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La pornografia on line è punibile?

26 Febbraio 2005 Commenta

Il fenomeno della pornografia in rete e’ talmente evidente e diffuso da essere molto spesso accomunato (o in qualche modo avvicinato) allo sviluppo contestuale di Internet. Secondo una recente indagine, il numero di pagine a contenuto pornografico che l’utente comune puo’ trovare in rete raggiunge la soglia (provvisoria e temporanea) di 260 milioni. Di fronte a questo enorme bacino di contenuti, vi si possono imbattere tutti i navigatori, indistintamente.

La casualita’ con la quale ci si puo’ avvicinare, poi, e’ molto elevata, poiche’ in rete sono presenti, per esempio, banner pubblicitarî di tipo erotico o addirittura hard in qualsiasi sito web, oppure si possono trovare per circostanze non meglio identificate collegamenti a pagine hard come risultato di ricerche svolte in rete, che mirano a trovare tutt’altro contenuto. E poi c’e’ il problema dell’accesso a questo materiale da parte di minori.

L’articolo 528 c.p. punisce, come delitto, la produzione, lo scambio, la detenzione e la messa in circolazione, «allo scopo di farne commercio, o distribuzione, ovvero di esporli pubblicamente», di «scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni», mentre l’articolo 725 c.p. punisce, come contravvenzione, l’esposizione al pubblico, l’offerta in vendita e la distribuzione di «scritti, disegni o qualsiasi oggetto figurato, che offenda la pubblica decenza». L’articolo 529 c.p. precisa, al primo comma, che «agli effetti della legge penale, si considerano «osceni» gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, «offendono il pudore», e, al secondo comma, che «non si considera oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto».
Tutto ruota, dunque, attorno al concetto di comune sentimento del pudore, che puo’ essere definito come «quel sentimento che induce alla riservatezza in tutto cio’ che attiene alle manifestazioni della vita sessuale».

Secondo la giurisprudenza, «nella nozione di osceno, la legge assume a oggetto di tutela un fenomeno biologico quale e’ il pudore, che si esprime in una reazione emotiva, immediata e irriflessa, di disagio, turbamento e repulsione in ordine a organi del corpo o comportamenti sessuali che, per ancestrale intuitivita’, continuita’ pedagogica, stratificazione di costumi ed esigenze morali, tendono a svolgersi nell’intimita’ e nel riserbo.
Poiche’ tale reazione emotiva e’ variabile di tono, in relazione alle varie componenti della comunita’ e alle esigenze morali e alla evoluzione del costume, la legge ha commisurato la tutela del pudore al sentimento di esso diffuso nella comunita’ stessa.

Non puo’ non essere citato un importante passaggio legislativo (prima) e giurisprudenziale (poi) secondo cui il materiale pornografico assume rilevanza penale solo nei casi in cui vi sia una ostentazione in pubblico tale da rendere offensiva per l’intera comunita’ la fruizione di quei contenuti.
Questo «cambiamento di rotta» e’ stato sollecitato dall’introduzione nel nostro ordinamento giuridico dell’esonero di responsabilita’ per il delitto di cui all’articolo 528 c.p. previsto dalla legge 17 luglio 1975, n. 355, articolo unico, per gli edicolanti, che non rendano visibile al pubblico nessuna parte della pubblicazione che appaia palesemente oscena.
Il rivenditore, cioe’, secondo questa norma, deve aver cura, nell’esporre la pubblicazione, di evitare che le parti oscene possano essere osservate dal pubblico «immediatamente», ossia a prima vista. Infatti, la volonta’ del Legislatore, oggettivata nella norma, consiste non solo nella salvaguardia del diritto di esposizione dei rivenditori, ma anche nella tutela del pubblico pudore, che ha, del resto, il suo piu’ autorevole presidio nel dettato costituzionale che vieta le pubblicazioni a stampa contrarie al buon costume (articolo 21 Costituzione).

L’orientamento giurisprudenziale successivo a questa legge, poi, ha ritenuto progressivamente che deve essere riconosciuta una generica non punibilita’ all’attivita’ di produzione e messa in circolazione di immagini oscene, qualora questa sia svolta nel rispetto dei terzi non interessati o non consenzienti e dei minori.
Questa interpretazione ha poi ricevuto l’avallo anche della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione (piu’ volte).
La prima, con sentenza del 27 giugno 1992, n. 368, ha confermato la correttezza di una lettura restrittiva dell’articolo 528 c.p., che ne escluda l’applicabilita’ ai casi di detenzione e distribuzione non genericamente pubblica (e al pubblico), ma svolta in forma riservata e solo a chi ne faccia esplicita richiesta. La Corte ha affermato che «la contrarieta’ al sentimento del pudore non dipende dall’oscenita’ di atti o di oggetti in se’ considerata, ma dall’offesa che puo’ derivarne al pudore sessuale, considerato il contesto e le modalita’ in cui quegli atti e quegli oggetti sono compiuti o esposti: sicche’ non puo’ riconoscersi tale capacita’ offensiva ad atti o ad oggetti che, pur avendo in se’ un significato osceno, si esauriscono nella sfera privata e non costituiscono oggetto di comunicazione verso un numero indeterminato di persone».

La Corte di Cassazione ha svolto negli ultimi anni numerose precisazioni in merito che si possono riassumere nei termini seguenti:



  • La capacita’ offensiva dell’osceno e’ condizionata dal contesto ambientale in cui e’ presentato; conseguentemente lo spettacolo osceno che si svolga con particolari modalita’ di riservatezza e di cautela in presenza di sole persone adulte non integra il reato in questione, ove il giudice di merito accerti, in relazione a dette modalita’, che il comune senso del pudore non risulti offeso;


  • Il commercio dell’osceno, se realizzato con particolari modalita’ di riservatezza e di cautela, idonee a prevenire la lesione reale o potenziale del pubblico pudore non integra l’ipotesi delittuosa di cui all’articolo 528 c.p.

Una volta illustrato quale significato abbia per il Codice Penale il concetto di comune senso del pudore, si puo’ affrontare il problema della configurazione giuridica del materiale osceno presente in rete.
Tutto dipende, allora, dalle caratteristiche di «destinazione» ed «esposizione al pubblico» delle immagini pornografiche. Applicando questi concetti che hanno avuto origine da tale evoluzione giurisprudenziale, si possono indicare le condizioni alle quali un’opera dal contenuto pornografico possa essere messa a disposizione del pubblico su Internet:




  • Il sito deve essere visibile solo ed esclusivamente agli adulti.


  • E’ vietato in maniera categorica la presentazione di immagini «forti» senza alcun avviso, che espliciti il particolare contenuto presente.


  • E’ vietato mettere a disposizione di minori di anni diciotto materiale osceno.

Per quanto concerne il primo punto, e’ ormai un dato di fatto (senz’altro positivo) che qualunque sito web che tratti contenuti a esplicito sfondo sessuale (o anche solo erotico) avvisa nella pagina iniziale che il materiale ivi presente non e’ diretto in alcun modo a un pubblico minore degli anni diciotto o particolarmente sensibile a scene di tipo erotico-sessuale.
Il problema di fondo (e non ancora risolto, purtroppo) e’ che non e’ possibile sapere se dall’altra parte del computer accedano a questi siti solo ed esclusivamente persone maggiorenni. Infatti, l’avviso posto nella home page del sito costituisce un mero «cartello» senza alcuna funzione deterrente.
I rimedî per questa difficile situazione potrebbero essere: un piu’ attento monitoraggio della navigazione sul web dei minori e un filtraggio a priori dei siti che possono essere visitati dai computer di casa.

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