La PEC e le disposizioni in materia di amministrazione digitale: problemi interpretativi e contraddizioni
1. Quadro generale introduttivo
Il processo d’informatizzazione pubblica, com’e’ noto, ha ormai una storia lunga e complessa, che si cerchera’ di analizzare in questo studio. Le sue tappe fondamentali, nel piu’ recente periodo, sono finalmente segnate (dopo mille dispersioni d’esperienze e di risorse) da una serie di numerosi interventi normativi che, a partire dalla legge 400/1988, di riforma della Presidenza del Consiglio, e dal d.lgs. 322/1989, di riforma dell’ISTAT, hanno cercato di favorire un potenziamento non solo quantitativo ma anche qualitativo dell’informatica pubblica.
In effetti negli ultimi anni si e’ registrata una crescente automazione nel settore dei servizi: ogni comparto della produzione si e’ ristrutturato per meglio sfruttare le risorse dell’elaboratore elettronico. Anche la Pubblica Amministrazione, quindi, come un’impresa di servizi, e’ stata investita dal fenomeno dell’automazione.
L’apparato statale presenta pero’ caratteristiche funzionali (ed anche disfunzionali) che lo differenziano profondamente dal settore privato dei servizi. Esso e’ infatti regolato da disposizioni che quasi sempre hanno carattere di legge formale cui non e’ quindi possibile derogare, anche se la deroga consentirebbe di migliorare il funzionamento dell’ufficio.
Questa rigidita’ di struttura porta a conflitti fra realta’ e amministrazione. Infatti per tenere il passo con lo sviluppo generale della societa’, anche la Pubblica amministrazione si avvale degli elaboratori elettronici ma, come l’esperienza del settore privato insegna, la razionalizzazione introdotta dall’automazione esige modifiche profonde della struttura aziendale. Ora, se da un lato la fusione di piu’ uffici, la creazione di nuovi servizi e perfino la ristrutturazione dell’intero flusso di dati non presenta problemi formali in un’impresa privata, dall’altro nella Pubblica Amministrazione le medesime operazioni divengono invece complicate perche’ ogni mutamento strutturale urta contro inderogabili prescrizioni legislative.
2. Difficolta’ nella disciplina normativa delle nuove tecnologie: esempi
Da cio’ l’incredibile attivita’ del nostro legislatore che per risolvere questi evidenti problemi di adeguamento ha cercato di disciplinare l’introduzione di nuove tecnologie in maniera troppo dettagliata con un approccio di carattere tecnicistico che mal si concilia con quelle naturali caratteristiche di generalita’ ed astrattezza delle disposizioni legislative.
Contrastate ed in parte vanificate da una serie di controtendenze, palesi e occulte, queste varie e pur meritevoli iniziative legislative hanno pero’ conseguito finora esiti poco apprezzabili, rendendo indispensabili nuovi e complessi interventi normativi e organizzativi che non sempre riescono nell’intento di migliorare e consolidare il quadro giuridico dell’innovazione.
In effetti l’avverarsi della “societa’ globale dell’informazione”, con l’universalita’ e l’interoperabilita’ delle infrastrutture e dei servizi, rende del tutto inadeguati gli approcci settoriali via via seguiti nell’affrontare il tema “informatica e pubblica amministrazione” e impone una visione d’insieme delle varie problematiche giuridiche ad esso attinenti e delle loro reciproche relazioni.
Appare evidente che la vera rivoluzione nell’organizzazione del lavoro amministrativo pubblico si avra’ con la completa introduzione dell’ atto elettronico propriamente detto, ossia riconoscendo piena validita’ giuridica dell’atto amministrativo in forma elettronica. Riconoscendo, difatti, valore giuridico all’atto amministrativo nella sua forma elettronica, si otterra’ quale principale e rivoluzionario effetto quello di renderlo disponibile in rete, senza confini di distanza, con possibilita’ di strutturare flussi di lavoro (workflow) sempre in forma elettronica, impostando una pratica amministrativa unica, a perfezionamento progressivo, qualunque sia il numero degli uffici o delle amministrazioni interessate (teleamministrazione).
