Home » Focus del mese

Il valore dell’e-mail nel commercio elettronico e nell’aula di un Tribunale

10 Febbraio 2004 Commenta

Un documento e-mail puo’ essere prodotto in giudizio a sostegno dei nostri diritti? Una proposta contrattuale e’ valida e rilevante se inoltrata via e-mail?
L’e-mail rappresenta un valido documento scritto? Puo’ essere sottoscritto validamente un contratto attraverso lo scambio di e-mail? E questa sottoscrizione vale anche per le cosi’ dette clausole vessatorie (art. 1341 2° comma c.c.) che devono essere specificamente approvate per iscritto?
Sono validi e rilevanti gli scambi telematici conclusi attraverso la sottoscrizione “point&click” (e cioe’ attraverso la digitazione del tasto negoziale “accetto”)?
La sottoscrizione “point&click” puo’ essere utilizzata per le clausole vessatorie?

Da una pronuncia del tribunale di Cuneo lo spunto per discutere sulla congruita’ delle norme sul documento informatico e sull’utilita’ della loro applicazione alle transazioni tra privati nel libero mercato globale


Queste e simili domande continuano ad animare il dibattito giuridico dei giuristi che si interessano di diritto delle nuove tecnologie e le isolate pronunce giurisprudenziali su tali materie non hanno certo fatto chiarezza in proposito (si veda in particolare la controversa e giustamente criticata pronuncia del Giudice di Pace di Partanna – pubblicata da La Pratica Forense  – secondo la quale la specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie potrebbe validamente manifestarsi attraverso un semplice e doppio “point&click”).
I dubbi in dottrina si giustificano, come al solito, con la mancanza di chiarezza sul versante legislativo nazionale e comunitario, dove – come vedremo – invece di guardare con attenzione cosa succede nella prassi dell’e-commerce internazionale e, quindi, regolamentare giuridicamente l’esistente, si cerca di imporre strumenti (come la firma “digitale”) pensati per la Pubblica Amministrazione e poco adatti alle esigenze di autoregolamentazione dei mercati internazionali.
Proviamo ancora una volta, quindi, a trattare della validita’ ed efficacia del documento informatico e della firma elettronica, perche’ recentemente il Tribunale di Cuneo ha emesso (in data 15.12.2003) un decreto ingiuntivo (n. 848/03) condannando una societa’ XX al pagamento di un credito vantato da altra societa’ YY e fatto valere in giudizio sulla base del contenuto di alcune e-mail intercorse in precedenza tra le parti stesse (notizia apparsa sul sito giuridico Studium Fori).

Il provvedimento in parola e’ di particolare interesse rappresentando una delle prime pronunce di un Giudice italiano sul complesso ed articolato tema della validita’ e producibilita’ in giudizio dei documenti informatici. L’argomentare del Tribunale di Cuneo, che per taluni aspetti appare condivisibile, rappresenta di certo uno stimolo per ulteriori riflessioni e studi da parte di quanti hanno a cuore le conseguenze giuridiche connesse alla diffusione delle nuove tecnologie informatiche nella contrattazione commerciale nazionale e soprattutto internazionale.
Il nocciolo della questione si traduce in questo: l’e-mail e’ un documento informatico sprovvisto di qualsivoglia firma elettronica e percio’ equivalente ad una mera riproduzione meccanica (quale una semplice fotocopia), ovvero e’ un documento informatico provvisto di firma elettronica almeno “leggera” soddisfacendo, cosi’, il requisito della “forma scritta”?

