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EDITORIAL: Outsourcing informatico; clausole

7 Gennaio 2003 Commenta

La maggior parte delle problematiche legate al “Cyberspazio” puo’ essere facilmente trattata come metafora del mondo reale. Allorquando, a titolo esemplificativo, il proprietario di un sito web sceglie di affidare il mantenimento e lo sviluppo dello stesso ad un fornitore di servizi, il contratto a tale scopo redatto risultera’ piuttosto simile ai contratti di appalto relativi a beni tangibili come la costruzione di appartamenti, uffici, fabbriche o impianti industriali; similmente, la esternalizzazione di altre funzioni tradizionalmente ricadenti nella competenza della divisione EDP aziendale ricalca fedelmente altre fattispecie di forniture di servizi cosi’ detti mission-critical.

Tale categoria di contratti e rapporti, spesso descritti con il nome italianizzato di outsourcing informatico, possono presentare notevoli vantaggi in termini di flessibilita’, razionalizzazione e contenimento dei costi. Il termine outsourcing, come noto, deriva da una prassi sviluppatasi e consolidatasi negli Stati Uniti fin dagli anni cinquanta a fronte di una crescente esigenza di flessibilita’ delle aziende e identifica il fenomeno attraverso il quale talune attivita’ d’impresa, magari inerenti allo stesso core business, ma ad esso strumentali, sono trasferite a soggetti esterni.
Quanto all’outsourcing informatico esso e’ stato brillantemente definito come: “la delega ad un fornitore esterno, attraverso un contratto, di tutte le risorse tecnologiche, le risorse umane e le responsabilita’ di gestione (o di parte di esse) associate alla fornitura di servizi di information technology (1)” . Tale definizione e’ magari un po’ estrema, dato che da un lato e’ possibile esternalizzare soltanto alcuni servizi, d’altro lato vanno forse per praticita’ considerate ricomprese nelle categorie cose diverse dalla fornitura di servizi IT all’azienda stessa, come ad esempio la gestione di servizi diretti in realta’ al pubblico dei potenziali clienti e fornitori, al marketing, o all’integrazione dell’azienda in piu’ complesse soluzioni di supply chain management.
Il successo di tale scelta e’ determinato principalmente all’importanza della ricerca e dell’aggiornamento nel settore informatico ove anche le grandi imprese possono trovare difficolta’ nel reperire le risorse, tanto umane che finanziarie, necessarie a tenere il passo; o alternativamente hanno interesse ad enuclearle e centralizzarle, ad esempio a livello di gruppo, in un centro di costo (e di eventuale profitto) distinto, e magari suscettibile di commercializzare la propria attivita’ anche indirizzandosi a soggetti esterni e terzi che possono contribuire al mantenimento di una “massa critica” ottimale.
L’affermazione dell’outsourcing informatico inteso nel senso piu’ radicale e completo e’ comunque un fatto abbastanza recente; infatti, le imprese si rivolgevano a fornitori di servizi perche’ prive di un loro sistema di elaborazione e successivamente per esigenze relative a singole procedure ad alto livello tecnologico. Solo in una terza fase si e’ sviluppato il contratto di outsourcing informatico vero e proprio.
Il contratto di outsourcing puo’ estrinsecarsi in una notevole gamma di soluzioni operative: in un ambiente legale ed economico anglosassone, il contratto in questione pone problemi essenzialmente dal punto di vista redazionale, ovvero con riferimento all’inserimento e alla efficacia e validita’ di talune clausole. Nell’Europa continentale, prima ancora di individuare un armamentario di strumenti contrattuali e di clausole adeguato, si pone il problema dell’interferenza di tali accordi con le regole poste dal legislatore per una serie di contratti previsti dai vari codici.
Ad esempio nel nostro sistema, si trovano disciplinati una serie di contratti (compravendita, locazione, mandato, affitto, appalto, ecc.), con  regole che valgono in parte salvo le parti si siano accordate diversamente, in parte in ogni caso, ed ha lasciato la possibilita’ della formazione di contratti estranei ai tipi previsti (art. 1321 Codice Civile), cui pure possono essere applicabili regole dei contratti tipici piu’ vicini. Nel reale scenario giudiziario, pero’, il contratto “atipico” non e’ molto popolare e il giudice, “ove appena diventi rilevante statuire sulla natura del contratto stesso, fa di tutto per ricondurre la fattispecie ad un ‘tipo’ legale, o, in subordine, ad un ‘tipo’ fondato sulla prassi giudiziaria o mercantile” (2).
In un sistema basato su codici e pandette, quindi, accade che al fine di redigere un contratto di outsourcing informatico efficace, il contraente debba assolutamente essere al corrente di come tale contratto e’ inquadrato dalla dottrina e di come tali clausole saranno interpretate dal giudice in un eventuale scenario contenzioso.

