La diffusione di filmati hardcore scambiati attraverso Internet e’ una realta’ sempre piu’ presente in rete. Sta di fatto, pero’, che una gran parte di questi “scottanti” materiali viene distribuita senza il consenso dei titolari dei relativi diritti. Quali sono le implicazioni fra la libera circolazione di simili prodotti e il buon costume? Qual e’ il senso comune del pudore in rete?
London, UK – Sono sempre piu’ consistenti i materiali a contenuto hardcore che si scambiano attraverso la rete, soprattutto mediante l’uso di sistemi di peer-to-peer. La gratuita’ e la facilita’ di accesso a questi contenuti generano fenomeni sociali del tutto nuovi. In particolare, secondo uno studio svolto in Gran Bretagna, l’attrazione per la produzione di registrazioni hardcore amatoriali (e la relativa diffusione in rete) sta crescendo in maniera esponenziale.
Secondo la societa’ Euromonitor, il 10 percento delle case inglesi sarebbe dotato di almeno una telecamera e, pertanto, appare molto probabile che questa possa essere utilizzata in tal senso. Siamo di fronte, dunque, a un nuovo fenomeno sociale studiato non solo da psicologici e sessuologi, ma che interessa anche i giuristi che si occupano del Diritto dell’Informatica.
Cosa accade, infatti, se anche solo uno dei protagonisti di un siffatto filmati non acconsenta piu’ alla diffusione gratuita in rete delle proprie performances sessuali? Situazioni del genere non sono affatto infrequenti, come si potrebbe pensare. Celebri sono le recenti cause proposte da famosi personaggi (come Jennifer Lopez, Jordan e Ulrika Jonsson), allo scopo di sopprimere la circolazione di simili materiali che li hanno visti per soggetti attivi.
Ebbene, in questi casi, e’ tecnicamente difficile (se non impossibile) impedire non solo la diffusione, ma anche l’attivita’ di copia dei filmati, poiche’ la rete – si sa – porta alla generazione di infinite copie fra tutti i suoi utenti. Bisogna concludere, dunque, che i titolari di queste registrazioni, pur avendone pieni diritti all’utilizzo e alla eliminazione dal mercato non possono essere tutelati, cosi’ come afferma la legge.
Sarebbe opportuno, pertanto, filtrare tali contenuti e, quindi, effettuare operazioni preventive che limitino i casi di diffusione di questi materiali, soprattutto se vi sono minori in rete.
Ma in questo caso ci si scontrerebbe con il principio di libera manifestazione del proprio pensiero, contemplato nelle Costituzioni dei principali ordinamenti giuridici mondiali democratici.
E’ possibile giungere, allora, a un equilibrio fra il pudore e la libera circolazione di tali contenuti in rete?
Il fenomeno della circolazione di materiale hardcore in rete solleva (oltre a implicazioni sociologiche notevoli, come gia’ accennato sopra) conseguenze giuridiche di non facile soluzione.
Qual e’ il limite fra buon costume/oscenita’ e libera manifestazione del proprio pensiero in rete? Si puo’ fondatamente ritenere che il significato di comune senso del pudore sia cambiato proprio con l’avvento di questa nuova tecnologia?
Per cercare di fornire qualche risposta a tali domande e’ opportuno soffermarsi brevemente sul significato del c.d. pudore. Esso e’ “il sentimento dell’uomo normale, intendendosi per tale l’individuo che, avendo raggiunto la maturita’ sul piano etico e psichico, e’ alieno cosi’ dalla fobia come dalla mania per il sesso e, nell’accettare il fenomeno sessuale come dato fondamentale della persona umana, non ne fa tuttavia un mito” (Cass. 136914/76).
Ma proprio perche’ il pudore e’ un concetto relativo, che muta col trasformarsi della coscienza sociale, cioe’ della generalita’ dei consociati, si puo’ ritenere che – oggi – la comunita’ del web ritenga non piu’ cosi’ osceni alcuni materiali ivi diffusi? Il significato degli artt. 527-8-9 c.p. (“Delle offese al pudore e all’onore sessuale”) potrebbe subire una attenuazione per via di questo “mitigato” senso del comune pudore?
Negli USA questi interrogativi sono gia’ stati da tempo analizzati e un punto di arrivo e’ stata l’emanazione di una legge (il Communication Decency Amendement del 1996), in cui si regolavano una serie di tutele per i minori che, navigando, potessero imbattersi in materiale osceno. Pur avendo cercato di arginare in qualche modo l’offensivita’ dei contenuti hardcore sul web, il legislatore americano ha dovuto fare i conti con il principio enunciato dal primo emendamento alla Costituzione statunitense sulla liberta’ di manifestazione del pensiero. Infatti, il 26/6/97, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato incostituzionale questa normativa (per maggiori approfondimenti, si veda Paciullo, “La tutela del navigatore in Internet”, Giuffre’, 2002).
Si puo’ affermare, dunque, che il diritto alla liberta’ di espressione del proprio pensiero superi in importanza anche altri valori di non esiguo rilievo (fra cui la protezione dei minori da immagini oscene), ma bisogna precisare che sarebbe necessario indagare caso per caso ciascuna circostanza si presenti all’interprete, per comprendere fino a che punto si possa ritenere “allargato” il significato del termine pudore nel contesto del “web” internazionale.
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