Il controverso e dibattuto quadro normativo nazionale di riferimento e’ rappresentato dal Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (D.P.R. 445/2000, cosi’ come modificato dal D. Lgs. 23 gennaio 2002, n. 10, dalla legge 16 gennaio 2003, n. 3 e dal D.P.R. 7 aprile 2003, n. 137) a tenore del quale, tra l’altro, la firma elettronica e’ “l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica” (art. 1, comma primo, lett. c).
In parole piu’ semplici, si ha un documento informatico provvisto di firma elettronica leggera nel momento in cui dati elettronici connessi tra loro rendano in qualche modo “riconoscibili” le parti; riconoscibilita’ che puo’ realizzarsi, quindi, attraverso i cd. metodi di autenticazione informatica – trattasi cioe’ dell’ insieme degli strumenti elettronici e delle procedure per la verifica indiretta dell’identita’, secondo la definizione fornita dal D. Lgs. 196/2003 all’art. 4, comma 3 lett. c) – quali ad esempio, l’uso di password o di codici d’identificazione personale1.
Secondo le argomentazioni poste a sostegno del ricorso presentato dall’avv. Marco Cuniberti, e quindi confermate dal Tribunale di Cuneo, non si dovrebbero nutrire dubbi nel considerare un’e-mail alla stregua di un documento informatico provvisto di firma elettronica leggera dal momento che quella connessione biunivoca richiesta dalla legge, e a cui abbiamo innanzi accennato, ben si realizza con l’invio di una missiva di tal genere.
Infatti, “per poter accedere ad un dato indirizzo (come quello utilizzato dalla debitrice) per inviare o controllare se si sono ricevute e-mail, occorre conoscere ed inserire i suddetti dati identificativi (oppure utilizzare programmi – quale ad esempio Microsoft Outlook Express – che inseriscono automaticamente tali dati ogni volta che ci si connette alla rete internet), procedendo quindi alla necessaria procedura di validazione”; e cio’ sembrerebbe, alla luce della normativa vigente, sufficiente a soddisfare la sottoscrizione con firma elettronica leggera e, quindi, il requisito della forma scritta.

Sara’ poi compito del giudice valutare il valore probatorio di tale documento in giudizio e verificarne, quindi, la genuinita’ e riconducibilita’ effettiva del suo contenuto al titolare dell’indirizzo e-mail utilizzato.
E, infatti, la normativa in oggetto attribuisce la validita’ di forma scritta al documento provvisto di semplice firma elettronica (leggera) e non al solo documento provvisto di firma elettronica avanzata (e, cioe’, quel documento provvisto di firma elettronica ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisca la connessione univoca al firmatario e la sua univoca identificazione, creata con mezzi sui quali il firmatario puo’ conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati).
Nel caso di specie il Giudice di Cuneo sulla base del contenuto di alcune e-mail ha emesso il provvedimento in parola.

Facciamo largo, quindi, ai messaggi di posta elettronica nei giudizi?
Probabilmente si’ e non ci resta che aspettare ulteriori pronunce giurisdizionali.
Fin da ora, comunque, possiamo dire che il notevole successo della posta elettronica, anche nel mondo degli affari, ha determinato un fenomeno di massa che non puo’ ne’ deve rimanere privo di una regolamentazione di tipo legislativo.
Bene ha fatto dunque il Giudice di Cuneo ad accettarne la sua produzione in giudizio (d’altronde sin dalla lontana Bassanini bis – art. 15, secondo comma, L. n. 59/97 – gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonche’ la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge) e, forse, anche a considerare l’e-mail alla stregua di un documento provvisto di firma elettronica leggera e, quindi, ad attribuirle implicitamente il requisito legale della forma scritta; la sua pronuncia certamente contribuisce a rendere il mondo della rete piu’ “reale”.
Cosi’, se nel commercio elettronico (anche e soprattutto internazionale) abbiamo oramai abbandonato penne e francobolli per usare un PC connesso in rete, non dobbiamo dimenticare che tutto cio’ che si poteva o non si poteva scrivere con la semplice penna lo si puo’ o non lo si puo’ scrivere con una semplice e-mail.
Queste considerazioni non sembrano del tutto avventate, se si ricorda che la firma elettronica e la sottoscrizione cartacea sono per loro natura ontologicamente diverse. La firma elettronica comporta necessariamente una “spersonalizzazione” del documento, prima legato fisicamente ad un soggetto attraverso la sottoscrizione2: prima era la grafia il criterio di collegamento, oggi e’ un meccanisco informatico! E i “meccanismi informatici” che legano in qualche modo il documento ad un soggetto possono essere tanti (dall’associazione di “id” e “pw” alla chiave biometrica): tutti piu’ o meno sicuri nell’attribuire la paternita’ e la non modificabilita’ a quel documento3.

