Microsoft rivendica diritti di brevetto per la formattazione
Microsoft ha deciso di rivendicare i diritti sulla formattazione FAT: Bill Gates propone il pagamento di 25 centesimi di dollaro a pezzo o di una cifra forfettaria di 250.000 dollari a costruttore. I dispositivi di memorizzazione si basano, infatti, su un processo sviluppato nel 1976 tramite il linguaggio di programmazione Basic e di cui il big di Redmond ne detiene i diritti di brevetto. Quindi i costruttori di tutti i tipi di schede di memoria potrebbero incorrere in problemi legali inerenti la violazione dei diritti di proprieta’ intellettuale. Una situazione che interessa anche i costruttori di determinati apparecchi elettronici come videocamere digitali, fotocamere digitali, stampanti multifunzione, riproduttori audio/video portatili, visualizzatori di foto digitali, strumenti musicali e televisori.
Il diritto rivendicato dalla Microsoft e’ destinato a far discutere molto in quanto potra’ assumere una dimensione davvero insospettabile per la diffusione internazionale che ha assunto il brevetto di FAT nato nel 1976 e liberamente usato in special modo dai produttori di memorie flash e fotocamere digitali, tra queste il colosso Lexar Media.
Come e’ noto FAT sta per (File Allocation Table) ed e’ la “tabella”, utilizzata da alcuni sistemi operativi, che tiene traccia di come sono distribuiti i dati (file) nel disco (sia HD sia FD). Di fatto quando si cancella un file dal disco, questi non viene rimosso fisicamente, ma viene cancellato il suo riferimento nella FAT rendendo quindi disponibile alla sovrascrittura lo spazio da esso occupato.
Chiaramente la questione sollevata dalla Microsoft riporta alla ribalta la recente decisione dell’Europarlamento di concedere il via libera alla relazione sulla direttiva per la brevettabilita’ delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici.
La questione e’ ormai annosa e nonostante diversi interventi legislativi e giurisprudenziali che hanno contraddistinto non solo l’Italia ma anche tanti altri paesi dell’Unione Europea, mai e’ stato sopito il grande dibattito sulla effettiva natura giuridica del software e sulla sua tutelabilita’. La proposta di direttiva UE, che in effetti rivede (in parte) quanto gia’ stabilito in precedenti interventi comunitari, costituisce un’ampia conferma di quanto sopra sostenuto.
La dottrina dominante del nostro paese ha sempre affermato che il valore del software, anche dal punto di vista giuridico, non sta nel supporto su cui e’ registrato, ma nel suo contenuto creativo-ideativo; il pericolo che corre il suo autore non e’ tanto quello che gli sia sottratto quel supporto, ma che quel contenuto (nella maggior parte dei casi frutto d’anni di lavoro) sia plagiato da altri (BORRUSO).
La tutela giuridica del software, di conseguenza, non puo’ essere assicurata dalle norme civili e penali che difendono la proprieta’ o il possesso di beni materiali ma da altri specifici strumenti.
Se da un lato, i produttori di software hanno fatto e continuano a fare ricorso a difese di carattere tecnico e commerciale, quali l’uso di “trappole†difensive di carattere elettronico, sistemi di protezione fisica del programma e l’adozione di particolari politiche di distribuzione, dall’altro si e’ cercato di trovare nell’ambito del diritto quelle misure idonee a garantire le energie intellettuali investite nell’attivita’ di programmazione contro le altrui illecite appropriazioni (ALPA).
Tra gli strumenti giuridici utilizzabili a questo fine alcuni, quali le previsioni appositamente inserite nel contratto tra fornitore ed utente allo scopo di disciplinare l’utilizzazione del programma e gli obblighi di fedelta’ sanciti a carico del prestatore di lavoro dall’art. 2105 c.c., presentano lo svantaggio di apprestare una tutela puramente obbligatoria, limitata, in pratica, alla diretta controparte del rapporto contrattuale ed inoperante nei confronti di terzi estranei; analoghi limiti soggettivi circoscrivono sensibilmente l’operativita’ e l’efficacia dei rimedi rintracciabili nell’ambito della normativa dedicata al segreto industriale (art. 623 c.p.) ed alla concorrenza sleale.
Tale obiettivo condizionamento ha indotto i giuristi a privilegiare, nella ricerca di una soluzione adeguata, l’area dei diritti di privativa (i soli in grado di garantire una tutela erga omnes) previste per le creazioni intellettuali. La conseguenza di tale impostazione e’ stata che l’intero dibattito nazionale sulla protezione giuridica del software ha oscillato, fin dalle sue prime battute, fra due poli: quello della disciplina dei brevetti da un lato, e del diritto d’autore dall’altro, quali classiche forme di tutela della proprieta’ intellettuale.
In ambito internazionale, il paese che per primo ha risolto la questione della tutela dei programmi per elaboratore sono stati gli U.S.A. che con il “Computer Software Copyright Act†del 12 dicembre 1980, prevedendo la registrabilita’ dei programmi, hanno considerato gli stessi opere d’ingegno e non invenzioni, in quanto privi dei requisiti necessari di novita’ ed originalita’.
Piu’ in particolare negli USA, secondo un indirizzo dottrinale al quale fu dato il nome di “copyright approachâ€, si ritenne che i programmi per elaboratore potessero essere qualificati come “literary works†e, quindi, protetti con le stesse norme in tema di copyright.
In seguito numerosi paesi (Germania, Francia, Regno Unito) hanno seguito la stessa via segnata dagli USA emanando delle leggi a tutela dei programmi per elaboratore.
In Italia, in particolare, prima del d.lgs. n. 518/92 (che ha modificato la legge n. 633/41) con il quale in aderenza all’indirizzo comunitario e’ stata privilegiata la soluzione del diritto d’autore, il problema della tutela del software era stato affrontato esclusivamente sotto il profilo giurisprudenziale.
In sostanza, la lacuna della legge era colmata, anche se in maniera non pacifica, ricorrendo analogicamente alla disciplina per la tutela del diritto d’autore; in un primo momento, infatti, la questione era stata esaminata e risolta in modo contrastante con riferimento al fenomeno dei videogames (Ordinanza Pretura di Torino del 25 maggio 1982) per poi trovare una definizione compiuta in una successiva sentenza del Tribunale di Torino, 15 luglio/17 ottobre 1983, che, decidendo in sede di appello, ripudiava la tesi seguita dal Pretore di quella citta’ e qualificava i videogiochi come un tipo particolare di opera cinematografica.
La Pretura di Bologna, con sent. 24 aprile 1986 (seguita poi dalla Pretura di Roma con Ordinanza del 4 luglio 1988) apriva un nuovo e decisivo filone per il “software detto residente o di base†negandogli il carattere di opera dell’ingegno e precisando che il dibattito teorico sino ad allora sviluppatosi sulla proteggibilita’ del software e sul tipo di tutela da adottare aveva avuto riguardo, prevalentemente al software “applicativo†e non a quello “residenteâ€.
Per quest’ultimo il Pretore ritenne che non era possibile usufruire della tutela penale invocata (ai sensi dell’art. 171 l. 22 aprile 1941) per una serie di ragioni ricavabili dall’interpretazione sistematica e letterale della norma in esame.
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