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Open source nella P.A., ci sara’ un futuro?

26 Luglio 2005 Commenta

In merito alla problematica dell’open source nell’ambito della P.A. abbiamo avuto nel corso degli anni due importanti studi.
Un primo studio dell’AIPA risalente al giugno 2002 “Il software open source: scenario e prospettive” ed uno studio piu’ recente di una specifica commissione nominata dal Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie “Indagine conoscitiva sul software a codice sorgente aperto nella P.A.” il cui rapporto finale risale al maggio 2003.

Quest’ultima indagine ha portato all’emanazione della Direttiva datata 19 dicembre 2003 del Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie “Sviluppo ed utilizzazione dei programmi informatici da parte delle pubbliche amministrazioni”.
Da non ultimo va aggiunta l’emanazione del DPCM del 31 maggio 2005 sulla razionalizzazione in merito all’uso delle applicazioni e servizi informatici che, gia’ esistenti, consentono di ottenere risparmi sui costi poiche’ risultano essere: idonei a soddisfare le esigenze di piu’ amministrazioni; scalabili e trasferibili senza costi aggiuntivi; distribuiti in modalita’ ASP.


Aspetti storici

Gia’ agli inizi del 2000 rappresentanti dell’AIPA, del Ministero della Pubblica Istruzione, dell’ALCEI, e della rivista Interlex sostenevano che lo Stato era troppo dipendente dai prodotti Microsoft contraddistinti da costi piuttosto elevati.

In particolar modo si sosteneva che i prodotti “incriminati” erano soggetti a rapidi aggiornamenti tra l’altro incompatibili con versioni precedenti, cio’ imponeva come logica conseguenza degli onerosi finanziamenti per l’approvvigionamento di nuovo software. Con l’avvento, poi, di Internet la situazione peggiorava ulteriormente considerato il ricorso indiscriminato alle piattaforme di Bill Gates sia come browser che come programmi di gestione.

Questo movimento con il passare del tempo si e’ ulteriormente organizzato fino alla nascita di una vera e propria associazione per la diffusione del software aperto nella Pubblica Amministrazione denominata “Associazione OpenPA”.

Le numerose attivita’ favorevoli all’introduzione del software open source nell’ambito della P.A. hanno prodotto gli effetti voluti ed il Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie, resosi conto di questa importante realta’, ha costituito con decreto firmato il 31 ottobre 2002 una commissione di esperti denominata “Commissione per il software a codice sorgente aperto nella Pubblica Amministrazione”, con l’obiettivo preciso di procedere a un’analisi dettagliata delle opportunita’ per le pubbliche amministrazioni derivanti dal software open source.


I risultati dei lavori della Commissione Ministeriale




In realta’ per quanto i risultati dell’indagine conoscitiva della Commissione siano stati valutati nel complesso positivamente da molti studiosi del settore, tra le righe si intravedono anche alcuni punti oscuri specialmente quando la Commissione a fronte di un’opinione ormai diffusa nel contesto scientifico ed industriale secondo cui e’ riconosciuto da varie parti come l’open source possa essere ritenuto “uno dei possibili strumenti per favorire e sostenere lo sviluppo di una industria italiana ed europea nel settore dell’ICT”, ne ha valutato le argomentazioni a supporto attraverso un confronto con il mondo accademico ed imprenditoriale convergendo sulla posizione comune che “se il software open source puo’ giocare un ruolo importante, lo sviluppo di industrie delle tecnologie dell’informatica e delle comunicazioni in grado di competere a livello mondiale richiede investimenti massicci e continui che contribuiscano a creare una strategia industriale del settore”.


Anche per quanto riguarda l’utilizzo dei software a codice sorgente aperto, l’indagine ha messo in evidenza che, nonostante l’attuale evoluzione tecnologica e qualitativa di tali soluzioni ne abbia favorito la diffusione in alcuni Paesi della Unione Europea i progetti di dimensioni significative restano comunque rari.


