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OPEN SOURCE: Un modello per la musica

9 Luglio 2002 Commenta

Alcuni ipotizzano che il modello open source, fino ad oggi utilizzato solo peri software, possa produrre effetti positivi anche in ambiti diversi dal software. Altri ritengono, invece, che alla musica ed ai libri questo modello non si confaccia per niente. L’unica cosa certa, per ora, e’ che per evitare guai con il copyright conviene sottoscrivere delle licenza per l’uso della musica.

Solo pochi anni fa, in piena rivoluzione digitale, il problema della protezione dei contenuti nella rete sembrava di poco conto ed inattuale. Oggi, invece, e’ forse il problema su cui piu’ si concentra l’attenzione di governi, imprese e giuristi. In particolare, Internet, in ragione della sua peculiarita’ di facilitare in modo sorprendente la diffusione delle opere dell’ingegno, ha messo in pericolo la protezione delle stesse, rappresentando al tempo stesso una grande opportunita’ ed un rischio per gli autori e per i produttori. Opportunita’ perche’ consente una sempre maggiore diffusione, pericolo per il fatto che la tecnologia, permettendo di eludere il diritto d’autore, pregiudica la remunerazione di autori, editori, produttori, artisti-esecutori.

I meccanismi messi in atto per cercare di vendere musica su Internet non hanno ottenuto grandi risultati, dato che il pubblico e’ sempre piu’ orientato verso siti che consentono il libero scambio e non sono disposti a pagare, neppure cifre bassissime.

Tutto cio’ giova ai sostenitori del movimento “open source”, ovvero della libera circolazione delle opere dell’ingegno. L’idea dell’open source, consiste nel dare il permesso di modificare un programma o un testo, di distribuirlo e di pubblicarne una versione perfezionata, ma di obbligare chiunque benefici di questa possibilita’ di rendere successivamente copiabile e distribuibile il risultato.

L’idea e’ dunque quella di mantenere una tutela della paternita’ dell’opera, autorizzando al tempo stesso la sua libera circolazione. L’applicazione di questa filosofia al mondo del software presenta alcuni vantaggi innegabili. In particolare, la libera circolazione di un programma consente a tutti di studiarlo e di intervenire su di esso per migliorarlo.

Ma le aziende informatiche non sono le sole a sigillare la conoscenza e a renderla disponibile solo a chi e’ pronto a pagare. Tant’e’ vero che, ad esempio, anche ogni volta che acquistiamo un CD paghiamo per avere accesso alla proprieta’ intellettuale di qualcun altro. Non sorprende, pertanto, che i sostenitori dell’open source si siano chiesti se i loro metodi non funzionassero anche con altri prodotti. Uno dei bersagli e’ proprio l’industria musicale e, in prima linea nel campo di battaglia, c’e’ l’Electronic Frontier Foundation, Eff, un gruppo di San Francisco teso alla difesa delle liberta’ civili nell’era della societa’ digitale, che, nel 2001 ha lanciato un modello denominato “Open Audio License” – OAL- . I musicisti che distribuiscono le loro canzoni sotto un regime di OAL consentono che il materiale sia copiato, eseguito, rimaneggiato e ridistribuito secondo la stessa licenza. A detta dei membri dell’Eff, “se ci sono persone a cui queste canzoni piacciono, sosterranno l’artista per assicurare che continui a produrre musica”.

Probabilmente, e’ ancora presto per giudicare se l’OAL avra’ successo, ma appare plausibile il dubbio che parte della forza dei programmi open source non possa essere applicata alla musica. Nell’informatica, l’open source permette agli utenti di migliorare i programmi eliminando gli errori e le parti del codice inefficienti, ma non e’ chiaro come questo possa avvenire con la musica. In realta’, le canzoni non sono open source. Tant’e’ vero che, i files disponibili su openmusicregistry.org, il sito musicale dell’Oal, finora, sono tutti in formato MP3 e Ogg-Vorbises che permettono di ascoltare la musica ma non di modificarla.

E’ lecito chiedersi allora perche’ mai un artista di successo dovrebbe mettere in circolazione le sue canzoni sotto un regime di Oal. Molti gruppi hanno protestato per come gli utenti di Napster distribuissero le canzoni a loro insaputa. Appare pertanto difficile che gli stessi possano ora consentire la distribuzione senza limiti o permettere a degli estranei di armeggiare con la loro musica.

L’open audio potrebbe costituire pur sempre una buona opportunita’ per artisti sconosciuti di farsi conoscere. Difficile dire quale sara’ il futuro della musica anche se leggi e direttive, tra cui la “Direttiva sul diritto d’autore e sui diritti connessi nella societa’ dell’informazione”, recentemente approvata dalla Commissione europea o il “Digital Millenium Copyright Act” emanato negli Usa nel 1998, impongono sempre piu’ insistentemente il rispetto dei diritti d’autore..

In Italia la SIAE (
www.siae.it) ha provveduto a mettere a disposizione di chi utilizza musica uno strumento che consente di farlo in modo legale. Si tratta della “licenza multimediale”, grazie alla quale i provider che intendono diffondere in rete opere musicali tutelate possono ottenere l’autorizzazione a farlo sena correre rischi. La licenza, valida per le utilizzazioni on line del repertorio musicale tutelato dalla Siae, presenta due elementi distintivi di fondo: la garanzia di un ritorno economico per gli aventi diritto (autori ed editori) con possibilita’ di verifiche da parte della stessa Siae, nonche’ una buona dose di flessibilita’ in sintonia con i nuovi modelli della new economy, al fine di evitare che le imprese debbano troppo spesso chiedere modifiche o integrazioni relative al pagamento dei diritti, in conseguenza del rapido evolversi delle tecnologie.

L’innovazione principale e’ quella di distinguere tra chi fa un uso intensivo della musica su cui basa il proprio business -ad esempio, un sito che distribuisce musica – e chi, invece, utilizza la musica in modo limitato, come elemento complementare offerto ai visitatori del sito. Il suo maggiore difetto e’, probabilmente, il costo che non e’ certo accessibile a tutti.

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