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Limiti alla liberta’ di manifestazione del pensiero: Cinema e Internet a confronto.

5 Giugno 2003 Commenta

S. Sileoni, Macerata – Pietra angolare di tutti gli ordinamenti giuridici di matrice liberale, a partire dalla Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, e’ la liberta’ di manifestazione del pensiero, senza la quale il valore della democrazia risulterebbe privo di contenuto. A nulla vale, infatti, permettere la partecipazione attiva della comunita’ alla vita politica, ampiamente intesa, se non viene contemporaneamente riconosciuto il diritto di esprimere le proprie idee.
Recepito anche nell’ordinamento internazionale e in quello comunitario [1], il principio della liberta’ di espressione trova in ogni regime democratico limiti distinti, ma accomunati da un’intenzione quanto piu’ permissiva di garantire ad ognuno tale liberta’.
Nella convivenza con altri valori giuridici, anche il diritto in questione subisce delle compressioni e degli adattamenti.

“Una teoria della liberta’ come assenza di costrizione, per quanto cio’ possa apparire paradossale, non predica l’assenza di costrizione in tutti i casi. A volte le persone devono essere costrette per proteggere la liberta’ degli altri. Cio’ e’ fin troppo evidente quando le persone devono essere difese da assassini e rapinatori, mentre non lo e’ quando la protezione si riferisce a vincoli e liberta’ che non sono altrettanto facili da definire” [2].
Cosi’, ad esempio, la costrizione puo’ apparire ingiusta o inopportuna nel caso della liberta’ di espressione, dove i legacci derivano da concetti indeterminabili in modo esaustivo, quali il buon costume o gli altri valori in conflitto con essa.
L’ordinamento giuridico non e’ altro che un insieme sistematico di principi, che vivono al di fuori della legge come valori. E, come i valori umani e civili fluttuano in un equilibrio mutevole e mai fisso, cosi’ i principi fondamentali del diritto non conoscono una gerarchia rigida e predefinita, ma, nella concretezza della vita civile, si sacrificano e si comprimono reciprocamente, nel tentativo di rispettare il sistema generale dei valori della societa’.
La liberta’ in senso generale e le liberta’ specifiche non possono trovare la piu’ ampia attuazione senza collidere l’una con l’altra.
Riprendendo un adagio tedesco – Freiheit verpflichtet – teorie filosofiche, prima che politiche o giuridiche, affermano che la liberta’ obbliga poiche’ ha in se stessa il suo freno. D’altra parte, risale all’antica Grecia la teoria eraclitea secondo cui ogni elemento vive grazie al suo contrario.
Se, dunque, nello specifico, la liberta’ di espressione puo’ dirsi realizzata quando si permette agli individui di esternare e diffondere le proprie idee in un contesto civile dove ci sono regole, sembra naturale che essa conviva con altre liberta’ che ne riducono la portata assolutista.

Tuttavia, affermare che il concetto di liberta’ che l’ordinamento ha fatto proprio e’ inestricabilmente intrecciato con il concetto di restrizione non significa considerare adeguati tout court gli strumenti o i criteri che l’ordinamento impiega per attuare il bilanciamento dei valori costituzionali.
In Italia l’art. 21 Cost. prevede, quale unico limite espresso alla liberta’ di manifestazione del pensiero, il buon costume, oltre a vincoli esterni posti soprattutto a tutela dell’onore e della riservatezza altrui. La definizione di buon costume, essendo una clausola generale, ha subi’to nel tempo modifiche rilevanti, che potrebbero riassumersi nel passaggio da espressione della morale corrente, intesa nello specifico come morale sessuale, a espressione della tutela dei minori e del loro sviluppo psichico.
Riflettono chiaramente il passaggio di significato le questioni che, de iure condendo, stanno interessando la regolamentazione della cinematografia e di Internet.
Nel primo caso perche’ vige ancora una legge inattuale e insensibile ai cambiamenti della societa’, nel secondo perche’ l’originalita’ e la natura del mezzo hanno colto alla sprovvista le autorita’, che non riescono ad afferrare e gestire il fenomeno della rete.
Dapprima, occorre ricordare che, soprattutto con l’avvento di Internet, che ha reso attuali le possibilita’ di diffusione del pensiero su larga scala, la liberta’ di espressione va intesa come liberta’ positiva di poter divulgare opinioni e notizie. Essa ricomprende, nella concezione piu’ ampia, la liberta’ di comunicazione e di informazione.
Il primo dovere dell’autorita’ pubblica sembra, quindi, non tanto quello di controllare i contenuti che offendano altri valori dell’ordinamento, quanto di sorreggere, dove occorre, le intenzioni e le esigenze comunicative degli individui. Cio’ vale tanto per il mezzo di Internet quanto per la cinematografia, nei quali, senza richiamare una funzione di indirizzo dello Stato, l’iniziativa dei singoli dovrebbe essere garantita in maniera completa. Forse la garanzia migliore sarebbe quella di una astensione dalla regolamentazione, che riconduca la liberta’ di espressione nella categoria delle liberta’ negative.
Restringendo le considerazioni nell’ambito dei sistemi di controllo e non di promozione,  considerare gli interventi statali legittimi non equivale a considerarli giusti.
Per quanto riguarda Internet, governanti e legislatori si sono trovati di fronte ad un mezzo nuovo, dotato di caratteristiche uniche e inimmaginabili fino a qualche decennio fa e, pertanto, refrattario ai classici sistemi di controllo. Cosi’, nella materia della liberta’ di manifestazione del pensiero, lo scenario risulta estremamente magmatico.
Benche’ la formulazione di questo diritto non sia recentissima, benche’ la storia ne abbia collaudato svariate tecniche di controllo, oggi sembra che i quesiti posti dai nuovi mezzi di comunicazione e dall’evoluzione dei costumi stiano cancellando con un colpo di spugna le vecchie impalcature.