Rimane comunque un forte interesse dei governi europei di verificarne i potenziali benefici economici e sociali (basti solo pensare al vertice e-Europe tenutosi a Siviglia, dove si e’ ritenuta opportuna una prima raccomandazione di massima che consigliava ai Paesi membri un maggiore uso nei progetti di e-government dell’open source).


Ma il messaggio della Commissione e’ chiaro non basta parlare bene del software open source e sottolinearne i numerosi vantaggi, ma e’ necessario mettere in atto progetti validi che prevedano l’uso e l’implementazione di questo tipo di software, prendendo come esempio molte aziende leader nell’ Information Technology che da tempo supportano distribuzioni dei propri prodotti di punta su piattaforme software open source o sviluppano offerte commerciali che ne promuovono l’ utilizzo.


In effetti la Commissione pone un freno a quelli che sono sempre stati definiti i vantaggi del software open source:



  • la migliore qualita’ del prodotto open source;

 




  • i costi del software: in quanto specie avuto riferimento al c.d. software a pacchetti, non si puo’ fare riferimento ai soli costi iniziali, ma in generale si deve tener conto del c.d. TCO (Total Cost of Ownership);

 




  • la maggiore sicurezza dei prodotti open source per la possibilita’ di agire sul codice sorgente: difatti sostiene la commissione lo stesso risultato si puo’ ottenere nel software custom con la acquisizione della proprieta’ del codice sorgente, mentre nel software a pacchetti garantendosi contrattualmente l’accesso completo al codice sorgente dell’applicativo almeno ai fini della verifica;

 




  • la manutenzione del software piu’ agevole nei prodotti open source solo avendo riferimento al software a pacchetti, ma non sempre e’ cosi’ in quanto non e’ necessario ai fini della manutenzione del software la conoscenza del solo codice sorgente, ma anche la relativa documentazione;


 




  • la facilita’ di gestione;


 




  • la maggiore facilita’ di accesso ai dati e distribuzione delle informazioni: anche in questo caso la Commissione ritiene che le relative difficolta’ possono essere risolte definendo opportune norme che rendano obbligatoria la distribuzione delle informazioni attraverso almeno un formato aperto, di cui sia fornita adeguata documentazione (per esempio, schema o DTD nel caso di XML);


 




  • l’interoperabilita’ e cooperazione applicativa: secondo la Commissione i problemi critici per l’interoperabilita’ sono da un lato l’utilizzo di standard tecnologici aperti e dall’altro la definizione concordata di standard applicativi comuni. Entrambi i problemi sono sostanzialmente indipendenti dal fatto che il codice sia OS.

Queste argomentazioni della Commissione si pongono in netto contrasto con la relazione dell’anno precedente dell’AIPA molto piu’ orientata verso un avvicinamento indiscriminato al mondo open source.
Difatti l’Autorita’ nell’elencare i vantaggi e gli svantaggi del software open source poneva decisamente l’accento sui numerosi vantaggi senza porsi i dubbi della Commissione:



  • basso costo iniziale e maggiore flessibilita’ nell’impiego delle risorse economiche disponibili;


  • indipendenza dai fornitori;


  • maggiore sicurezza;


  • maggiore flessibilita’;


  • interoperabilita’;

Tra gli svantaggi, invece, l’AIPA considerava:




  • la bassa compatibilita’ con standard commerciali;


  • supporto non garantito;


  • portabilita’ non garantita;


  • mercato instabile;


  • carenza di applicazioni business;


  • carenza di drivers.

Come si puo’ ampiamente notare i c.d. difetti menzionati dall’Autorita’ erano tutti riconducibili alla scarsa diffusione dei programmi oss. Gia’ oggi la situazione e’ in parte migliorata.


