Home » Focus del mese

EDITORIAL: Il Trust – Premessa; La sentenza del Tribunale di Oristano

21 Settembre 2002 Commenta

1.  Premessa


Si stanno sviluppando, a seguito dell’entrata in vigore della Convenzione dell’Aja del l° luglio 1985, ratificata dall’Italia nel 1989 ed in vigore dal 1° gennaio 1992, una serie di riflessioni circa l’utilizzabilita’ del trust anche nel nostro paese.
“Dapprima timidamente, poi con sempre maggiore attenzione ed approfondimento, il dibattito si e’ incentrato su due temi: se cioe’ la Convenzione abbia in qualche modo “introdotto” il trust nel nostro ordinamento e se sia consentito costituire trusts “domestici”, ossia aventi riferimento ad elementi, compresi i soggetti, collegati interamente al nostro ordinamento, salvo la legge regolatrice, dal mo­mento che l’Italia non conosce una legge istitutiva del trust a differenza di altri Paesi di diritto civile”[1].
Prima della ratifica il trust rimaneva un istituto di diritto straniero, “rispetto al quale, per la sua singolarita’ rispetto ai diritti continentali, in maniera ricorrente era sembrato naturale individuare somiglianze e rilevare differenze secondo il classico metodo del diritto comparato”[2]. Due sono le pronunzie giudiziali anteriori all’entrata in vigore della convenzione, non contando le sentenze pronunciate a cavallo fra i secoli XIX e XX. Si tratta delle note sentenze del Tribunale di Oristano e del Tribunale di Casale Monferrato in cui, pur con differenti motivazioni ed addirittura con argomentazioni parzialmente contraddittorie, si condivide, in ogni caso, l’essenziale ruolo della lex rei sitae nella disciplina e nel riconoscimento degli effetti del trust. “In entrambe le decisioni, trattandosi di beni siti in Italia, non si e’ avuta esitazione, ai fini del riconoscimento degli effetti di un trust e della relativa disciplina al riguardo applicabile, a riferirsi alla lex rei sitae con le conseguenti difficolta’ (in diverso modo e con diversi effetti affrontate dalle citate decisioni) di inquadrare e legittimare in tale ambito un istituto sconosciuto dall’ordinamento italiano e dagli effetti incompatibili con il principio di divieto di segregazione patrimoniale contenuto nell’art. 2740 c.c.”[3].

2. La sentenza del Tribunale di Oristano


Un cittadino inglese aveva istituito un trust “for sale” avente ad oggetto anche dei terreni agricoli ubicati in Italia, disponendo che trustees fossero la moglie ed i figli e concedendo loro il potere discrezionale di sospendere la vendita. Nell’atto istitutivo figuravano i figli quali beneficiari. Fu emesso un decreto di esproprio nei confronti della moglie in attuazione della legge 841/1950[4], ma il provvedimento fu impugnato dai beneficiari, perche’ nella veste di trustee la moglie non avrebbe dovuto essere destinataria del decreto (non poteva considerarsi proprietaria).
In via incidentale il Tribunale escluse la nullita’ del trust per la violazione del divieto di sostituzione fidecommissaria (art.692 c.c.): a) nel fedecommesso sono proprietari prima l’istituito e poi il sostituto, mentre nel trust coesistono le due proprieta’; b) nel trust vi e’ una sola vocazione testamentaria, quella del beneficiario; c) nel trust non si rinviene la ratio del divieto dell’art.629, in quanto si ha la libera commerciabilita’ del bene.
Il Tribunale riconobbe che la successione doveva ritenersi regolata dalla legge inglese ex art.23 preleggi.
Fu ravvisato uno “sdoppiamento del diritto di proprieta’”. Per l’art. 22 preleggi (oggi art. 51 legge 218/1995) doveva essere la lex rei sitae a regolare i diritti reali: il problema era costituito dalla compatibilita’ del trust con i principi del nostro ordinamento. Il giudice risolse negativamente tale “dilemma”, ritenendo la contrarieta’ del trust, “inteso come l’intende il diritto inglese”, ai principi dell’unicita’ del diritto di proprieta’ e del numero chiuso dei diritti reali.
Non venne, pero’, dichiarata la nullita’ del trust: ne fu data una interpretazione conservativa in quanto atto testamentario. Il trust fu ricondotto alla “categoria dei negozi fiduciari in senso ampio”[5]. Il tribunale concluse sostenendo che, in armonia con i principi che regolano il nostro ordinamento, la proprieta’ doveva essere riconosciuta in capo al beneficiary, mentre al trustee andava riconosciuta la figura di “un amministratore sui generis fornito di amplissimi poteri, che ha un po’ del mandatario, del rappresentante, del commissionario, del depositario e dell’amministratore fiduciario”, nonche’, trattandosi di trust testamentario, “soprattutto dell’esecutore testamentario”: soggetto passivo dell’espropriazione doveva essere il beneficiario e non il trustee.

——————————————————————————–
[1] Piccoli Il trust: questo (sempre meno) sconosciuto, in Notariato, 1996, 391.
[2] Castronovo Trust e diritto civile italiano, in Vita Notarile, 1998, 1323.
[3] Carbone Autonomia privata, scelta della legge regolatrice del trust e riconoscimento dei suoi effetti nella Convenzione dell’Aja del 1985, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 146.
[4] Per l’attuazione della riforma fondiaria.
[5] Sono le parole della sentenza del 1956, in Il Foro Italiano, 1956, І, 1019ss.

Scritto da

Commenta!

Aggiungi qui sotto il tuo commento. E' possibile iscriversi al feed rss dei commenti.

Sono permessi i seguenti tags:
<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>