La firma elettronica leggera, quindi, non e’ stata definita dal nostro legislatore in base alla tecnica utilizzata per creare l’associazione del documento al suo titolare e questo con la precisa intenzione di lasciare ampia liberta’ nel commercio elettronico tra privati. La firma elettronica leggera ha  cosi’ una sua autonoma rilevanza rispetto alla firma digitale e non va confusa con la stessa: essa, pur non assicurando, con sicurezza paragonabile alla firma digitale, l’immodificabilita’ e la provenienza del documento , comunque permette di associare (o meglio attribuire) un documento ad un soggetto (ne’ piu’ ne’ meno di un comune telefax).
E a questa fattispecie molto ampia di firma elettronica leggera (nella quale rientrerebbe anche l’e-mail) il legislatore ha voluto garantire un minimo di rilevanza giuridica (validita’ di forma scritta anche se liberamente valutabile dal giudice dal punto di vista probatorio4) .

Tali argomentazioni andrebbero a confermare quanto detto in un precedente articolo apparso su Punto informatico e riferito proprio alla sottoscrizione “point&click” per il trattamento elettronico di dati personali in aree riservate e protette del sito web e previa autenticazione informatica con ID e PW (Legittima la registrazione alla Personal Zone?).
Da cio’ consegue una considerazione piu’ generale.
Osservando l’evolversi della globalizzazione dei mercati, dell’allargamento delle frontiere e dell’intrecciarsi degli scambi commerciali internazionali (fenomeni addebitabili non certo alla sola evoluzione di Internet, ma precedenti alla stessa nascita della Rete) non si puo’ non evidenziare come la legislazione sulla firma “digitale” appaia un po’ in controtendenza rispetto alle politiche legislative sopranazionali, almeno per quanto concerne l’angolo di osservazione del giurista attento alle tematiche del diritto commerciale internazionale.
Nel Commercio Internazionale il legislatore sopranazionale e’ da sempre intervenuto per regolamentare delle prassi gia’ consolidate, anche servendosi del potere “codificatore” di altre organizzazioni internazionali, quali la ICC (International Chamber of Commerce). Tale fenomeno lo si osserva, per fare soltanto qualche esempio, con gli Incoterms, con i crediti documentari, con le lettere d’intenti, con i contratti-standard internazionali e negli stessi arbitrati internazionali, ma anche in Convenzioni Internazionali di largo respiro (quali la Convenzione di Vienna del 1980) o negli stessi Principi Unidroit.
Con l’avvento di Internet e del commercio elettronico (intrinsecamente internazionale), invece, la corsa forsennata verso una stretta regolamentazione di ogni singola realta’ tecnologica lascia a volte senza parole, anzi per meglio dire senza fiato (considerando gli sforzi necessari a noi giuristi per star dietro a questa copiosa, complessa, contraddittoria evoluzione legislativa).

Il legislatore ha voluto imporre alla prassi l’utilizzo di alcuni particolari strumenti “inventati” ad hoc (quali la “vecchia firma digitale”), ovviamente senza riuscirci (almeno sino ad oggi5).
Effettivamente le esigenze nuove di sicurezza e d’imputabilita’ giuridica dello scambio telematico internazionale necessitano di particolare attenzione, ma almeno negli “affari tra privati” non sarebbe piu’ giusto (come e’ gia’ stato in passato) affidarsi al potere di una necessaria autoregolamentazione? Non sarebbe piu’ normale guardare quel che succede negli affari telematici e cercare di intervenire con delle piccole correzioni giuridiche su quelle prassi piuttosto che mirare ad imporre nuovi strumenti mai utilizzati nell’e-commerce?
Cio’ che ha un senso nei rapporti tra Pubbliche Amministrazioni e tra Pubbliche Amministrazioni e privati non necessariamente deve avere un senso nei rapporti “piu’ liberi” tra privati … e per tali motivi questo decreto ingiuntivo6 (e cosi’ i futuri che verranno) dovrebbe forse far aprire un po’ gli occhi a chi continua a desiderare stringenti regolamentazioni tecniche anche in aree di scambio da sempre affidate alla libera creativita’ dei loro protagonisti.


