PRIVACY: E’ legittimo leggere l’e-mail della lavoratrice in ferie
L’indirizzo e-mail e’ semplicemente uno dei tanti strumenti di lavoro forniti dal datore di lavoro per consentire ai propri dipendenti di svolgere le loro funzioni aziendali: dunque esso rimane nella completa disponibilita’ della societa’ senza nessuna limitazione. Una decisione che non manchera’ di fare discutere.
Il 7 novembre 2001, il difensore, procuratore speciale della signora A sporgeva denuncia-querela presso gli uffici della Procura della Repubblica di Milano nei confronti della responsabile del reparto di project management e del legale rappresentante della societa’ X per il reato di cui all’art. 61 n. 11 e 616 c.p., ossia violazione di corrispondenza aggravata.
Nella denuncia-querela la signora A sosteneva di aver ricevuto il 13.08.2001 dalla societa’ X, presso la quale svolgeva mansioni di consultant/account, una raccomandata con la quale veniva informata del fatto che, nel corso del suo periodo di ferie, la responsabile del reparto, durante le normali e periodiche operazioni di lettura della casella aziendale di posta elettronica, aveva rinvenuto “comunicazioni inerenti soluzioni internet inequivocabilmente relative a progetti estranei a quelli attualmente gestiti†dalla societa’. Con una lettera successiva, la signora A veniva licenziata per presunta violazione dei doveri inerenti al rapporto di lavoro. Secondo quanto esposto nella denuncia-querela, la condotta della responsabile del reparto e del legale rappresentante della societa’ X presentava aspetti di rilevanza penale, ai sensi del citato art. 616 c.p., in quanto tali persone avevano preso visione della corrispondenza della lavoratrice, contenuta nella sua casella di posta elettronica, la cui segretezza, al pari di quella epistolare, e’ costituzionalmente garantita. Inoltre, l’esponente evidenziava come i messaggi inviati dai clienti, la cui lettura era peraltro superflua, essendo gli stessi in ferie, erano indubbiamente identificabili nella casella postale e come, al momento del controllo da parte della societa’, non vi fosse alcuna fondata ragione per ritenere che tali messaggi contenessero elementi che comprovavano fatti illeciti interessanti in modo diretto la societa’.
Il Pubblico Ministero, il 21 febbraio 2002, avanzava richiesta di archiviazione del procedimento sostenendo che le caselle di posta elettronica, nonostante i diversi usernames e le diverse password, sono equiparabili ai normali strumenti di lavoro, in uso ai dipendenti per lo svolgimento delle loro mansioni aziendali: …
dunque, la titolarita’ di questi spazi di posta elettronica deve essere ricondotta esclusivamente alla societa’. A tale richiesta si opponeva la signora A, ma il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) di Milano nell’ordinanza 10 maggio 2002 dichiara inaccoglibile l’opposizione e dispone l’archiviazione ritenuta l’infondatezza della notizia di reato.
La decisione del G.I.P. si basa sostanzialmente su tre argomentazioni.
In primo luogo sostiene che l’indirizzo di posta elettronica, dato in uso al lavoratore, ha carattere personale nel senso che esso viene attribuito al lavoratore per consentirgli di svolgere le proprie mansioni. “Tuttavia personalita’ non significa necessariamente “privatezza†del medesimo dal momento che l’indirizzo aziendale, proprio perche’ tale, puo’ sempre essere nella disponibilita’ di accesso e lettura da parte di persone diverse dall’utilizzatore consuetudinario, ma sempre appartenenti all’aziendaâ€. Dunque, non potendo configurarsi un diritto del lavoratore all’utilizzo esclusivo di una casella di posta elettronica aziendale, egli si espone al “rischio†che anche altri dipendenti della stessa azienda, unica titolare dell’indirizzo, possano entrare nella sua casella e leggere i messaggi ivi contenuti, dopo aver acquisito la relativa “passwordâ€, il cui scopo non e’ quello di proteggere i “segreti†dei lavoratori, ma quello di impedire a soggetti estranei alla societa’ di accedere agli strumenti di lavoro.
In secondo luogo, il G.I.P. sostiene che non si puo’ assimilare la posta elettronica alla posta tradizionale con conseguente affermazione del principio costituzionale di segretezza, quando il lavoratore usa questo strumento per scopi extralavorativi e privati, giacche’ mai l’uso illecito (tutt’al piu’ tollerato, ma non certo favorito) di uno strumento di lavoro puo’ far attribuire a chi, questo illecito commette, diritti di sorta. Inoltre, la lettura della posta elettronica sul personal computer del lavoratore non rientra tra i controlli non consentiti delle sue attivita’, dal momento che, come asserito piu’ volte, l’uso delle e-mail e’ semplicemente uno degli strumenti che l’azienda mette a disposizione dei propri dipendenti per svolgere le loro mansioni e, in quanto strumento aziendale, esso rimane nella completa e totale disponibilita’ della medesima, senza alcuna limitazione.
Infine, il G.I.P. dimostra come, quand’anche si volesse ravvisare nella condotta della responsabile del reparto e del legale rappresentante della societa’ X un’illecita intromissione nella sfera privata della signora …
A, tale condotta non integri gli estremi del reato di cui all’art. 616 c.p. per mancanza dell’elemento soggettivo, ossia il dolo dei soggetti agenti. Infatti, l’accesso alla casella di posta elettronica della signora A e’ avvenuto per motivi connessi allo svolgimento dell’attivita’ aziendale e in assenza della lavoratrice per ferie.
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