EDITORIAL: La responsabilita’civile del medico; Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: distinzione e tentativi di superamento
Le due ipotesi di responsabilità per danni che qui interessano, quella contrattuale e quella extracontrattuale, sono tradizionalmente distinte e contrapposte per la differente disciplina che le caratterizza, anche se non mancano in dottrina tentativi di superamento della distinzione in oggetto.
Accennerò brevemente alla distinzione per chiarire i punti della successiva analisi.
Si ha illecito extracontrattuale -o aquiliano, dal nome della Lex Aquilia che disciplinava nel diritto romano tale responsabilità – quando sussista la violazione di un diritto o di una situazione giuridica tutelata in modo assoluto -erga omnes-, mentre si ha responsabilità contrattuale -o da inadempimento- quando ci si trovi al cospetto della violazione di un diritto relativo .
Si deve tenere presente che comunque l’espressione Qcontrattualef, riferita alla seconda delle due ipotesi di responsabilità , non deve far pensare alla necessaria sussistenza di un contratto, integrandosi gli estremi della categoria di responsabilità in oggetto anche quando si verifichi comunque l’esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio, a prescindere dalla fonte dell’obbligo violato: delitto, contratto, atto unilaterale, o altro.
Peraltro, la chiarezza della distinzione parrebbe offuscata dal costante estendersi della sfera di responsabilità contrattuale , soprattutto quando si ponga attenzione agli artt. 1374 e 1375 cod. civ. , che rispettivamente disciplinano l’integrazione del contenuto obbligatorio del contratto -relativa alle conseguenze derivanti dalla legge, o in mancanza dagli usi e dall’equità – nonché l’esecuzione secondo buona fede. Nella misura in cui quest’ultima risulta decisiva per la determinazione del contenuto dell’obbligazione, risulta agevole apprezzarne il contributo alla forza espansiva della relativa responsabilità ex contractu.
Le rilevanti differenze di disciplina che si sogliono ricollegare alla succitata distinzione, abbracciano sia l’onere della prova che il termine prescrizionale della relativa azione di responsabilità , nonché gli effetti giuridici relativi al risarcimento del danno.
Quanto alla prima delle tre differenze, l’onere della prova nell’illecito contrattuale è caratterizzato dalla presunzione di colpa nel caso d’inadempimento, superabile solo ove il debitore provi che l’inadempimento o il ritardo non sono a lui riferibili per impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Pertanto all’attore sarà chiesto di provare il suo credito e la scadenza dell’obbligazione, mentre sarà il debitore che dovrà dimostrare l’impossibilità della prestazione per una causa a lui non imputabile per potersi liberare da responsabilità . Nell’illecito extracontrattuale l’onere della prova non è caratterizzato dalla presenza della presunzione, ma dall’osservanza della regola di principio secondo la quale l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa spetta a colui che l’avanza: è su colui che pretende il risarcimento dei danni che grava il relativo onere. Cosicché l’attore dovrà provare che il comportamento del convenuto gli ha provocato un danno e che tale comportamento è stato caratterizzato da dolo o colpa (salvi i casi di c.d. responsabilità aggravata o per fatto altrui) .
Venendo ora alla seconda delle differenze succitate, in specie quella inerente al termine prescrizionale, l’azione di responsabilità per l’illecito extracontrattuale si prescrive in cinque anni, mentre quella per l’inadempimento dell’obbligazione nell’ordinario termine decennale.
Quanto alla determinazione del danno risarcibile, vi è un ulteriore differenza da apprezzare, ricollegata al mancato richiamo, nell’art. 2056 cod. civ. , dell’art. 1225 cod. civ. Infatti l’art. 2056, disciplinante la valutazione dei danni nell’illecito extracontrattuale, richiama al I c. le disposizioni degli artt. 1223, 1226 e 1227 cod. civ. , relativi rispettivamente alla configurazione del risarcimento del danno emergente e del lucro cessante in quanto conseguenza immediata e diretta, la valutazione equitativa del giudice in mancanza della possibilità di provare il danno nel suo esatto ammontare, la proporzionale diminuzione del risarcimento dovuto per concorso colposo del creditore nonché, infine, l’esclusione del diritto al risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
E’ agevole pertanto notare, in questo breve excursus dei criteri di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, richiamati dall’art. 2056 cod. civ., la mancanza dell’ulteriore criterio della prevedibilità del danno di cui all’art. 1225 cod. civ., secondo il quale il risarcimento è limitato al danno prevedibile nel tempo in cui è sorta l’obbligazione ove l’inadempimento o il ritardo non dipendano dal dolo del debitore. Sicché la limitazione ai danni prevedibili fissata dalla norma appena richiamata, non si applica all’illecito extracontrattuale; con riguardo a quest’ultimo la valutazione del danno risente piuttosto dell’esatta configurazione del criterio di causalità tra l’atto e l’evento dannoso, sul quale si svolgeranno osservazioni più approfondite nel paragrafo relativo.
Peraltro, secondo alcuni , nell’ottica di una tesi di parziale vanificazione delle consistenti differenze di disciplina tra le due forme di responsabilità , la formulazione dell’art. 1225 cod. civ. consentirebbe, nonostante il suo mancato richiamo ad opera dell’art. 2056 cod. civ., l’estensione della norma anche all’illecito aquiliano sulla base della sussistenza dell’identità di ratio. A sostegno di tale argomentazione si cita anche il caso dell’affermata applicabilità dell’art. 2236 cod. civ. all’illecito extracontrattuale , precisando che il mancato esplicito richiamo della norma non significa l’affermazione dell’assoluta impossibilità di applicazione della norma stessa, non costituendo ostacolo insormontabile la semplice mancata indicazione.