Internet non si presta ai classici sistemi di disciplina, anzi, riesce a scavalcarli ed eluderli senza difficolta’, rendendo poco efficaci i controlli verso gli altri mezzi. Per ora, tribunali, dottrina e legislatori stanno cercando di mettere delle toppe ai problemi che mano a mano, nella prassi, sorgono.
Nella convinzione di dover emanare prontamente leggi che ne attutissero i pericoli, sono state avanzate proposte, sia negli ordinamenti stranieri che in quello nazionale, a volte prive di buon senso giuridico.
Gli Stati Uniti sono stati i primi a tentare una regolamentazione dei contenuti del web, con la legge nota come Telecommunication Act del 1996, la cui sezione quinta, il Communication Decency Act, e’ stata dichiarata incostituzionale per contrarieta’ al Primo emendamento, che garantisce la piu’ ampia liberta’ d’espressione.
L’Unione Europea inizia ad occuparsi del problema intorno agli stessi anni, con una serie di attivita’ di tipo consultivo e comunque non vincolante, tra le quali si sottolineano per importanza la risoluzione del Consiglio sulle informazione di contenuto illegale e nocivo su Internet [3], il Libro verde sulla protezione dei minori e della dignita’ umana nei servizi audiovisivi e di Internet [4] della Commissione, il Piano pluriennale d’azione comunitario per l’uso sicuro di Internet [5].
Se a livello internazionale e comunitario il dibattito sulle forme di controllo dei contenuti immessi in Internet e’ vivace, benche’ privo ancora di un quadro normativo comune di riferimento, a livello statale sembra regnare ancora il silenzio, interrotto di tanto in tanto da qualche proposta di legge, che tradisce ansie e timori di chi ancora non si e’ abituato al web.
Mentre l’attenzione continua ad essere concentrata sulla tutela dell’infanzia e dei minori riguardo alle trasmissioni televisive o sulla lotta alla pornografia e alla pedofilia in Internet, l’unica effettiva regolamentazione dei contenuti della rete e’ data dalla legge n. 62/2001 [6], che equipara alla stampa le testate on line, con conseguente obbligo di registrazione e organizzazione editoriale, legge che ha acceso un intenso dibattito per la sua formulazione ambigua e sibillina.
Le altre proposte di regolamentazione tradiscono ansie e timori di chi ancora non si e’ abituato al web.
Affetti da “normomania” [7], si rischia di dimenticare che la legislazione non sempre e’ un rimedio veloce, razionale e di ampia portata contro ogni genere di male e di inconveniente. Al contrario, la soluzione legislativa puo’ essere troppo veloce per essere efficace, troppo imprevedibilmente ampia per essere del tutto benefica e connessa troppo direttamente con le opinioni e gli interessi contingenti di persone per essere un rimedio per tutti gli interessati.

