Considerazioni generali sulla disciplina dei contratti informatici
Quali sono i maggiori temi affrontati dalla dottrina e dalla giurisprudenza sui contratti informatici?
Il contenuto del contratto informatico ricomprende elementi di tipo negoziali diversi, abbinando al trasferimento dei macchinari i servizi di assistenza e manutenzione o al trasferimento del software il servizio di formazione del personale. Sotto tale profilo si discute di contratto misto e si ripropongono le questioni sulla disciplina applicabile.
Sono stati individuati due criteri fondamentali:
• criterio dell’assorbimento: si assegna all’intero rapporto negoziale la disciplina che regola il negozio da cui deriva la prestazione economicamente e qualitativamente prevalente; questo è il criterio seguito dalla giurisprudenza dominante che attribuisce valore al regolamento di interessi inteso nella sua oggettività;
• criterio della combinazione: si applica la disciplina riferibile alla natura della singola prestazione rispetto alla quale è sorto il contrasto, scomponendo il contenuto globale dell’accordo in tante parti quante sono le diverse utilità che contribuiscono alla sua formazione. La dottrina prevalente, per i contratti misti in generale e quindi anche per i contratti aventi ad oggetto beni informatici, privilegia tale criterio sostenendo che esso è l’unico in grado di rispondere in maniera più aderente alla volontà dei contraenti, in quanto permette di assegnare il giusto peso ad ogni singola disciplina relativa alle diverse prestazioni dedotte in ciascun contratto, senza perdere di vista l’unitarietà dell’operazione economica posta in essere dalle parti.
Nel trattare delle caratteristiche del contratto informatico si è fatto riferimento alla complessità intesa come necessità di stipulare contratti tra loro collegati, per ottenere la disponibilità di beni diversi che devono tra loro interagire per consentire il soddisfacimento finale delle esigenze dell’utente. Questi stipula con il medesimo fornitore più contratti aventi ad oggetto prestazioni diverse ma tra loro condizionantisi, sia dal punto di vista tecnico-economico che funzionale.
L’esame di tale profilo riconduce alla problematica generale in materia di contratti sulla figura del collegamento negoziale e sulla disciplina applicabile.
In merito alla individuazione degli elementi necessari per affermare l’esistenza del collegamento negoziale, si discute se si debba ricorrere a presupposti di tipo oggettivo (attinenti all’oggettiva unitarietà dell’operazione economica, della funzione economico-sociale dei contratti) o anche a presupposti soggettivi (identificabili nella volontà delle parti).
Risulta ovvio che se si accede alla prima soluzione l’autonomia negoziale delle parti viene ad essere limitata.
La giurisprudenza meno recente della Corte di Cassazione riconduceva esclusivamente alla volontà delle parti la sussistenza del collegamento e quindi prediligeva un criterio soggettivo, con la conseguenza che la decisione in ordine alla sussistenza del collegamento non era suscettibile di essere ancorata a valutazioni astratte e generali, con la conseguenza che sul punto la questione atteneva al fatto e non al diritto.(Cass. 18 marzo 1975, n. 1042; Cass. 5 settembre 1978, n. 4038).
Al criterio soggettivo suggerito dalla giurisprudenza si è contrapposto quello oggettivo, suggerito dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito più recente, per il quale l’accertamento dell’unicità contrattuale o della pluralità di contratti collegati discende dalla oggettiva connessione funzionale esistente tra loro. Sottratto il collegamento contrattuale alla disponibilità delle parti, questo rileva come dato oggettivo ed è quindi res iuri – ossia attiene alla qualificazione giuridica dei fatti.
La Corte di Cassazione ha finito con l’accedere a tale impostazione affermando che il contratto collegato è una forma di regolamento degli interessi economici delle parti caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione) possono ripercuotersi sull’altro, anche se non sempre in condizionamento reciproco e in rapporto di principale e accessorio. (Cass. 27 aprile 1995 n. 4545).
Altra caratteristica ricorrente nei contratti informatici è quella dei particolari rapporti di forza tra le parti, caratteristica che naturalmente si ripercuote sulle modalità di stipulazione del contratto.
Va qui specificato che in materia la dottrina nel descrivere il procedimento attraverso il quale si giunge alla conclusione del contratto ha elaborato la figura della convenzione, termine con il quale si intende l’elenco dei singoli punti tecnici sui quali le parti hanno raggiunto un accordo nel corso della negoziazione del contratto. La convenzione, così intesa, non riguarda l’accordo complessivo, che si sostanzia nel contratto, ma solo i profili strettamente tecnici relativi da un canto alle esigenze prospettate dall’utente e dall’altro alle proposte del fornitore accettate come valide.
E’ stato osservato che, in un regime consensualistico, la validità dell’accordo delle parti si fonda sul consenso reciprocamente raggiunto, e non sul contratto, anche se in sede processuale esiste una forte presunzione che il contratto sia la precisa espressione della convenzione, cioè dell’accordo raggiunto fra le due parti: è infatti difficile dimostrare il contrario (Losano 1986, 32). Tale affermazione può condividersi solo ove si intenda il termine contratto in senso improprio come documento scritto che incorpora l’accordo ed ha valore probatorio, in quanto va precisato che in senso giuridico il contratto è proprio l’accordo tra le parti (cfr. art. 1321 c.c.) e la convenzione, come sopra definita, se ne distingue perché attiene solo a taluni profili, ma non riguarda il consenso sull’intero regolamento di interessi.