A prescindere dall’accennata contrapposizione dottrinale sull’asserita possibilità di superamento della distinzione tradizionale tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, nel segno dell’auspicabile uniformità di disciplina, e venendo ad un ulteriore profilo attinente al tema di fondo, si discute in dottrina e in giurisprudenza sulla configurabilità del concorso delle due responsabilità .
Secondo un’autorevole Autore , coloro che in passato si sono pronunciati in senso negativo, fondando la loro argomentazione ora sulla forza assorbente dell’obbligazione, ora sul rischio che la tesi affermativa potrebbe compromettere l’efficacia del contratto, in realtà poggiano il loro pensiero su di un errore di prospettiva, al quale bisogna replicare osservando che i contraenti Qnon prevedono certo l’azione dannosa di uno di essi e le relative conseguenzef, pertanto non ne risulta in alcun modo compromessa l’efficacia del contratto; e ancora considerando la mancanza di incompatibilità tra i due rimedi, non appare giustificabile l’esclusione della ricorribilità ad entrambi.
Ad una esclusione dell’ipotesi di concorso osta anche un ulteriore considerazione: ove ricorrano e i presupposti della responsabilità aquiliana e quelli della responsabilità contrattuale, non si vede per quale motivo l’interessato non possa scegliere quale rimedio esperire.
All’ulteriore obiezione secondo la quale il legislatore sancisce formalmente la possibilità di scelta tra due rimedi, quando intende concederla, si oppone, secondo l’Autore, una precisa replica: il legislatore prevede esplicitamente la possibilità di scelta quando la seconda ipotesi sia configurata come speciale rispetto a quella Qprincipalef, mentre in questo caso sussistono autonomi e indipendenti requisiti per l’esercizio delle relative azioni.
Pertanto si deve concludere per la configurabilità del concorso di azioni, sussistendo in capo all’interessato la facoltà di esercitare sia la prima che la seconda delle azioni, ovvero assieme od alternativamente entrambe.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha poi sottolineato anche altri aspetti del problema, osservando che <<la deduzione degli estremi oggettivi e soggettivi della responsabilità è sufficiente ad indicare la “causa petendi” di entrambe le forme di responsabilità >> , evitandosi in tal modo che la tutela del danneggiato, sotto il profilo dell’azione per responsabilità contrattuale, sia impedita dall’intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità extracontrattuale.
Altri autori hanno sostenuto che motivi per una soluzione opposta sarebbero da rinvenire nel principio secondo il quale la norma che tuteli in modo specifico un interesse prevarrebbe su altra disciplinante genericamente la difesa dell’interesse medesimo, e ancora che la situazione particolare esplicitamente voluta dalle parti, che si instaura con il contratto, assorbirebbe in essa la più generica tutela offerta da altre norme, conseguendone l’inapplicabilità del concorso.
A tali posizioni ha replicato peraltro il De Cupis , osservando come non appaia giustificabile la tesi della specialità della tutela apprestata in modo specifico da talune norme con forza esclusiva dell’altra garantita da norme generali, poiché non si vede come potrebbe ritenersi implicitamente posta una rinuncia alla tutela generale -ex art. 2043 cod. civ.- per il solo fatto di aver concluso un contratto, costituendo quest’ultimo un mezzo per conseguire un rafforzamento, non già un esclusione, della propria tutela giuridica.
A margine delle osservazioni sopra illustrate, può essere interessante affrontare un caso specifico , per la soluzione del quale la Suprema corte di Cassazione ha operato in modo da avvallare le tesi qui precedentemente prospettate.
Si tratta del delicato caso di un neonato che ha subito un danno cerebrale dovuto alla prolungata permanenza del feto nel corpo materno. Tale danno sarebbe stato evitabile operando attraverso un taglio cesareo tempestivo. La sentenza del Tribunale di Torino, fondandosi sull’applicabilità dell’art. 1 cod. civ., negava la responsabilità contrattuale dell’ente ospedaliero, in quanto il soggetto passivo non avrebbe potuto concludere validamente un contratto con l’ente medesimo prima della nascita; al contrario, riteneva sussistente una responsabilità extracontrattuale, peraltro non più azionabile per l’intervenuta prescrizione.
La Corte d’Appello di Torino, investita in secondo grado, negava la sussistenza di entrambe le responsabilità , sostenendo che il fatto della nascita si qualificava come presupposto ineliminabile per l’acquisto della capacità giuridica, non sussistendo la quale nessuna azione poteva essere esercitata. Appare in tutta la sua evidenza la delicatezza che la fattispecie sottoposta alla Corte di Cassazione manifestava.
La scelta operata dai giudici della Suprema Corte ha adottato percorsi diversi, identificando anzitutto il verificarsi del danno solo in parte al momento precedente la nascita, sostenendo piuttosto il suo verificarsi con la nascita, andando pertanto ad incidere su di un soggetto giuridicamente capace. A fronte di una situazione particolare, nella quale non sussistevano comunque più gli estremi dell’azione di responsabilità extracontrattuale, data l’intervenuta prescrizione, la Corte ha giocoforza intrapreso la via dell’affermazione di una responsabilità contrattuale, in linea con le odierne tendenze, evitando però di configurare un contratto a favore di terzo, bensì riconoscendo l’esistenza di una <<contratto con effetti protettivi a favore del terzo>> .
Dagli elementi fin qui esposti, peraltro sommariamente, emerge una conseguenza interessante sotto il profilo dell’evoluzione delle forme di responsabilità , dovendosi notare come di fatto con questa pronuncia si sottraggano, alla consueta area dei danni da responsabilità extracontrattuale, fatti dannosi che al contrario vengono ricompresi nella categoria della responsabilità contrattuale, a conferma dell’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale in atto.
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