Andrea Lisi
Direttore Scientifico del
Corso di Alta Formazione post-graduate in Diritto & Economia del Commercio Elettronico Internazionale.
Curatore del Portale per l’ICT & Internazional Trade








[1] D’altronde, questa tesi (secondo la quale ID e PW possono in qualche modo rappresentare una forma di autenticazione informatica e, quindi, costituire una “firma elettronica”) è stata già avallata da recente autorevole dottrina (si veda, ad esempio, la posizione di A. Graziosi, AA. VV. Il documento informatico e la sua efficacia probatoria nel processo civile, in un recente testo edito dalla Giappichelli dal titolo Commercio Elettronico Documento Informatico e Firma Digitale a cura di C. Rosello, G. Finocchiaro e E. Tosi pg. 543; o ancora G. Finocchiaro, in Firma digitale e Firme elettroniche, profili privatistici, Giuffrè editore, 2003, pg. 35 e ss. o il recente articolo di Vito Amendolagine, sempre a commento del decreto del Tribunale di Cuneo, dal titolo “Il valore probatorio dell’e-mail nel ricorso per ingiunzione di pagamento” apparso di recente su Diritto e Giustizia, Giuffrè editore) e già c’erano state in proposito decisioni di altri giudici meno pubblicizzate (citiamo, a titolo di esempio, il decreto ingiuntivo n. 704/2002 emesso il 26 marzo 2002 dal Tribunale di Venezia su presupposti molto simili o ancora D.I. n.89/04 emesso dal Tribunale di Bari del 19.12.03 dep. il 20.01.04).




[2] Per un approfondimento si consiglia F. Sarzana di Sant’Ippolito, Il legislatore italiano e le firme elettroniche: la crisi del principio di unitarietà della sottoscrizione, da “Il Corriere Giuridico” n.10/2003 – pg. 1375 ss. IPSOA e G. Finocchiaro, già cit., pg. 39 e ss.


[3] Cfr. Commissione delle Comunità Europee, Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a regole comuni sulle firme elettroniche, COM (1998) 297 def., par. I: “Esistono svariati metodi per firmare documenti in modo elettronico: da quelli molto semplici (ad esempio l’inserimento, in un documento realizzato con un programma di trattamento testi, dell’immagine ottenuta per scansione di una firma autografa) a quelli estremamente avanzati (ad esempio, le firme digitali che utilizzano la ‘crittografia a chiave pubblica’)”.