In effetti, i contratti di outsourcing informatico in Italia sono ricondotti alla fattispecie del contratto di appalto (locatio operis) con il quale una parte, detta appaltatore “assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro” (art. 1655 Codice Civile). Per quello che riguarda l’appalto di servizi, che piu’ ci riguarda, la norma in esame rimanda all’art. 1657 Codice Civile che stabilisce: “Se l’appalto ha per oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi, si osservano, in quanto compatibili, le norme di questo capo [cfr CAPO SETTIMO Dell’appalto] e quelle relative al contratto di somministrazione [1559]”. 
In particolare, con riferimento alle variazioni dell’appalto d’opera, le stesse sono regolate dagli articoli 1659, 1660 e 1661 Codice Civile. Il primo comma dell’art. 1659 statuisce che: “L’appaltatore non puo’ apportare variazioni alle modalita’ convenute dell’opera se il committente non le ha autorizzate”. Il secondo comma riguarda la prova dell’autorizzazione, che deve essere data per iscritto. Tali previsioni ribadiscono il principio generale secondo il quale un contratto non puo’ essere unilateralmente modificato da una parte e sono certamente applicabili ai contratti di outsourcing informatico.
Il terzo comma dell’art. 1659, invece ha un aspetto rilevante ai fini che qui ci occupano, ovvero il corretto inquadramento sistematico dell’outsourcing informatico. Lo stesso infatti  prevede:  “Anche quando le modificazioni sono state autorizzate, l’appaltatore, se il prezzo dell’intera opera e’ stato determinato globalmente, non ha diritto a compenso per le variazioni o per le aggiunte, salvo diversa pattuizione”. Orbene, autorevole dottrina (3) ritiene che il comma in esame non sia applicabile al contratto di outsourcing informatico poiche’ in contrasto con l’art. 1562 Codice Civile in tema di somministrazione, a norma del quale il prezzo deve essere “corrisposto all’atto delle singole prestazioni e in proporzione a ciascuna di esse”. Da cio’ deriva che, qualora la prestazione ecceda la quantita’, l’accettazione dell’appaltatore (ma sarebbe forse piu’ corretto parlare di “somministrato”) obbliga al pagamento dell’eccedenza.
L’articolo 1660 Codice Civile, ritenuto applicabile alla fattispecie di outsourcing informatico dalla dottrina prevalente (4) stabilisce che:  “Se per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte e’ necessario apportare variazioni al progetto e le parti non si accordano, spetta al giudice di determinare le variazioni da introdurre e le correlative variazioni del prezzo. Se l’importo delle variazioni supera il sesto del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore puo’ recedere dal contratto e puo’ ottenere, secondo le circostanze, un’equa indennita’.
Se le variazioni sono di notevole entita’, il committente puo’ recedere dal contratto ed e’ tenuto a corrispondere un equo indennizzo”.
L’applicabilita’ all’outsourcing informatico dei limiti alle variazioni ordinate dal committente previsti dall’art. 1661 Codice Civile e’ dubbia per presunta incompatibilita’ con l’art. 1560 Codice Civile in tema di somministrazione, il quale, in assenza di determinazione, subordina l’entita’ delle prestazioni al “normale fabbisogno della parte”.
Fatto salvo quanto sopra, al momento della redazione del contratto la soluzione preferibile  e’ quella di un’attenta e minuziosa predisposizione delle clausole contrattuali, in modo tale da mediare tra la disciplina codicistica e le esigenze delle parti.
Da un punto di vista pratico, nel contratto di outsourcing la logica delle cose e/o il fornitore sono normalmente in grado di imporre una notevole flessibilita’ cosi’ che e’ normale venga attribuita a quest’ultimo la liberta’ di eseguire le modifiche al progetto che ritiene utili per garantire un servizio migliore (offrendo ad esempio, entro determinati limiti, la possibilita’ di compiere le spese necessarie senza autorizzazione), temperando in questo modo la prescrizione dell’art. 1659 Codice Civile; la situazione normalmente potra’ variare in relazione alla competenza rispettiva ed al rapporto di forza contrattuale delle due parti, ma giova rilevare che contropartita in certo modo automatica di tale flessibilita’ e’ l’enfatizzazione dell’obbligazione del fornitore come obbligazione di risultato, restando in tale caso sua integrale responsabilita’ la scelta, giusta od errata, dei mezzi necessari per raggiungere gli scopi e le caratteristiche qualitative minime previste del servizio.
L’applicazione degli artt. 1660 e 1661 Codice Civile vede poi anche nel nostro caso assumere rilevanza le limitazioni contrattuali sulle tolleranze in tema di variazioni; peraltro, anche in caso di variazioni di notevole entita’, ogni singolo caso dovra’ essere interpretato avuto riguardo non solo all’autonomia contrattuale delle parti, ma anche alla buona fede (si pensi al caso di un fornitore consapevolmente privo dei mezzi necessari a portare a termine l’opera che accetti in mala fede l’incarico con l’idea di sfruttare la possibilita’ offerta dal II comma dell’art. 1661 Codice Civile).

