Le controriforme dell’editoria on line
Appunti e disappunti su due disegni di legge all’esame delle camere: il 26 ottobre scorso la Camera ha licenziato il testo del disegno di legge in materia di diffamazione a mezzo stampa, che ora e’ passato al vaglio del Senato della Repubblica (d.d.l. n. 3176). All’interno del d.d.l. e’ contenuta una proposta di riforma dell’art. 1 della l. n. 47/1948, che, se approvata dal Senato, introdurra’ (o meglio: reintrodurra’) alcuni obblighi per i «siti internet aventi natura editoriale», tra cui quello della registrazione dei siti di informazione periodica.
Ancora una volta l’approssimazione linguistica e l’imperizia tecnica del nostro legislatore rischiano di produrre norme grottesche, a tratti incostituzionali, vagamente repressive, anche se talmente farraginose da renderle sostanzialmente inapplicabili. Vediamo perche’, cominciando con il chiarire cosa debba intendersi con l’espressione «siti internet aventi natura editoriale».
Sulla base della l. n. 62/2001, e’ possibile affermare che ha natura editoriale qualunque sito i cui contenuti siano destinati alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico. Praticamente, ha natura editoriale quasi ogni sito in cui ci si imbatte navigando in rete che abbia una quale funzione informativa. Percio’ rientrano nel novero dei «siti internet aventi natura editoriale» le “ricette della nonna” come le inchieste di controinformazione, le barzellette come le poesie. E tra i siti caratterizzati dalla periodica diffusione al pubblico di informazioni, oltre ai veri e propri giornali on line, ritengo possano essere collocati – se non tutti – moltissimi blog.
Gia’ oggi, in virtu’ dell’art. 1, comma 3, l. n. 62/2001, tutti i prodotti editoriali, anche quelli diffusi per via telematica, dovrebbero riportare le informazioni che si trovano solitamente contenute nel colophon dei libri: luogo ed anno della pubblicazione e, soprattutto, nome e domicilio dell’editore o
dello stampatore. E benche’ la norma sia sostanzialmente disapplicata, la sua inosservanza, a rigore, andrebbe punita con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 250 euro (art. 16, l. n. 47/1948).
Sempre in base alla l. n. 62/2001, il prodotto editoriale diffuso al pubblico per via telematica con regolare periodicita’ e contraddistinto da una testata e’ soggetto alla registrazione presso il tribunale del luogo in cui ha sede la testata medesima. E tuttavia l’art. 7, ult. comma, del D. L.vo n. 70/2003 ha chiarito (ma molti commentatori hanno intelligentemente ironizzato sul fatto che tanto chiara la norma non e’!) che la registrazione delle testate telematiche ha l’unico scopo di consentire l’accesso del titolare alle agevolazioni ed alle provvidenze riservate agli editori dalla legge.
Per tutti coloro che non intendono procedere alla registrazione della testata resta solo l’obbligo di applicazione del colophon virtuale, anche se e’ poco chiaro cosa debba essere indicato in luogo dell’editore o dello stampatore, visto che la diffusione nel cyberspazio non passa attraverso costoro. Ci saremmo aspettati, dunque, un intervento del legislatore per chiarire cosa debba essere indicato, in luogo dell’editore o dello stampatore, per non commettere il reato di cui all’art. 16, l. n. 47/1948.
Al contrario, in perfetta sintonia con lo spirito delle leggi volute dal ministro Urbani (la n. 106/2004 e la n. 128/2004), i d.d.l. sopra indicati dettano una serie di regole che rendono ancora piu’ caotica la situazione attuale. Infatti, con il d.d.l. n. 3176 viene riproposta, in sordina, l’annosa questione sulla obbligatorieta’ della registrazione dei giornali e dei periodici on-line, con l’abrogazione per incompatibilita’ del gia’ richiamato art. 7, ult. comma, del D. L.vo n. 70/2003. Abrogazione soltanto parziale, visto che il d.d.l. in discorso disciplina solo i «siti internet aventi natura editoriale» e non le «testate editoriali telematiche». La differenza (probabilmente non percepita dal nostro sensibile legislatore) e’ notevole: un conto e’ un sito di informazione, un altro conto e’, ad esempio, una newsletter. Il primo sara’ soggetto alla nuova disciplina; la seconda rimarra’ soggetta alle regole gia’ vigenti.
Il tentativo che si puo’ leggere tra le righe del d.d.l. n. 3176 e’, dunque, quello di riformare maldestramente la controriforma, con esiti non certo trascurabili, visto che l’art. 16, l. n. 47/1948 punisce con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 250 euro chi pubblica un prodotto editoriale periodico senza che sia stata eseguita la prescritta registrazione.
Il Governo ha presentato alla Camera, nello scorso mese di luglio, il d.d.l. n. 4163, il cui articolo 1 e’ espressamente dedicato ai «siti internet aventi natura editoriale» ed agli «editori di testate giornalistiche in formato elettronico e digitale». Sia degli uni sia degli altri si dice che sono soggetti all’iscrizione nel Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) «ai fini dell’applicazione delle norme sulla responsabilita’ connessa ai reati a mezzo stampa».