Gia’ il d.lgs. n. 39/1993, che possiamo definire il primo grande intervento normativo in tema di informatizzazione della pubblica amministrazione, aveva indubbiamente presente sia l’atto in forma elettronica, sia l’atto ad elaborazione elettronica. Difatti l’espressione di cui all’art. 3 “gli atti amministrativi adottati da tutte le Pubbliche Amministrazioni sono di norma predisposti tramite i sistemi informativi automatizzati” si riferisce certamente ad entrambi. Ma la vera consacrazione della validita’ giuridica del documento elettronico cosi’ inteso (rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti), si e’ avuta a seguito di ulteriori interventi normativi di portata generale come la legge 537/93 ed ancor di piu’ grazie all’art. 15 della legge n. 59/97.
Le difficolta’ sono sorte dopo e cioe’ quando una volta stabilito il principio generale della validita’ del documento informatico, si e’ reso necessario disciplinare, le modalita’ di attuazione di questo principio e, in particolare, le condizioni tecniche e giuridiche che consentono di attribuire con certezza il documento informatico al suo autore.
Purtroppo con il DPR del 10/11/97 n. 513 si e’ dato inizio ad una serie interminabile di provvedimenti legislativi e regolamentari che hanno avuto il solo effetto di far nascere dubbi anche sulla portata dello stesso principio generale che doveva rimanere incontestato. Sono ormai note le vicende della firma digitale che a seguito dell’introduzione del quadro comunitario delle firme elettroniche ha visto in pericolo la propria leadership in materia di firme di nuova generazione, per poi ritornare prepotentemente alla ribalta dopo innumerevoli interventi legislativi culminati con il codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005) a sua volta gia’ modificato dal d.lgs. n. 159/2006, dalla legge 244/2007, dalla legge n. 2/2009, dalla legge n. 69/2009, dalla legge n. 102/2009 ed in procinto di essere ulteriormente modificato da interventi normativi gia’ annunciati.
Ma cio’ che e’ successo con la firma digitale si sta gia’ ripetendo in tanti altri settori del vasto mondo delle nuove tecnologie dove appare impossibile una chiara ed univoca disciplina legislativa. Ma non si diceva che l’approccio del legislatore in tema di ICT doveva essere tecnologicamente neutro? Evidentemente non e’ cosi’, basta vedere ad esempio cio’ che e’ successo con la Posta Elettronica Certificata e quindi con l’intero sistema di trasmissione dei documenti informatici.
La Posta Elettronica Certificata (PEC) e’ stata originariamente disciplinata dal D.P.R. n. 68 dell’11 febbraio 2005 (regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3) e successivamente dal Decreto del Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie del 2 novembre 2005 che ha dettato le “Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata”.
Successivamente e’ stato emanato l’art. 16-bis del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009 n. 2, recante “Misure urgenti per il sostegno alle famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale” che ha disposto che per favorire la realizzazione degli obiettivi di massima diffusione delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni previsti dal codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ai cittadini che ne fanno richiesta e’ attribuita una casella di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e l’integrita’ del contenuto delle stesse, garantendo l’interoperabilita’ con analoghi sistemi internazionali.
Il conseguente D.P.C.M. del 6 maggio 2009 (Disposizioni in materia di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini) ha previsto che al cittadino che ne fa richiesta la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie, direttamente o tramite l’affidatario del servizio, assegna un indirizzo di PEC (denominata a seguito di gara internazionale CEC-PAC).
Infine l’art. 34 della legge n. 69/2009 ha aggiunto all’art. 6 del CAD il comma 2-bis che prevede la facolta’ delle pubbliche amministrazioni regionali e locali di assegnare ai cittadini residenti caselle di posta elettronica certificata atte alla trasmissione di documentazione ufficiale.
Lo stesso art. 34 integra l’art. 54 del CAD prevedendo altri due commi. Il primo dei quali (comma 3-bis) sancisce l’obbligo delle pubbliche amministrazioni di pubblicare sui propri siti istituzionali entro il 30 giugno 2009 un indirizzo di posta elettronica certificata a cui il cittadino possa rivolgersi per qualsiasi richiesta ai sensi del CAD (comma 3-bis). L’altro comma (4-bis) dispone che entro il 31 dicembre 2009 le amministrazioni pubbliche devono pubblicare sui propri siti il registro dai processi automatizzati rivolti al pubblico.
Come appare evidente con tanti interventi normativi e diciamo anche organizzativi si e’ ottenuto il risultato di fare addirittura confusione tra la PEC e la CEC-PAC, inoltre a questo punto si nutrono dubbi sull’ulteriore evoluzione e diffusione dello strumento elettronico, nonostante il recento impulso del Ministro Brunetta.