Le clausole caratterizzanti che vengono inserite in un contratto di outsourcing informatico possono essere ricondotte a due tipologie: le clausole volte a stabilire l’individuazione e la valutazione dei beni e servizi oggetto del contratto e le clausole di determinazione delle modalita’ con cui il trasferimento stesso dovra’ essere effettuato, potenzialmente nelle due direzioni quando l’outsourcing veda la dismissione o lo spin-off della divisione EDP a favore del futuro fornitore.
Appare quindi necessario ricercare un giusto equilibrio tra le esigenze di certezza  e di flessibilita’ (la necessita’ frequente in campo informatico, ad esempio, di aggiornare e modificare il sistema durante la fase esecutiva del contratto). Una soluzione opportuna consiste nella predisposizione di procedure apposite, delle quali si potrebbero incaricare le persone che si occupano del controllo e del monitoraggio del sistema, volte alla quantificazione e alla qualificazione dei beni oggetto del trasferimento e la fase critica del “passaggio delle consegne” e delle relative responsabilita’. A tali procedure possono essere utilmente affiancati vincoli di garanzia e coperture assicurative.
Per quello che concerne la preservazione dei beni e dei dati (che in campo informatico e’ nuovamente fondamentale), si trattera’ con ogni probabilita’ di creare una struttura autonoma, attraverso la quale il committente possa assumere il ruolo di verificatore, con diritto di veto sulle operazioni di dismissione dei beni a favore di terzi, di controllare che restino in essere o vengano implementate le necessarie cautele in materia di safety, security, fault-tolerance, che venga assicurata la integrita’ e coerenza dei dati, etc.
La clausola risolutiva espressa, pure disciplinata dal nostro codice civile, ha poi ricevuto nell’esperienza anglo-americana del contratto di outsourcing una particolare attenzione, che ha portato alla formulazione di una struttura omogenea, che normalmente fa riferimento a determinati eventi quali causa di risoluzione anticipata del contratto.
Alcune delle clausole risolutive espresse, che fanno riferimento al semplice inadempimento delle obbligazioni, vengono chiamate “clausole di stile”: esse non possono assolutamente giustificare l’effetto della risoluzione ma vengono semplicemente considerate atte a richiamare il normale meccanismo della risoluzione giudiziale ex art. 1453 Codice Civile. Sono invece ritenute lecite quelle clausole che pongono quale evento risolutivo l’inadempimento di obbligazioni a carico delle parti, come il pagamento del prezzo e la fornitura del servizio, pur in assenza di riferimenti alla gravita’ dell’inadempimento stesso. Ovviamente le parti, nella redazione del contratto, tenderanno a descrivere minuziosamente l’entita’ dell’evento causa dell’espressa risoluzione.
Tali clausole potranno contenere riferimenti al mancato pagamento di un numero precisato di canoni e potranno essere coordinate con le clausole di verifica di funzionamento e monitoraggio del sistema; potranno anche essere a contenuto “personale”, con riferimento a eventuali procedimenti di insolvenza o a semplici cambi di proprieta’ dell’impresa fornitrice. Giova comunque rilevare che la risoluzione per inadempimento di un contratto di questo tipo e’ sempre un evento notevolmente traumatico, specie per il committente, ma talora anche per il fornitore che ha fatto investimenti significativi che ritrova in gran parte vanificati.
Non e’ raro percio’ incontrare contratti che regolano minuziosamente quando, in cosa e come il contratto si risolva in caso di inadempimento di una delle parti, o che limitano viceversa la facolta’ di eccepire l’altrui inadempimento (es. clausole che vietano comunque la sospensione del servizio sino alla definizione delle controversie insorte e/o al passaggio delle “consegne” ad un altro fornitore).
Infine un breve cenno all’annosa questione delle clausole vessatorie di cui agli artt. 1341 e 1342 Codice Civile La dottrina che concordava sulla inapplicabilita’ delle norme in questione alle fattispecie dell’art. 1456 Codice Civile a causa della tassativita’ dell’elencazione di cui all’art. 1341 Codice Civile risulta attualmente divisa. Per questa ragione, per meglio garantirsi, appare consigliabile la specifica approvazione per iscritto delle clausole risolutive espresse qualora le stesse siano oggetto di condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente da una delle due parti, cosa che per altro non si verifica che di rado nei contratti di outsourcing nel senso piu’ ampio sopra discusso.