Giova sottolineare che in Italia esistono due tipi di registrazione: quella presso il tribunale in cui e’ la sede del giornale o del periodico (l. n. 47/1948) e quella presso il Registro degli operatori di comunicazione (ROC) (l. n. 249/1997). La prima registrazione e’ di tipo “oggettivo”, riguarda cioe’ le testate; la seconda e’ di tipo soggettivo, visto che riguarda gli editori. La l. n. 62/2001 ha disposto che gli iscritti nel ROC sono esonerati dalla registrazione dei loro periodici presso il tribunale. Insomma basta essere registrati in almeno uno dei due registri e si e’ a posto.
Ora, pero’, il d.d.l. n. 4163 sembra richieda l’iscrizione dei «siti aventi natura editoriale» nonche’ degli «editori di testate giornalistiche in formato elettronico e digitale» nel ROC. E se cosi’ fosse, tutti i siti e le testate, registrandosi nel ROC, non sarebbero piu’ tenuti alla registrazione presso il tribunale.
Anche in questo caso la lettura del testo del d.d.l. lascia sgomenti. Da una parte, infatti, gli editori di testate elettroniche e digitali sono gia’ obbligati ad iscriversi nel ROC, in forza della l. n. 249/1997. E sotto questo profilo non e’ in alcun modo chiaro quale novita’ introduca il d.d.l. n. 4163.
Ma anche dove si parla di «siti soggetti all’iscrizione» deve rilevarsi una non piccola svista, giacche’ il ROC non e’ un registro oggettivo (ad es. di riviste pubblicate), ma quella di registro soggettivo (ad es. di editori). Percio’ il testo e’ sicuramente affetto da un vizio di formulazione. E, seppur diventasse legge senza subire alcun emendamento, andrebbe interpretato in modo da ritenere obbligati all’iscrizione gli editori che esercitino la propria attivita’ per mezzo di internet. Ma tutto cio’ e’ gia’ ampiamente previsto dalla l. n. 249/1997.
L’art. 1 del d.d.l. n. 4163 sembrerebbe, dunque, del tutto inutile. A meno che la sua finalita’ sia esclusivamente quella di indicare precettivamente a quali soggetti siano applicabili le nuove norme sulla responsabilita’ connessa ai reati a mezzo stampa. E cio’ appare tanto piu’ verosimile, laddove si rifletta sull’inciso riprodotto identicamente sia al comma 1, sia al comma 2 dell’art. 1 del d.d.l. «ai fini dell’applicazione delle norme sulla responsabilita’ connessa ai reati a mezzo stampa».
3. Il reato che si commette con piu’ frequenza (e facilita’) con il mezzo della stampa e’ quello di diffamazione, per il quale e’ attualmente prevista la pena della reclusione fino ad un anno o della multa fino a 1032 euro. Il d.d.l. n. 3176 ha di mira la eliminazione della pena detentiva per i reati di ingiuria e diffamazione. Ma non solo, visto che la commissione del reato obbliga il responsabile al risarcimento del danno morale, esponendo (in particolare) giornalisti, editori e direttori editoriali al costante rischio di essere condannati a pagare somme da capogiro. Con il d.d.l. n. 3176 il legislatore vuole limitare il tetto massimo del risarcimento del danno morale (per i soli reati commessi a mezzo stampa) a 30.000 euro, abbreviando altresi’ il termine di prescrizione per l’azione civile risarcitoria da cinque anni ad un anno.
Queste nuove regole, pero’, si applicheranno solo alla stampa tradizionale, nonche’ ai «siti internet aventi natura editoriale» ed agli «editori di testate giornalistiche in formato elettronico e digitale» che, come si e’ anticipato, siano iscritti nel ROC (cfr. art. 1 del d.d.l. n. 4163). Non si applicheranno,
invece, a tutti coloro che non siano iscritti nel ROC e che, nondimeno, gestiscano un «sito internet avente natura editoriale», ovvero una testata telematica di informazione periodica.
Questi ultimi non si potranno giovare ne’ del “tetto” dei 30.000 euro, ne’ del termine di prescrizione breve. E cosi’ potranno essere trascinati in giudizio fino a cinque anni dopo il fatto per cui si procede e potranno essere condannati a pagare risarcimenti anche molto superiori a 30.000 euro.
Il che e’ semplicemente aberrante, visto che una simile disparita’ di trattamento, tra chi e’ iscritto al ROC e chi non lo e’, diventa virtualmente pericolosa per la liberta’ di espressione dei semplici cittadini.
Non nascondo che, se davvero questo fosse il risultato dei due d.d.l. in esame, esso mi sembra palesemente incostituzionale.
In sintesi, la nuova normativa (se i d.d.l. dovessero essere approvati nella loro attuale formulazione) obblighera’ tutti coloro che possiedono un sito «avente natura editoriale» a rispettare la legge sulla stampa (l. n. 47/1948).
In particolare:
coloro che, senza essere editori professionisti, siano titolari di un sito di informazione periodica saranno tenuti alla sua registrazione presso il tribunale;
coloro che, senza essere editori professionisti, gestiscano una testata giornalistica o altro strumento di informazione periodica in via telematica, in assenza di un «sito internet avente natura editoriale», non saranno tenuti ad alcuna registrazione;
coloro che siano iscritti al ROC non saranno tenuti alla registrazione dei periodici presso il tribunale. Solo questi ultimi potranno giovarsi delle limitazioni di responsabilita’ previste nel caso di commissione di reati con il mezzo della stampa.
La disciplina, cosi’ descritta, appare gia’ a colpo d’occhio farraginosa ed iniqua.
Perche’ non cambiarla finche’ si e’ in tempo?
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