Anche quando si nota tutto questo, la critica e’ di solito diretta contro leggi particolari piuttosto che contro la legislazione come tale, e si cerca sempre il nuovo rimedio in leggi migliori [8]. Cosi’, dichiarata incostituzionale una legge o bocciata una proposta, se ne propone una nuova, nella convinzione dell’adeguatezza dello strumento. L’adozione del processo legislativo, e non solo di questa o quella legge, dovrebbe, invece, essere l’esito di una valutazione molto accurata, al termine della quale non e’ scontato che si proceda per via legislativa.
L’esperienza, infatti, “ha mostrato che, peggiore dell’arbitrio dell’esecutivo puo’ essere la oppressione instaurata dalla legge o divenuta legge e che la generalita’, se pure e’ caratteristica della legge e limita l’arbitrio del legislatore, non costituisce obiettiva garanzia della liberta’, ma solo e se mai del principio di eguaglianza nelle limitazioni della liberta’ (che e’ cosa profondamente diversa)” [9].
Nell’approccio al nuovo mezzo di Internet, prima di intervenire occorre conoscere bene lo strumento e sapere che una legislazione nazionale avrebbe scarsa incisivita’, considerato il carattere transfrontaliero del mezzo. Internet, infatti, non solo e’ multi-giurisdizionale, ma anche a-giurisdizionale [10], poiche’ i luoghi fisici, le frontiere ed i confini geografici sono assolutamente irrilevanti.
Allo stesso modo, interventi che non usassero la tecnologia sarebbero di dubbia efficacia, poiche’ l’immediata e globale fruibilita’ delle notizie immesse in rete rende i contenuti sfuggevoli ai classici controlli.
 L’Unione Europea sembra aver inteso queste difficolta’, se e’ vero che le sue direttive spingono soprattutto verso l’autoregolamentazione come alternativa alla legislazione.
La sfida del giurista e del legislatore consiste proprio nel comprendere cosa e’, come funziona e di quali interventi ha bisogno Internet per essere uno spazio sicuro in cui apprendere e crescere. Solo conoscendo bene il mezzo, anche da un punto di vista tecnico, sara’ possibile intervenire efficacemente con nuove metodologie giuridiche, non necessariamente con delle leggi, o con i tradizionali schemi, se compatibili.
“Non siamo convinti che sia compito del diritto intervenire nelle vite private dei cittadini o cercare di imporre un particolare modello di comportamento oltre quanto e’ necessario per realizzare gli scopi delineati (…): conservare l’ordine e la disciplina pubblica, proteggere il cittadino da cio’ che e’ dannoso o offensivo e fornire una salvaguardia sufficiente contro lo sfruttamento e la corruzione altrui” [11].
Quali interventi, dunque, appaiono appropriati per Internet?

Forse, prima di vigilare sui contenuti immessi, andrebbero risolte questioni piu’ urgenti di privacy, di diritti d’autore, diritti di accesso o di proprieta’ delle infrastrutture [12].
Quanto agli utenti maggiorenni, sembra sproporzionata una loro tutela. Essi sanno scegliere autonomamente le proprie fonti, che fortunatamente sono le piu’ ampie e disparate, essendo la rete uno “straordinario equalizzatore” [13].
Democrazia e liberta’ obbligano a permettere e tollerare anche le idee piu’ sgradevoli e assurde, che, finche’ non costituiscano reato, non sono incriminabili.
Per contrastarle, dunque, non servono leggi o filtri, ma argomenti efficaci che, dialetticamente, vi si oppongano e, stimolando la capacita’ critica degli individui, svolgano un lavoro di informazione di qualita’. L’incoraggiamento della diffusione culturale, in particolar modo, e’ un passo fondamentale per la gioventu’.
Gli adolescenti, nella attuale societa’ dell’informazione, sperimentano sempre meno direttamente ed acquisiscono sempre di piu’ una conoscenza mediata. Dare loro l’opportunita’ di incontrare contenuti che li arricchiscano, anziche’ vietare quelli pericolosi, e’ l’impegno piu’ serio perche’ sappiano distinguere autonomamente cio’ che e’ nocivo da cio’ che e’ positivo per la loro crescita, senza scomodare balie informatiche o responsabilizzare i provider. Chi va responsabilizzata, attraverso la diffusione della cultura, e’ proprio la gioventu’ e, con essa, i genitori, i quali, come non lasciano i figli da soli in mezzo ad una via, finche’ non li reputano maturi per affrontare la vita, cosi’ non dovrebbero lasciarli da soli davanti alle autostrade telematiche.
La famiglia e la scuola prima di tutto, le autorita’ pubbliche sussidiariamente hanno il dovere di insegnare alle nuove generazioni l’uso migliore del computer, una volta che si mette a loro disposizione lo strumento. Se i genitori sono meno esperti dei figli, occorre informare anche loro circa l’utilizzo, i vantaggi e gli inconvenienti della rete, senza demonizzarla.
Per quanto riguarda la tutela dei bambini, infine, sembra che essi siano meno a rischio degli adolescenti. Come si e’ gia’ detto, sono infatti questi ultimi i soggetti piu’ esposti al pericolo di incappare in contenuti nocivi, dati la curiosita’ e il fascino del proibito connaturali alla loro eta’. Per i piu’ piccoli, sembra improbabile che si trovino a navigare davanti ad un computer senza la compagnia di un adulto, cosi’ come sembra improbabile che vengano lasciati soli in un parco pubblico. A maggior ragione, la volontarieta’ degli atti che stanno dietro alla navigazione telematica fa supporre che difficilmente si troveranno da soli davanti ad immagini raccapriccianti o a contenuti offensivi della loro sensibilita’.