[4] In verità, sono già presenti nel nostro ordinamento normative penali che parificano il documento informatico (quale l’e-mail) al documento cartaceo (si pensi, ad ad esempio, all’art.  491 bis c.p.) e anche dal punto di vista “contrattuale” nei rapporti di subfornitura c’è una legge che ha previsto questa parificazione (L. 192/1998 -“Disciplina della subfornitura nelle attività produttive” art. 2.1: “Il rapporto di subfornitura si instaura con il contratto, che deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità. Costituiscono forma scritta le comunicazioni degli atti di consenso alla conclusione o alla modificazione dei contratti effettuate per telefax o altra via telematica.”).
Si ricorda in proposito il Regolamento comunitario n. 41/2001 del 22 dicembre 2000 l’ art. 23 (in materia di clausole attributive della competenza), il quale recita testualmente al secondo comma “la forma scritta comprende qualsiasi comunicazione con mezzi elettronici che permetta una registrazione durevole della clausola attributiva di competenza“.
Anche nell’ordinamento tedesco, la legge federale entrata in vigore il 1° gennaio 2001 prevede che il patto di proroga del foro debba essere stipulato per iscritto (art. 9 cpv. 2), ammettendo tra le forme scritte telefax e e-mail. E in Irlanda si attribuisce generale rilevanza alle informazioni in forma elettronica. Considerazioni favorevoli a questa “parificazione” tra e-mail e documento scritto si trovano anche in un documento della Commissione Affari Costituzionali  del Parlamento Europeo, dal titolo “documento di lavoro sulla modifica dell’ articolo 174 del regolamento, presentazione delle petizioni per posta elettronica“.
Per chi voglia approfondire lo studio da un punto di vista comparatistico c’è sempre l’imponente studio dell’Università di Leuven all’interno del quale emerge con chiarezza come vi siano due tendenze in Europa:
– una maggiormente legata alla autoregolamentazione e alle esigenze del mercato e che mira a conferire rilevanza formale anche a firme elettroniche leggere e “poco definite” (e la cui rilevanza probatoria viene affidata alla prudente valutazione del giudice)
– l’altra maggiormente legata alla tradizione giuridica e alle “certezze” del cartaceo e che mira a legare l’evoluzione del documento informatico a strumenti più rigidi, quali la firma digitale.
Questa altalenante tendenza si riflette anche nelle poche pronunce giudiziali in materia: “in un caso (Corte di prima istanza di Atene, decisione 1337/2001) è stato affermato che l’indirizzo di posta elettronica soddisfa le funzioni della sottoscrizione manuale (identificazione univoca del firmatario e nesso tra questi e il suo indirizzo di posta); mentre in un altro (AG Bonn, decisione 25 ottobre 2001) il disconoscimento è stato pieno, avendo il giudice escluso la rilevanza probatoria dell’e-mail, per gli evidenti rischi di sicurezza delle comunicazioni attraverso la posta elettronica, specialmente in un sistema aperto come Internet” (da un interessante articolo di Roberto Manno pubblicato su Interlex).


[5] In verità oggi migliaia di “firme digitali” sono possedute da studi di commercialisti…ma questa è un’altra storia…


[6] Poiché ancora si legge in alcuni articoli che il decreto ingiuntivo sarebbe un “atto di parte” (errare è umano, ma perseverare è diabolico…), si ricorda, una volta per tutte, qualche nozione elementare di procedura civile. Il procedimento di ingiunzione è una forma speciale e abbreviata del normale processo di condanna, dal quale differisce non per la funzione, ma per la struttura: all’ “accertamento contenzioso” è sostituita una “cognizione sommaria”, con la quale si giunge ad un decreto di condanna. Il decreto ingiuntivo è, quindi, un provvedimento emesso da un Giudice in un procedimento di natura sommaria e, quindi, per definizione non è “di parte” come qualcuno ha arditamente riferito in questi giorni.
Il Giudice emette un decreto ingiuntivo se sono presenti i requisiti contenuti nell’art. 633 c.p.c.: tra questi requisiti al punto 1) c’è anche la “prova scritta”.  Nel suo provvedimento il Giudice di Cuneo dice testualmente “visti gli artt. 633, 634 ingiunge (…)”: il Giudice, quindi, ha deciso di emettere il decreto sulla base del combinato disposto di due norme: gli artt. 633 e 634 c.p.c.; l’art. 634 c.p.c. altro non è che una “spiegazione” del nostro legislatore su cosa debba intendersi per  “prova scritta”…quindi, è indubbio che il Giudice ha sostenuto la tesi secondo la quale l’e.mail è equipollente a un documento scritto!




Scritto da

Commenta!

Aggiungi qui sotto il tuo commento. E' possibile iscriversi al feed rss dei commenti.

Sono permessi i seguenti tags:
<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>