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Messaggi pubblicitari: Ribadita la non ingannevolezza del prezzo “scomposto”

17 Gennaio 2003 Commenta

Capita sempre piu’ frequentemente che i consumatori siano investiti da messaggi pubblicitari che “gridano” offerte sensazionali: soprattutto nel campo dei servizi, le offerte indicano un prezzo al quale poi vanno aggiunti oneri ulteriori (tasse, spese, etc.), cosi che’ il consumatore all’atto della presentazione del conto “scopre” di dover pagare un importo superiore rispetto a quello pubblicizzato.
Queste tecniche sono ormai cosi’ diffuse da aver sollecitato un nuovo intervento dell’autorita’ Antitrust.

Roma – Il TAR Lazio sez. 1^, con sentenza 9893/2002, confermando sostanzialmente i precedenti di cui alle sentenze 398/2002 e 631 e 633/2002, ha statuito che non e’ ingannevole la pubblicita’ di un prezzo “scomposto” in vari addendi in relazione ad un servizio offerto (nella fattispecie relativo a voli Alitalia) quando il messaggio venga presentato in modo tale da consentire al consumatore una “percezione precisa e sufficientemente immediata dell’esborso finale richiesto al consumatore.
La possibilita’ di addivenire al “prezzo finale” attraverso una semplice addizione di componenti fornite nel messaggio pubblicitario in modo contestuale e con pari enfasi espressiva (nonche’ con l’ausilio di caratteri grafici simili anche se non identici) escluderebbe la natura ingannevole dello stesso.
Il Tribunale amministrativo, comunque, non ha negato la preferibilita’ della tecnica pubblicitaria basata sull’indicazione del “prezzo finale onnicomprensivo” sicuramente il piu’ chiaro e trasparente, ma ha altresi’ affermato che il discostarsi da tale modello non necessariamente comporta lo sconfinamento nella ingannevolezza del messaggio stesso.
Infatti, secondo i giudici amministrativi, il D.Lgs. 25 gennaio 1992 n. 74 (Attuazione della direttiva n. 84/450/CEE in materia di pubblicita’ ingannevole) all’articolo 2 lett. b) esige fondamentalmente che il messaggio pubblicitario, per non essere “ingannevole”, non induca in errore i suoi destinatari, senza che sia previsto anche il rispetto del piu’ elevato standard  di chiarezza e semplicita’ dello stesso.
La facilita’ con cui sia stato possibile, per i destinatari del messaggio pubblicitario, addivenire al prezzo finale ed effettivo con “sicurezza e rapidita’ accettabili, in quanto basato su di una banale addizione, non diversa da quelle di ordinario impiego nella vita quotidiana dei consumatori”, ha determinato il giudizio del TAR di non illiceita’ della pubblicita’ stessa.
Altro sarebbe stato l’esito del giudizio qualora nel messaggio pubblicitario fosse stato enfatizzato un “prezzo base” non corrispondente al prezzo finale ed effettivo, con evidente induzione in errore e censura per “ingannevolezza”.
Sembrerebbe quindi che l’argomento principale a fondamento della decisione sopra menzionata sia la facilita’ da parte del consumatore di percepire quale sia l’entita’ del prezzo finale ed effettivo attraverso una semplice somma degli addendi.

Tale forma di pubblicita’ oltre che informare il consumatore tende sicuramente a persuaderlo con una tecnica di vendita in cui viene data la possibilita’ di ricostruire il prezzo totale effettivo senza indicarne il risultato finale, affidando la scelta di sommare gli addendi al destinatario del messaggio, per rimandare a tale momento, gradualmente quindi, l’effetto della piena consapevolezza dell’interezza del prezzo “tutto compreso”.
Tale metodo e’ sicuramente “mediato” in quanto consente di apprendere la reale entita’ dell’offerta soltanto dopo una, benche’ semplice, operazione matematica.
All’articolo 1, punto 2, il D.Lgs. 74/1992 prevede che “la pubblicita’ deve essere palese, veritiera e corretta”; inoltre l’art. 1, comma 2, lettera c della Legge 281 del 1998 (legge quadro sui diritti dei consumatori e degli utenti) prevede tra i diritti fondamentali del consumatore una “ adeguata informazione “ e una “ corretta pubblicita’”.

Allora: fin dove puo’ spingersi l’autore del messaggio pubblicitario nel “parcellizzare” gli elementi dell’offerta ?

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