineando la necessita’ che il giornalista valuti, sotto la propria responsabilita’, l’oggettivo interesse del minore alla diffusione dell’informazione che lo riguarda, al fine di salvaguardarne la personalita’ e l’armonico processo di maturazione.
L’Autorita’, anche recentemente, (v. newsletter n. 229 del 4 – 10 ottobre 2004) ha ribadito che il minore ha diritto ad una tutela rafforzata. In primo luogo, quando una notizia permette il riconoscimento del minore deve prevalere il diritto alla riservatezza, come stabilito dall’articolo 7 del codice di deontologia sul trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attivita’ giornalistica.

A maggior ragione, quando ci si trovi di fronte a casi di minori vittime di molestie e violenze di natura sessuale. A cio’ deve aggiungersi quanto previsto da varie fonti, nazionali ed internazionali, riguardo ai minori, al fine di non pregiudicarne l’armonico sviluppo. Basti pensare alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, alla Carta di Treviso, all’art. 13 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (che vieta la divulgazione di notizie o immagini che permettano l’identificazione dei minori coinvolti in procedimenti penali) esteso ad altri casi da due articoli del Codice, all’art. 734 bis del codice penale (che vieta la divulgazione delle generalita’ di persona offesa da violenza sessuale).
Inoltre non e’ sufficiente celare il nome di minori coinvolti in fatti di cronaca per evitarne il riconoscimento. Esistono informazioni collaterali che, se riferite, possono causare un’equivalente identificazione.

L’art. 51 del Codice tende ad agevolare lo sviluppo dell’informatica giuridica nel rispetto dei principi in materia di protezione dei dati personali. Con tale articolo, in termini analoghi a quelli previsti dal recente d.d.l. relativo alla legge di semplificazione, si favorisce la conoscibilita’ dei dati identificativi dei giudizi pendenti e delle decisioni giudiziarie adottate mediante reti di comunicazione elettronica anche attraverso il sito internet dell’autorita’ giudiziaria, senza innovare sulle esistenti disposizioni processuali sulla conoscibilita’ di atti giudiziari. Per favorire un’efficace applicazione di tale disposizione, una norma di attuazione consente di adeguare i sistemi informativi entro un anno dall’entrata in vigore del codice (art. 181, comma 5).
Naturalmente l’intento di favorire lo sviluppo dell’informatica giuridica non puo’ comportare violazioni al regime di tutela dei dati personali per cui l’art. 52 del Codice e’ intervenuto a definire le modalita’ con cui garantire le parti in giudizio nel caso di riproduzione di una decisione giudiziaria (ivi compreso il lodo arbitrale rituale) in qualunque forma (su riviste giuridiche, mediante compact disk, o mediante la rete internet), ferma restando, ovviamente, la pubblicazione della sentenza nelle forme previste dai codici di rito.
L’ambito applicativo della disposizione e’ stato precisato in accoglimento di una specifica osservazione della Commissione giustizia del Senato, chiarendo che essa riguarda la “riproduzione” di sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali e per “finalita’ d’informazione giuridica”.
Il sistema si articola in una semplice procedura che sfocia nell’apposizione, sull’originale della decisione, di un timbro che attesti la volonta’ dell’interessato di precludere l’indicazione delle proprie generalita’ o altri dati identificativi in caso di diffusione dell’atto o della relativa massima giuridica, con il conseguente divieto di diffusione di tali dati da parte di qualunque soggetto. Tale annotazione puo’ anche essere apposta d’ufficio dal giudice, a tutela della dignita’ dell’interessato.

Un divieto specifico e’ previsto in caso di decisioni giudiziarie concernenti minori in ordine ai quali non e’ consentito, anche in assenza della predetta annotazione, la diffusione delle generalita’, di altri dati identificativi o di altri dati anche relativi a terze persone dai quali possa ricavarsi l’identita’ del minore (comma 5).
Un’apposita disposizione transitoria prevede precisi limiti di applicabilita’ del divieto di diffusione dei dati relativi a persone non minori, contenuti in decisioni adottate prima dell’entrata in vigore del codice, in relazione a riviste gia’ pubblicate (art. 181, comma 5).
Si ricorda che gia’ per il passato, il Garante in un parere inviato al Ministero della giustizia riguardo alla predisposizione di un regolamento integrativo della disciplina e dell’accesso al servizio di informatica giuridica del CED, aveva suggerito maggiori garanzie rispetto agli usi ulteriori dei dati personali contenuti negli archivi informatici del Centro elettronico di documentazione (CED) della Corte Suprema di Cassazione ma anche maggiori tutele per gli utenti che per motivi professionali o di studio li consultano in via telematica.
In merito al primo aspetto l’Autorita’ aveva sottolineato al Ministero innanzitutto l’esigenza di assicurare un uso legittimo dei dati personali consultati nelle banche dati da parte degli utenti del Ced. Difatti, spesso, i provvedimenti giudiziari riportano generalita’ delle parti e dati riferiti a particolari condizioni o status, anche di natura sensibile e secondo il Garante anche se i dati consultabili attraverso l’accesso al Ced possono essere utilizzati dagli utenti per scopi di documentazione e ricerca in ambito giudiziario o professionale, di studio o per eventuali statistiche, gli stessi non possono essere utilizzati in mancanza di una specifica previsione e di una previa informativa agli interessati, per altre finalita’ indebite, quali potrebbero essere, ad esempio, il monitoraggio della giurisprudenza di alcuni uffici giudiziari che miri alla “profilazione” del comportamento del singolo imputato o magistrato o la valutazione a fini disciplinari della produttivita’ dell’organo decidente.

Per quanto riguarda poi la tutela degli utenti, il Garante, riconoscendo legittimo il “tracciamento” delle operazioni di accesso e consultazione degli archivi informatici da parte del Centro per esigenze di sicurezza del sistema, aveva escluso la possibilita’ che esso potesse essere usato, per quanto in via ipotetica, per monitorare l’accesso di utenti identificabili e il contenuto delle singole operazioni di consultazione.

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