Tale campo costituisce invece un ambito tipico di potenziale applicazione della disciplina in materia di abuso di dipendenza economica, contenuta, o meglio nascosta, nella cosiddetta legge sulla subfornitura.

A fronte di quanto detto finora possono essere formulate alcune considerazioni conclusive di carattere generale. Allo stato, non sono rintracciabili nell’ordinamento italiano norme civilistiche o fiscali che menzionino espressamente il tipo di operazioni qui discusso, cosi’ che e’ necessario lasciarsi guidare dall’analisi giuridica delle varie fattispecie coinvolte e dall’esperienza di una prassi ormai decennale. La notevole complessita’ di tali operazioni induce spesso l’azienda interessata ad una certa riluttanza nell’affidare ad un unico soggetto un determinato settore strategico, ed a preferire invece soluzioni miste, in cui vengono magari stipulati contratti che hanno come oggetto l’erogazione di servizi specifici, con ricorso a risorse di elaborazione e comunicazione interne ed esterne, e non l’acquisizione e gestione en bloc del sistema informativo del cliente. E’ percio’ molto difficile reperire nella realta’ del nostro ordinamento contratti di outsourcing informatico puro, che possono divenire possibili solo nell’ottica di una reale cooperazione tra imprese e cioe’ quando il fornitore beneficia direttamente dei successi e del buon andamento dell’impresa cliente.

(1)  WILLCOCKS and LACITY, Strategic sourcing of information systems, Wiley & Sons, Chichester 1998.
(2) SACCO-DE NOVA, Il contratto, UTET, Torino 2000.
(3)  TOSI, Il contratto di Outsourcing di sistema informatico, GIUFFRE’, Milano 2001.
(4)  BOCCHINI, La somministrazione di servizi, CEDAM, Padova 1998 e TOSI, op. cit.

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