La Direttiva

La direttiva sull’open source prevede innanzitutto un’ analisi comparativa delle soluzioni in quanto dispone che le Pubbliche amministrazioni acquisiscano programmi informatici sulla base di valutazione comparativa tecnica ed economica tra le diverse soluzioni disponibili sul mercato, tenendo conto della rispondenza alle proprie esigenze, ma anche della possibilita’ di poter sviluppare programmi informatici specifici e del riuso da parte di altre amministrazione dei programmi informatici sviluppati ad hoc.

Tra le valutazioni di tipo tecnico ed economico vanno contemperati anche il costo totale di possesso delle singole soluzioni e del costo di uscita, ma anche del potenziale interesse di altre amministrazioni al riuso dei programmi informatici.

Nel caso di acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante il ricorso a licenze d’uso, le amministrazioni si debbono contrattualmente assicurare che, qualora il fornitore non sia piu’ in grado di fornire supporto, il codice sorgente e la relativa documentazione vengano resi disponibili o almeno ceduti al fornitore.

Le Pubbliche amministrazioni nell’acquisto dei programmi informatici dovranno privilegiare le soluzioni che: assicurino l’interoperabilita’ e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della Pubblica amministrazione, salvo che ricorrano peculiari ed eccezionali esigenze di sicurezza e di segreto; rendano i sistemi informatici non dipendenti da un unico fornitore o da un’unica tecnologia proprietaria; garantiscano la disponibilita’ del codice sorgente per l’ispezione e la tracciabilita’ da parte delle Pubbliche amministrazioni; esportino dati e documenti in piu’ formati, di cui almeno uno di tipo aperto.

Nel caso di programmi informatici sviluppati ad hoc, l’amministrazione committente ne acquisisce la proprieta’ dato che ha contribuito con le proprie risorse all’identificazione dei requisiti, all’analisi funzionale, al controllo ed al collaudo del software realizzato dall’impresa fornitrice.

Le Pubbliche amministrazioni, inoltre, si assicurano contrattualmente la possibilita’ di trasferire la titolarita’ delle licenze dei programmi informatici acquisiti nelle ipotesi in cui all’amministrazione che ha acquistato la licenza ne subentri un’altra nell’esercizio delle stesse attivita’.
Per favorire il riuso dei programmi informatici di proprieta’ delle amministrazioni, nei capitolati e nelle specifiche di progetto dovra’ essere previsto che i programmi sviluppati ad hoc siano facilmente esportabili su altre piattaforme. Inoltre nei contratti di acquisizione di programmi informatici sviluppati per conto e a spese delle amministrazioni, le stesse includono clausole che vincolano il fornitore a mettere a disposizione servizi che consentano il riuso delle applicazioni.


Considerazioni

Come e’ noto la pubblica amministrazione italiana sta attraversando un periodo particolare contraddistinto dalla rapida diffusione delle nuove tecnologie nei processi organizzativi della stessa P.A.
Recentemente e’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il codice dell’amministrazione digitale che mette al centro l’idea del diritto del Cittadino ad una amministrazione amica ed efficiente, ed e’ frutto di una difficile opera di riscrittura in chiave moderna di tutte le norme che hanno attinenza, diretta o indiretta, con l’utilizzo dell’ICT nell’azione amministrativa e nei rapporti tra i privati.
Diverse sono le novita’ di questo codice che impone tutta una serie di obblighi alle pubbliche amministrazioni come quello di scambiarsi on-line i dati relativi alle pratiche di cittadini ed imprese, evitando il peregrinaggio da un ufficio all’altro per ottenere documenti e certificati, o di dover aspettare mesi affinche’ si svolga, come avviene ora, il trasferimento cartaceo delle pratiche tra le varie amministrazioni pubbliche.
Le stesse Pubbliche Amministrazioni dovranno utilizzare la posta elettronica per lo scambio di documenti ed informazioni, verificandone la provenienza ed avranno l’obbligo di adottare, a partire dal 1° gennaio 2007, quale unico standard di accesso ai servizi erogati on-line esclusivamente la Carta d’Identita’ Elettronica e la Carta Nazionale dei Servizi.

