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Legittime le scommesse su eventi sportivi on line?

16 Novembre 2003 Commenta

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea boccia il nostro paese nello specifico settore delle scommesse clandestine on line sancendo che una normativa nazionale, come quella italiana, contenente divieti – penalmente sanzionati – di svolgere attivita’ di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla liberta’ di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli artt. 43 CE e 49 CE.
Naturalmente la Corte, come previsto, lascia al giudice del rinvio la decisione circa la rispondenza della normativa nazionale, alla luce delle sue concrete modalita’ di applicazione, ad obiettivi tali da legittimare la stessa o meno.
Il caso era sorto due anni fa quando il Tribunale di Ascoli Piceno sottopose alla Corte, con ordinanza del 30 marzo 2001, a norma dell’art. 234 CE, una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE.

La detta questione era stata sollevata nell’ambito di un procedimento penale a carico di 137 indagati accusati di aver organizzato abusivamente scommesse clandestine e di essere proprietari di centri che effettuerebbero attivita’ di raccolta e trasmissione di dati in materia di scommesse, il che costituisce un reato di frode contro lo Stato.
L’attivita’ illecita si sostanziava in una comunicazione da parte del giocatore al responsabile dell’Agenzia italiana delle partite sulle quali intendeva scommettere e indicazioni della somma giocata; invio, da parte della predetta agenzia, via Internet, della richiesta di accettazione al bookmaker con indicazione degli incontri di calcio nazionali in questione e delle puntate effettuate; invio, da parte del bookmaker, via Internet e in tempo reale, della conferma dell’accettazione della scommessa; trasmissione di tale conferma, da parte dell’agenzia italiana, al giocatore e pagamento di quest’ultimo del corrispettivo dovuto all’agenzia, inoltrato poi al bookmaker su apposito conto estero. Tale attivita’ e’ stata considerata in contrasto con il regime di monopolio sulle scommesse sportive attribuito al CONI e integrante la fattispecie di reato prevista dall’art. 4 della legge n. 401/89. Ma il coinvolgimento di un bookmaker straniero coma la Stanley International societa’ regolarmente registrata nel Regno Unito e che svolge attivita’ di bookmaker sulla base di una licenza rilasciata dalla Citta’ di Liverpool ai sensi del Betting Gaming and Lotteries Act, con facolta’ di svolgere tale attivita’ nel Regno Unito e all’estero, ha fatto inevitabilmente nascere delicati problemi di diritto comunitario.

In effetti la normativa comunitaria in materia e’ particolarmente favorevole alla liberta’ di stabilimento dei cittadini di un Stato membro nel territorio di un altro Stato membro nonche’ alla liberta’ di prestazione dei servizi. A conferma di quanto sostenuto basta citare l’art. 43 CE il quale dispone che “nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla liberta’ di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresi’ alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro. La liberta’ di stabilimento importa l’accesso alle attivita’ non salariate e al loro esercizio, nonche’ la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di societa’ ai sensi dell’articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali”. Ma anche l’art. 49, primo comma, CE dispone che “nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunita’ sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunita’ che non sia quello del destinatario della prestazione”.

Appare, quindi, piuttosto evidente il contrasto tra la normativa italiana (che agli artt. 4, primo comma e segg., 4 bis e 4 ter della legge n. 401/89, come da ultimo modificata con l’art. 37, quinto comma, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, prevede divieti – penalmente sanzionati – di svolgimento delle attivita’, da chiunque e ovunque effettuate, di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, in particolare, su eventi sportivi, in assenza di presupposti concessori e autorizzatori prescritti dal diritto interno) e la normativa comunitaria.
Difatti vietando ai cittadini italiani di collaborare con societa’ straniere al fine di effettuare scommesse e di ricevere in tal modo i servizi offerti da tali societa’ via Internet, proibendo agli intermediari italiani di offrire le scommesse gestite dalla Stanley, impedendo a quest’ultima di stabilirsi in Italia mediante i detti intermediari e di offrire cosi’ in tale Stato i propri servizi provenienti da un altro Stato membro e, dunque, creando e mantenendo un monopolio nel settore del giuoco e delle scommesse, la normativa italiana costituirebbe una restrizione sia alla liberta’ di stabilimento sia alla libera prestazione di servizi.
In particolare la Corte di Giustizia ha ritenuto, in primo luogo, che i requisiti dettati dalla normativa italiana per partecipare ai bandi di gara, ai fini dell’attribuzione delle concessioni in materia di scommesse costituiscano un ostacolo alla liberta’ di stabilimento.

Secondo la Corte nella misura in cui l’assenza di operatori stranieri tra i concessionari del settore delle scommesse relative ad eventi sportivi in Italia e’ dovuta alla circostanza che la normativa italiana in materia di bandi di gara esclude, in pratica, che le societa’ di capitali quotate sui mercati regolamentati degli altri Stati membri possano ottenere concessioni, la detta normativa nazionale costituisce, prima facie, una restrizione alla liberta’ di stabilimento, anche se tale restrizione si impone indistintamente a tutte le societa’ di capitali potenzialmente interessate da tali concessioni, indipendentemente dal fatto che abbiano sede in Italia o in un altro Stato membro.
In secondo luogo la Corte sul presupposto che l’art. 49 CE vada interpretato nel senso che concerne i servizi che un prestatore offre telefonicamente a potenziali destinatari stabiliti in altri Stati membri e che questi fornisce senza spostarsi dallo Stato membro nel quale e’ stabilito, ha ritenuto che la disposizione comunitaria riguarda i servizi che un prestatore quale la Stanley, con sede in uno Stato membro, nella specie il Regno Unito, offre via Internet – e dunque senza spostarsi – a destinatari che si trovino in un altro Stato membro, nella specie la Repubblica italiana, sicche’ ogni restrizione a tali attivita’ costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi da parte di un tale prestatore.
Spettera’ adesso al giudice del rinvio esaminare se tali restrizioni possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero se possano essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale.

L’organo comunitario ha pero’ aggiunto che per risultare giustificate, le restrizioni alla liberta’ di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi devono presentare i requisiti previsti dalla giurisprudenza della Corte e quindi devono, in primo luogo, essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale; in secondo luogo, devono essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e, in terzo luogo, non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo.
In ogni caso, devono essere applicate in modo non discriminatorio.

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