Prima Sentenza Sulla Falsificazione Di Comunicazioni Informatiche
Per la prima volta un giudice italiano ha deciso in merito al reato di falsificazione di comunicazioni informatiche di cui all’art. 617-sexies del codice penale. Il Tribunale di Avezzano (pronunciando sentenza in data 25 novembre 2002) ha ritenuto l’insussistenza di questo reato nel caso di una pubblicazione on-line di un annuncio diffamatorio.
Avezzano – Per la prima volta un giudice italiano ha deciso in merito al reato di falsificazione di comunicazioni informatiche di cui all’art. 617-sexies del codice penale. Il Tribunale di Avezzano (pronunciando sentenza in data 25 novembre 2002) ha ritenuto l’insussistenza di questo reato nel caso di una pubblicazione on-line di un annuncio diffamatorio.
Il caso sottoposto al Giudice e’ quello di una persona che – per scherzo – ha pubblicato sul web un annuncio di offerta di “prestazioni particolari” a nome di un altro soggetto. L’inserzione – che riportava anche l’indicazione del numero di telefono e dell’indirizzo della persona offesa – doveva essere pubblicata originariamente in un giornale di annunci. Il messaggio, invece, e’ apparso addirittura su un sito web, esponendo il malcapitato a un enorme livello di offesa, molto piu’ vasto di quello che si sarebbe potuto generare in seguito alla pubblicazione cartacea. Il pubblico ministero – a seguito della presentazione di querela della “vittima” di questo gioco offensivo – ha configurato non solo il reato di diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicita’, ma anche quello di falsificazione di comunicazioni informatiche ex art. 617-sexies c.p.
Il giudice, pero’, ha ritenuto di dover condannare il responsabile dell’accaduto esclusivamente per il reato di diffamazione e non per la seconda fattispecie contestata. Infatti, l’organo giudicante ha giustamente interpretato che il reato di falsificazione di comunicazioni informatiche non sussiste nel caso de quo, poiche’ l’art. 617-sexies e’ orientato a punire una differente fattispecie criminosa.
Recita l’art. 617-sexies che e’ punito chiunque, al fine di procurare a se’ o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno, forma falsamente ovvero altera o sopprime, in tutto o in parte, il contenuto, anche occasionalmente intercettato, di taluna delle comunicazioni relative a un sistema informatico o telematico o intercorrenti fra piu’ sistemi.
Secondo questo articolo, quindi, l’agente deve porre in essere un contegno volto a modificare in qualche modo le comunicazioni informatiche, mentre il caso portato davanti al giudice di Avezzano riguarda l’invio di messaggi diffamatori “dietro il nome altrui”, a nulla rilevando l’alterazione delle comunicazioni informatiche. Grazie a questa doverosa precisazione, il Tribunale investito della vicenda ha offerto una visione alquanto lucida dell’interpretazione e dell’applicazione delle norme penali introdotte dalla legge 23/12/93 n. 547 sui “reati informatici”.
Come e’ accaduto nel caso qui commentato, dunque, e’ necessario che per giudicare i frequenti reati commessi in Internet vi siano soggetti capaci e preparati anche di fronte alle nuove tipologie di fattispecie criminose nate con l’evoluzione tecnologica.
Una parte ancora oscura dell’adeguamento del processo civile e penale italiano alle realta’ di Internet riguarda le modalita’ di produzione delle prove. Nel caso de quo, infatti, il p.m. ha prodotto documenti della cui integrita’ e attendibilita’ si puo’ dubitare, come, per es., alcuni log inviati per posta elettronica e alcune perizie di consulenti tecnici non espressamente qualificati a compiere analisi su questa specifica materia.
Sara’ opportuno, pertanto, che sia la giurisprudenza sia il legislatore forniscano chiare indicazioni in tema di prove inerenti all’informatica giuridica, laddove la produzione di queste ultime possa creare difficolta’ procedurali.
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