Il tuo studio legale su Internet contestato dai Consigli degli Ordini forensi
Il tuo studio legale su Internet non e’ in linea con il Codice Deontologico Forense avuto riferimento al famigerato art. 17. I Consigli degli Ordini Forensi di Brescia e di Vigevano hanno infatti contestato tale testo di inserzione pubblicitaria del Centro Studi Juris Quick sulla Rivista “La Previdenza Forenseâ€, in quanto “il nuovo codice deontologico forense consente a tutti gli avvocati italiani di farsi pubblicita’ su Internet†e la pagina web offerta dal Centro Studi puo’ essere utilizzata dal legale “per pubblicizzare le attivita’ del proprio studio e per offrire delle consulenze legali on lineâ€. Secondo i Consigli dell’Ordine il codice deontologico non consente agli avvocati italiani di farsi pubblicita’ ed addirittura viene contestato lo stesso contenuto del sito Internet in argomento in quanto tra l’altro contrario al divieto di accaparramento di clientela.
Come e’ noto il 26 ottobre 2002 il Consiglio Nazionale Forense ha approvato il nuovo Codice deontologico, il quale all’art. 17 precisa che “e’ consentito all’avvocato dare informazioni sulla propria attivita’ professionale, secondo correttezza e verita’, nel rispetto della dignita’ e del decoro della professione e degli obblighi di segretezza e di riservatezza. L’informazione puo’ essere data attraverso opuscoli, carta da lettere, rubriche professionali e telefoniche, repertori, reti telematiche, anche a diffusione internazionale……â€. Nonostante la norma appaia piu’ esaustiva della precedente prevedendo ampiamente la possibilita’ di dare informazioni sulla propria attivita’ professionale on line, permangono ancora molti dubbi sulla reale portata della disposizione e su molti aspetti collegati alla presenza in rete degli studi legali e la dimostrazione si e’ avuta con il “caso†sopra descritto che ha fatto nascere nuove polemiche su un argomento gia’ molto contestato.
Innanzitutto, alla luce dell’art. 17 del Codice deontologico bisogna tenere ben distinti (cosa non facile) i due concetti di pubblicita’ (non consentita) ed informazioni (consentite) e cio’ che preoccupa non e’ tanto la definizione, piuttosto chiara, contenuta nel D.lgs. n. 74 del 25/01/92 in tema di pubblicita’ (“qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attivita’ commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di serviziâ€), ma quella sicuramente piu’ equivoca elaborata dal Giuri’ della Autodisciplina Pubblicitaria che per pubblicita’ intende ogni forma di relazione comunicativa intrattenuta dall’impresa con il mercato per cui deve considerarsi pubblicita’ anche ogni comunicazione che sia di supporto, in modo intenzionale ed interessato, allo sviluppo di un’attivita’ economica.
La fortuna e’ che almeno da un punto di vista soggettivo si parla specificamente di impresa, perche’ altrimenti una definizione cosi’ ampia di pubblicita’ lascerebbe pochi spazi all’informazione.
Appare comunque evidente che qualora uno studio legale si limiti a descrivere il proprio campo di interesse oltre che alle solite informazioni di carattere soggettivo e logistico (composizione, sede, specializzazioni) non sussistano dubbi sulla legittimita’ della comunicazione.
In effetti nel caso di specie l’espressione utilizzata dall’inserzione pubblicitaria puo’ essere indubbiamente considerata equivoca, pero’ bisogna anche intendersi su cosa si intenda per pubblicita’ in quanto questa espressione, interpretata nel suo significato piu’ ristretto, non è sicuramente difforme dal tenore della previsione deontologica. Anche la semplice informazione puo’ essere considerata pubblicita’ ed allora non avrebbe senso “l’apertura†dell’art. 17 del codice. D’altro canto viene contestato lo stesso servizio del Centro Studi e questo per la verita’ mi sembra un po’ “esageratoâ€. Il servizio in argomento si limita a concedere ad ogni legale (quindi senza nessuna discriminazione) un pagina web nella quale vengono descritte le attivita’ di interesse dello studio, oltre alle solite informazioni di utilita’ generale (composizione eventuale dello studio, ubicazione). Inoltre e’ prevista la possibilita’ di consulenze on line ed addirittura servizi quali il deposito di atti giudiziari, la tassazione degli stessi ecc.
Onestamente credo che, alla luce della sempre crescente informatizzazione della nostra societa’ in linea anche con le politiche innovative del nostro Governo, i servizi offerti dal Centro Studi Juris Quick non solo siano da ritenersi conformi al codice deontologico nazionale, ma addirittura vadano elogiati ed incoraggiati. Del resto la vasta adesione degli studi legali rappresenta un’ovvia conferma della bonta’ del servizio.
Ad onor del vero bisogna precisare che e’ in discussione un regolamento, che avuto riferimento all’uso della Rete da parte di un avvocato, consente la creazione di siti web, purche’ propri dell’avvocato o di legali associati, nei limiti dell’informazione e previa segnalazione al Consiglio dell’Ordine. Sul contenuto dell’informazione non sembra che ci siano particolari chiarimenti e se vogliamo e’ proprio questo il nodo principale da sciogliere, in caso contrario le contestazioni saranno sempre all’ordine del giorno.
Da non ultimo alcuni, hanno addirittura sollevato dubbi sulla legittimita’ della scelta di un’estensione .com al dominio di uno studio legale in quanto la dottrina tecnica e’ unanime nel ritenere che il gTLD .com serve ad identificare un sito con contenuto prevalentemente commerciale.
E’ chiaro che in Italia l’esercizio della professione legale non e’ in alcun modo assimilabile a concetti di natura commerciale e d’altro canto la stessa legge professionale forense considera incompatibile con la professione l’esercizio di un’attivita’ commerciale. Ben altra storia in Europa dove gli studi professionali vengono assimilati alle imprese ed anche ad essi si ritengono applicabili le regole della concorrenza commerciale e della pubblicita’.
Forse e’ il caso che anche il nostro paese cerchi di seguire il modello europeo: non sempre le prerogative nazionali vanno difese come un tesoro inespugnabile.
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