Se cio’ dovesse accadere, come e’ accaduto per la pedofilia in rete, una corretta applicazione delle norme penali e una pronta collaborazione internazionale tra le forze di polizia sembra il rimedio migliore e sufficiente.
Come si e’ gia’ sottolineato, la regolamentazione di Internet come mezzo di diffusione del pensiero ai sensi dell’art. 21 Cost. e’ ancora allo stato iniziale. Benche’ la rete sia un mezzo di comunicazione non piu’ nuovissimo, avendo ormai piu’ di trent’anni, solo negli ultimi tempi ha conosciuto un reale successo ed e’ penetrato nella vita quotidiana. Questa diffusione crescente ha destato nei legislatori e nei giuristi l’esigenza di regolamentazione, facendo, forse, tramontare il periodo “anarchico” di Internet.
“The golden age of cyberspace is ending, but the golden age for lawyers is just dawning” [14]. Se pare inevitabile che il diritto intervenga a disciplinare anche aspetti della vita finora lasciati liberi, si puo’ sperare che lo faccia in maniera appropriata e saggia. L’unica cosa che e’ auspicabile evitare e’ una legislazione affrettata, senza una reale conoscenza della materia.
Se nel settore telematico la mancanza di equilibrio tra liberta’ e controllo e’ data dallo stato di confusione e di vuoto normativo, nella cinematografia si puo’ affermare che la causa risiede nel motivo opposto. Qui, infatti, c’e’ gia’ una legge che disciplina il controllo delle opere. Anzi, la questione riguarda proprio la compatibilita’ della legge con l’evoluzione dei costumi e le nuove esigenze della societa’.
Nel 1947 i padri costituenti impressero nell’art. 21 della nostra Carta un principio proprio di ogni democrazia moderna, ma la forte influenza della cultura cattolica apri’ la strada per un controllo anche preventivo degli spettacoli. La legge n. 161/1962 sulla revisione dei film risponde ad un bisogno di sorveglianza del cinema come mezzo di suggestione e persuasione, nonche’ come paradigma di comportamento delle masse.
Tuttavia, “la censura e’ come la pena…non sana le cause” [15]. Per sanare le cause, infatti, di una produzione offensiva del comune senso del pudore o nociva per il sano sviluppo dei minori, la revisione delle commissioni sembra insufficiente. Anche qui, come per le problematiche sollevate da Internet, “affinche’ il cinema possa diventare un coefficiente prezioso di istruzione e di educazione” [16] il divieto alla visione delle opere sembra piuttosto inutile, se non dannoso, come quando le commissioni impediscono ai minori la visione di opere provocatorie, ma stimolanti.
“Non c’e’ forse nessun’altra istituzione su cui oggi (…) non si trovino entusiasticamente d’accordo nel constatarne l’anacronismo”, si scriveva gia’ negli anni Settanta [17].