3. Analisi del problema e soluzioni
Ma a questo punto ci si domanda: perche’ il legislatore non riesce a disciplinare in maniera organica ed esauriente e principalmente con pochi provvedimenti le nuove tecnologie? Perche’ si persevera nel seguire questa fallimentare politica legislativa?
Indubbiamente non puo’ essere sottaciuta l’enorme difficolta’ di accostamento ad una materia come le nuove tecnologie che spesso impone un totale cambiamento di mentalita’ e quindi il doppio sforzo di considerare gli inevitabili risvolti giuridici ed organizzativi legati all’introduzione di un nuovo strumento.
Ad esempio nel mondo “tangibile” della carta scritta, e’ la sottoscrizione autografa apposta dal privato in calce al documento che esprime sino a prova contraria il consenso del firmatario sul contenuto dell’atto sottoscritto, per quanto riguarda invece il documento informatico, per attribuire con certezza lo stesso al suo autore si fa ricorso alla cd. firma elettronica che utilizza gli strumenti della moderna crittografia.
Ma al di la’ di questa ineccepibile premessa esistono tanti altri elementi che testimoniano un approccio non proprio ideale del legislatore nel mondo ICT.
Le motivazioni sono molteplici: talune riconducibili ad aspetti di carattere normativo, altre a problematiche di carattere tecnico-organizzativo, altre ancora a questioni di carattere economico.
Aspetti di carattere normativo
1. Molte norme per quanto prevedano il rispetto di tempi ben precisi a carico di enti pubblici per l’introduzione di strumenti innovativi non prevedono adeguate sanzioni in caso di inosservanza.
2. Talvolta l’introduzione di strumenti innovativi e’ dovuta ad interventi di carattere legislativo (come ad esempio disposizioni di leggi finanziarie) che sono completamente avulsi dalla realta’ organizzativa degli enti pubblici e quindi rischiano di rimanere vuote previsioni senza alcuna portata concreta.
3. Alcune disposizioni di carattere squisitamente tecnico come ad esempio quelle che disciplinano la firma elettronica, la dematerializzazione dei documenti cartacei risultano spesso di difficile interpretazione ed inevitabilmente le difficolta’ ermeneutiche ne pregiudicano l’applicazione.
Aspetti di carattere tecnico-organizzativo
1. Spesso l’introduzione di strumenti innovativi richiede un necessario adeguamento di procedure amministrative (reingegnerizzazione dei processi) che talvolta comporta inevitabili difficolta’ di carattere organizzativo.
2. La realta’ degli enti pubblici e’ ancora troppo variegata e spesso ci si trova di fronte a gravi sperequazioni: si passa da uffici perfettamente informatizzati ad uffici in totale stato di abbandono. In ambito ministeriale spesso accade di trovare questi evidenti divari digitali tra uffici centrali ed uffici periferici. Non dimentichiamo che la RUPA ha avuto problemi di sviluppo anche per questi motivi.
Aspetti di carattere economico
1. L’alfabetizzazione informatica continua ad essere un problema ed oggi come oggi va adeguata anche all’introduzione di nuove tecnologie. Necessitano quindi cospicui investimenti in questo settore che devono avere per oggetto non solo i mezzi ma anche gli uomini.
2. La dirigenza pubblica continua a considerare l’innovazione come uno dei tanti problemi da affrontare e non come un nodo centrale da sciogliere. La programmazione economica di ogni Ministero dovrebbe tener conto dell’informatizzazione come presupposto fondamentale ai fini della realizzazione di obiettivi di carattere generale.
Anche il famoso piano e-gov 2012, che e’ stato annunciato con tanto clamore e che fondamentalmente ripropone le linee fondamentali del famoso piano del 2000 lanciato da Franco Bassanini concentrandosi in particolare su alcuni settori (scuola, sanita’, giustizia, enti locali), rischia a questo punto di ottenere gli stessi magri risultati se non vengono affrontate e risolte le problematiche sopra evidenziate.
Basta del resto dare un’occhiata alla Rete per capire che i famosi servizi on-line promessi gia’ tanti anni fa sono del tutto carenti e poche, davvero poche, sono le punte di eccellenza che rimangono purtroppo un’eccezione e non la regola.
Michele Iaselli
Scritto da Redazione StudioCelentano.it
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