Nell’ottica di un sempre maggiore sviluppo degli uffici digitali il Codice prevede la facolta’ di conservare su supporti informatici i documenti degli archivi, le scritture contabili, la corrispondenza ed ogni atto, dato o documento, con conseguente enorme risparmio di spazio e abbattimento degli oneri connessi. I cittadini e le imprese potranno accedere ai documenti e partecipare al procedimento amministrativo grazie all’uso dei nuovi strumenti informatici. Essi avranno, inoltre, il diritto di trasmettere documenti alla Pubblica Amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico, purche’ sia accertata la fonte di provenienza.
L’obiettivo finale deve essere quello di una Pubblica Amministrazione digitale, con protocollo informatizzato, posta certificata e soprattutto trasparenza dell’iter burocratico verso l’esterno. In questo modo, difatti, anche cittadini e imprese, collegandosi in rete ai siti della Pubblica Amministrazione, avranno la possibilita’ di verificare lo stato delle pratiche.

E’ questa l’idea di fondo dell’e-government e cioe’ la realizzazione di un grande processo di innovazione tecnologica che coinvolga tutto il sistema pubblico italiano mettendolo cosi’ sullo stesso piano rispetto a quello di altri paesi piu’ progrediti nelle nuove tecnologie della comunicazione.
Ma per realizzare un simile processo c’e’ bisogno di una serie di condizioni che rendano possibile l’integrazione fra le diverse attivita’ e funzioni delle varie pubbliche amministrazioni e la loro fruibilita’ da parte dei cittadini.
Appare evidente, quindi, che per realizzare gli obiettivi del cd. “governo elettronico” e’ necessario che si completi quel processo gia’ in atto presso la P.A. che tende ad ottenere una maggiore efficacia, efficienza, trasparenza e semplicita’ dell’azione amministrativa grazie all’interazione di un insieme di requisiti infrastrutturali che a livello progettuale non sono riconducibili a una singola amministrazione ma al sistema di relazioni che intercorrono fra le stesse e sono al servizio del cittadino.

Tali necessita’ infrastrutturali sono:




  • tutte le pubbliche amministrazioni devono essere in condizione di accettare forme di pagamento in rete anche tramite intermediari (carte di credito, bonifici telematici, ecc.);


  • ogni pubblica amministrazione deve avere il diritto di chiedere e ottenere, per via telematica e a costo marginale, qualunque informazione posseduta da un’altra pubblica amministrazione;


  • lo scambio di informazioni e di atti fra pubbliche amministrazioni deve avvenire solo per via telematica.

In tale ottica la c.d. interoperabilita’, intesa come l’esistenza di standard di interfaccia tra le Amministrazioni che consentano comunicazioni efficienti e trasparenza verso l’esterno, assume una rilevanza fondamentale. Ed in termini di interoperabilita’ il software open source e’ sicuramente piu’ adatto del software proprietario.
Lo scambio di dati e funzioni tra prodotti diversi implica difatti, in generale, la realizzazione di interfacce, e in caso di software proprietario solo chi detiene il codice sorgente puo’ realizzare tali interfacce. Indubbiamente, come sostenuto anche dalla Commissione l’uso di un formato aperto per condividere documenti e/o file non e’ tecnicamente legato all’open source: software proprietari possono in teoria utilizzare comunque formati standard.

Tuttavia, per i produttori di software proprietario, l’uso di formati chiusi e’ una politica commerciale che puo’ portare vantaggi.
Si pensi ai formati di Microsoft Office, che impongono di fatto uno standard a cui gli utenti devono adeguarsi, per cui ad esempio un utente e’ costretto ad acquistare la nuova versione di Excel (o di PowerPoint, o di Access) per poter collaborare con altri utenti che usano la nuova versione.

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