Eppure, non appena dagli enunciati teorici si passa sul terreno pratico, nascono, anche tra gli spiriti piu’ liberali, tante perplessita’ ed eccezioni, a cominciare dalla difesa dei minori dal potere di persuasione e di corruzione dell’immagine cinematografica. A conferma della difficolta’ di riforma dell’istituto, e’ sufficiente pensare che gia’ nel 1970 il Ministro dello spettacolo predispose un disegno di legge che, abolendo l’istituto, lasciava alle commissioni il solo compito di accertare la presenza di contenuti offensivi per i minori [18].
Oltre al dubbio irrisolto sulla convenienza delle funzioni delle commissioni, resta fermo che la attuale normativa pecca di anacronismo. Non a caso, la sua lettura subisce doverose forzature interpretative che cercano di adeguarla alla realta’ sociale: “scire legis non est verba earum tenere, sed vim ac potestatem” [19].
La sentenza del tribunale di Avellino sull’oscenita’ del film Paprika di Tinto Brass, pronunciata nel 1996 ha quasi ipotizzato, ad esempio, un dovere di informarsi per poter vivere responsabilmente ed in sintonia con la realta’ di ogni giorno, dovere che, nel caso specifico, escluderebbe l’offesa al comune senso del pudore da parte del film, essendo noto a tutti il genere cinematografico del regista. E’ evidente che l’affermazione poggia su un terreno metagiuridico, ma e’ appunto l’inattualita’ della norma in esame a imporre considerazioni metagiuridiche, se non ideologiche [20].
La stessa inattualita’ ha reso possibile un cambiamento ormai condiviso nella prassi della revisione, in base alla quale i divieti sembrano limitati alla proiezione per i minori. Non solo le commissioni di censura, ma anche il legislatore sembrano ormai porre attenzione alla sola protezione della gioventu’, atteso che, da anni, si sta tentando una riforma della legge sulla revisione cinematografica che abbia come unica ratio la tutela della sensibilita’ e della crescita dei piu’ giovani.
Insofferente ad una concezione superata di buon costume e ad un sistema di controllo corporativo che sembra poco adatto ad una societa’ evoluta che non reputa piu’ il cinema “scuola di vizio e crimine” [21], la cinematografia sembra esigere una modifica sostanziale della legge n. 161/1962.
Sebbene il testo sia gia’ stato modificato, abrogando la revisione degli spettacoli teatrali e mutando la composizione delle commissioni censorie, il passo piu’ importante per una definitiva abrogazione del nulla osta generale alla proiezione dei film ancora non e’ stato fatto. Nonostante siano stati formulate proposte di legge che mantengano in vita solo il diniego alla visione per i minori, queste non sono mai riuscite a diventare legge.

L’ultimo di questi disegni e’ in via di definizione e dovrebbe arrivare in aula entro la prossima estate. Le sue previsioni ancora non sono chiare, essendo stato reso noto solo un comunicato stampa da parte del Ministero dei beni culturali, con cui si descrive l’intenzione di eliminare la censura generale e di differenziare in piu’ fasce d’eta’ quella per i minori.
Pertanto, sulla solida base non solo della dottrina, ma anche dei lavori preparatori della legislazione, si auspica un’abrogazione del nulla osta generale, tollerando al piu’ il divieto per i minori. Il criterio da adottare, che le attuali proposte di legge esaminate sembrano recepire, e’ quello della “salvaguardia di un normale sviluppo fisiopsichico, che esclude il minore da esperienze traumatizzanti delle piu’ varie specie. Il minore, in sostanza, secondo la legge deve poter assistere solo a spettacoli che, in base allo stadio del suo sviluppo, sia in grado di valutare senza esserne psichicamente sopraffatto. E’ un criterio di natura psicopedagogica, piu’ che etica” [22].
Si vedra’ nell’immediato futuro se la proposta che dovra’ valutare il Parlamento prima dell’estate rispetta questo principio, ma non si nascondono i sospetti di una confusione normativa di dubbio valore. Cio’ che giova, infatti, alla lotta contro le degenerazioni sociali e’, appunto, la lotta contro quelle degenerazioni, e non semplicisticamente contro le sue rappresentazioni piu’ accattivanti.
Le critiche che, ad ogni modo, si muovono contro la censura non riguardano solo i paradigmi e i criteri con cui viene applicata.
Se da un canto la legge sulla revisione risulta insensibile ai cambiamenti del costume e solo una forzatura interpretativa ne consente l’utilizzo a tutela solo dei minori, dall’altro si dimostra anche priva di efficacia, dato che lo sviluppo della tecnologia permette di scavalcare i divieti imposti.
Il noleggio delle videocassette e’ praticamente aperto a tutti, essendo insufficiente che, per i film vietati ai minori, compaia il relativo avviso nella custodia.
Inoltre, i film vengono spesso registrati anche su Internet, cosicche’ chi eventualmente non possa andare al cinema a vederli potra’ sempre scaricarli dalla rete senza eccessiva difficolta’.
Infine, ci sono film che nascono e muoiono nella rete, opere in tutto simili alle classiche pellicole, con l’unica differenza che non verranno mai distribuite nelle sale e vivranno solo nel Web. Di fronte a queste nuove modalita’ di diffusione delle opere cinematografiche e a questo nuovo concetto di film, la legge del 1962 sembra fare la parte di don Chisciotte contro i mulini a vento.

