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NET CRIME: Anche le donne denunciate per pedofilia in Rete

1 Settembre 2002 Commenta

La polizia delle Comunicazioni del Veneto (settore informatico di Venezia) ha concluso una delicata indagine in materia di pedofilia su Internet con la denuncia di 21 persone accusate di detenzione e scambio di materiale pornografico, in cui si vedono minori e perfino neonati. Nell’ambito dell’inchiesta sono state eseguite ben 19 perquisizioni domiciliari in Veneto, Liguria, Puglia, Piemonte, Toscana, Emilia, Sicilia, Lazio, Campania e Basilicata. Inoltre per la prima volta e’ stata denunciata anche una donna, una casalinga di 40 anni, che, tra l’altro, ha ammesso la sua responsabilita’ anche se solo limitatamente alla pornografia in genere.


Venezia – Continua a preoccupare il devastante fenomeno della pedofilia che ha trovato su Internet un preoccupante mezzo di diffusione. Eppure il problema della pedofilia e della pornografia infantile su Internet e’ molto sentito sia in ambiente comunitario che in ambiente nazionale.  Nel primo caso, basti pensare alla decisione n. 276/1999/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 gennaio 1999 che ha adottato un piano pluriennale d’azione comunitario per promuovere l’uso sicuro di Internet attraverso la lotta alle informazioni di contenuto illegale e nocivo diffuse attraverso le reti, oppure alla decisione del Consiglio UE del 29 maggio 2000 relativa alla lotta contro la pornografia infantile su Internet che cerca di favorire la piu’ ampia e rapida cooperazione degli Stati membri per agevolare l’efficace accertamento dei reati e la relativa repressione conformemente agli accordi ed alle modalita’ vigenti (art. 2).

In Italia, invece, i rapporti tra pedofilia ed Internet sono stati disciplinati dalla legge n. 269 del 3 agosto 1998 molto contestata in dottrina per una tutela penale che talvolta appare eccessiva e per una visione della Rete piuttosto negativa. In particolare la legge per combattere la prostituzione, la pornografia ed il turismo sessuale in danno dei minori ha introdotto alcune norme nel codice penale tra cui l’art. 600-ter che al terzo comma prevede che “………..chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, e’ punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2582,28 ad euro 51645,70.

Non semplice, pero’, e’ la configurabilita’ di tale fattispecie criminosa e gia’ in alcune sentenze (v. ad esempio la n. 5397/2002) la Corte di Cassazione ha sottolineato che ai fini della configurabilita’ del delitto in esame si richiede come necessaria condizione la diffusione del materiale fotografico ad un numero indeterminato di persone o quanto meno l’idoneita’ della condotta a raggiungere una serie indeterminata di destinatari (ad esempio la divulgazione di foto incriminate attraverso programmi di file sharing come nel caso di Napster che consentono una condivisione on line di cartelle comuni, non darebbe luogo a dubbi, in quanto chiunque una volta collegatosi in rete potrebbe accedere alle cartelle presenti sul disco rigido e prelevare le fotografie pedopornografiche). Invece, quando lo scambio di fotografie avviene nel corso di una chat line, ad personam, senza che esista la possibilita’ per gli altri partecipanti alla chat di disporre di quelle fotografie, in questo caso, secondo la Suprema Corte, al massimo sarebbe ipotizzabile il delitto di cui al 4° comma dell’art.600-ter del cod. pen. che prevede l’ipotesi residuale, meno grave, di chi consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale di minori.

Questo tipo di delitto non e’ nemmeno facilmente accertabile in sede di indagine ed e’ per questo motivo che in genere gli organi inquirenti ricorrono alla figura dell’agente provocatore. In questo caso la Suprema Corte ha piu’ volte sottolineato la massima osservanza dell’art. 14 della legge 269/98 che con le ipotesi previste al 1° ed al 2° comma ha introdotto, potremmo dire, una nuova figura di agente provocatore che specialmente al 2° comma pone in essere una vera e propria attivita’ illecita, anche se per attirare soggetti pericolosi. Di conseguenza e’ necessario che vengano rispettate tutte le formalita’ procedurali previste al fine di garantire al massimo la tutela prevista dall’art. 15 della Costituzione, in quanto un’attivita’ investigativa svolta attraverso l’ingresso o il monitoraggio di sistemi informatici e/o telematici va a ledere la liberta’ tutelata dal principio costituzionale per cui occorre un idoneo provvedimento dell’Autorita’ Giudiziaria.

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