“La liberta’ dello spettacolo e dello spettatore” [23], in una comunita’ dotata di piu’ profonda capacita’ critica rispetto a ieri, potrebbe essere maggiormente rispettata, senza temere che l’assenza di controlli preventivi, almeno per gli adulti, sia foriera di disordini. La liberta’ di opinione e di espressione, se non e’ vincolata da presunzioni di regolatori, se e’ libera davvero, reagisce da se’ contro le opinioni e le espressioni scadenti, le persegue confrontandosi con esse e, anche se non riesce a sconfiggerle, niente altro puo’ comunque valere contro cio’ che e’ ignobile o immorale.
Di fronte ai problemi posti dagli interventi censori dello Stato sulle opere cinematografiche rimane saggio l’atteggiamento di chi, piu’ di trent’anni fa, osservava con disincanto che “il rapporto fra artista e pubblico e’ troppo delicato perche’ possa essere regolato con la bilancia non sempre precisa delle commissioni di controllo. E non sono neppure cosi’ ottimista da credere che l’uso della liberta’ sia un rimedio perfetto all’abuso della liberta’. In questi anni, tendenti piu’ alla liberta’ che al rigore, ne abbiamo viste troppe per essere fiduciosi fino al candore” [24].
Semplicemente, rispondendo alla domanda con cui si era aperto questo studio, la liberta’ sembra essere il male minore.


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Note del testo


[1] Art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; art. 19 del patto sui diritti civili e politici; art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali; art. 6 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, nella versione consolidata successiva al Trattato di Amsterdam.
[2] B. LEONI, La liberta’ e la legge, liberilibri, Macerata, 1994, p. 5.
[3] G. U. n. C 70 del 06 marzo 1997.
[4] COM (96) 483.
[5] Decisione n. 276/1999, in G. U. n. L 033 del 06 febbraio 1999.
[6] G. U. n. 67 del 21 marzo 2001.
[7] G. LIVRAGHI, E’ proprio vero che possiamo stare tranquilli? Piccolo catalogo di chi non ha voglia di lasciarci in pace, in
www.gandalf.it.
[8] B. LEONI, op. cit., p. 7.
[9] C. ESPOSITO, La liberta’ di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Giuffre’, Milano, 1958, p. 14.
[10] F. CASETTI, La liberta’ di espressione in Internet,
www.studiocelentano.it.
[11] Wolfenden Report, the Commitee on homosexual offences and prostitution, 1959, in B. LEONI, op. cit., p 200.
[12] M. CAMMARATA, Gira e rigira si finisce sempre con le proposte di censura, in
www.interlex.it.
[13] G. ATTARDI, Voglio anch’io il First Amendment, in
www.interlex.it.
[14] “L’eta’ d’oro del ciberspazio sta volgendo al termine, ma l’eta’ d’oro dei giuristi e’ appena cominciata”, HARDY, moderatore della mailing list NewJuris, in
www.studiocelentano.it.
[15] G. ANDREOTTI, citato in T. SANGUINETI, Italia taglia, Transeuropa/Editori Associati, Ancona – Milano, 1999.
[16] Enciclica di Papa Pio XI sul cinema Vigilanti cura, del 29 giugno 1936, in
www.vatican.ca.
[17] G. GAMBETTI, Cinema e censura in Italia, Bianco e nero, Roma, 1972, p. 7.
[18] Proposta di legge dell’on. Matteotti, in G. GAMBETTI, op. cit., p. 13, con ampia rassegna delle notizie dell’epoca apparse nei quotidiani.
[19] CELSO, L. 17 D. De legibus, 1, 3.
[20] U. FERRANTE, In tema di spettacoli cinematografici osceni, in Giur. Merito, 1997, p. 573.
[21] E. POULAIN, Contre le cine’ma. Ecole du vice et du crime, Besançon, 1918, riportato in G. P. BRUNETTA (a cura di), Storia del cinema mondiale, l’Europa, miti, luoghi, divi, Einaudi, Torino, 1999, p. 16.
[22] P. NUVOLONE, Voce Spettacoli e trattenimenti pubblici, in Noviss. Dig. It., Utet, Torino, 1980, p. 1189.
[23] N. BOBBIO, Liberta’ dello spettacolo e dello spettatore, in Cinema nuovo, 1962, p. 343.
[24] N. BOBBIO, op. cit., p. 351.

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