Terminata la fase tecnica della convenzione, nel corso della quale di solito acquirente e fornitore redigono una tabella comparativa delle varie prestazioni proposte dai singoli costruttori concorrenti, si concretizza l’accordo nel suo complesso con la stesura del documento – contratto.
Proprio in relazione ai rapporti di forza tra i contraenti, normalmente le trattative si riducono alla determinazione delle esigenze tecniche dell’utente, mentre per gli altri profili (modalità di esecuzione, corrispettivo, garanzie, responsabilità) è consentita solo l’adesione al contratto-tipo predisposto dal costruttore; talvolta tuttavia l’accordo fra le viene raggiunto attraverso la discussione di ogni singola clausola (Losano 1986, 33).
La fase precontrattuale è in ogni caso caratterizzata da doveri di informazione in relazione alle caratteristiche essenziali degli elementi essenziali della fornitura (qualità tecniche, possibilità di utilizzazione e sviluppo). Tali doveri, si intende, ricadono anzitutto sul fornitore che deve illustrare alla controparte, di solito non particolarmente esperta in materia, le potenzialità del bene (hardware o software) oggetto dell’accordo, ma evidentemente anche l’utente deve chiarire le proprie esigenze.
Nel nostro ordinamento, tali reciproci doveri delle parti si inquadrano, come già evidenziato nel precedente paragrafo, nell’ambito del principio di correttezza nelle trattative (art. 1337 cod. civ.) che è stato esattamente inteso come onere delle parti “di comunicarsi scambievolmente le circostanze e tutti gli elementi la cui conoscenza permette di formarsi una esatta conoscenza dell’oggetto delle trattative”(Visintini 1972, 104).
La violazione colposa dei doveri di informazione da parte del fornitore comporta una forma di responsabilità che dottrina e giurisprudenza definiscono precontrattuale per sottolineare il fatto che essa nasce nell’ambito di contatti preliminari tra le parti, finalizzati alla conclusione del contratto vero e proprio. Tale forma di responsabilità consente al soggetto che dimostri di averne ricevuto un danno, ancor prima della stipula del contratto, la possibilità di chiedere il risarcimento.
Tuttavia la mancanza di chiarezza da parte del fornitore può determinare la conclusione di un contratto non vantaggioso per l’utente ed allora la tutela dell’ordinamento diviene più incisiva, pur distinguendo tra l’ipotesi di condotta colposa e quella di condotta dolosa: nella prima viene riconosciuta all’utente la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto, ove naturalmente sia in discussione la possibilità di utilizzare l’oggetto dell’accordo; nella seconda ipotesi si ritiene integrata l’ipotesi del dolo (artt. 1427 e 1439 c.c.) che determina la possibilità di richiedere l’annullamento del contratto ed il risarcimento del danno e fa sorgere altresì, nei casi più gravi, una forma di responsabilità extracontrattuale, con risarcimento dei danni prevedibili ed imprevedibili (art. 2043 c.c.).
Va sottolineato che altra situazione disciplinata dal codice ed attinente sempre al tema della corretta formazione dell’accordo è quella dell’errore in cui uno dei contraenti sia incorso senza alcuna responsabilità della controparte; si pensi al caso in cui l’utente poco esperto abbia equivocato, per propria ignoranza, la spiegazione del fornitore. In tal caso il contratto nonostante l’errore dell’utente deve ritenersi valido ed efficace salva l’ipotesi in cui lo stesso errore, ricadente su elemento essenziale dell’accordo, sia stato riconosciuto dalla controparte o sia oggettivamente riconoscibile. In definitiva si ritorna all’applicazione del principio di correttezza nei rapporti tra le parti che deve permeare tutte le fasi del rapporto negoziale, dalla nascita alla esecuzione, per cui se l’utente cade in errore per propria imperizia non può sottrarsi alle responsabilità contrattuali, a meno che il fornitore, dotato di maggiore esperienza, non abbia avuto comunque modo di comprendere che l’altra parte ha prestato il consenso in base ad un erroneo convincimento sulle qualità del bene.
D’altra parte, come già sottolineato, anche sull’utente gravano oneri di informazione e di fattiva collaborazione con la conseguenza che egli non potrà lamentare l’assenza di specifiche caratteristiche tecniche che non siano state espressamente richieste al fornitore, il quale non abbia neppure ricevuto adeguata illustrazione delle esigenze del medesimo utente.
Nelle trattative si rispecchiano quindi i concreti rapporti di forza tra le parti contraenti e la dottrina ha individuato tre requisiti fondamentali ai fini della conclusione un contratto soddisfacente: il documento nel quale si incorpora il contratto deve rispecchiare fedelmente gli accordi raggiunti nella fase precontrattuale; il contratto deve prevedere il maggior numero possibile di casi e delimitare le responsabilità di entrambe le parti per ciascuno di essi; il contratto deve prevedere non solo le difficoltà che possono sorgere nel corso dell’esecuzione, ma anche le soluzioni concrete che di comune accordo si desidererebbe dare a queste controversie. Frequenti in particolare sono le clausole relative ai problemi di quantificazione del danno risarcibile (Losano 1986, 35).
Invero uno dei problemi principali nei contratti di informatica è quello che riguarda i profili della responsabilità conseguenti ad una cattiva esecuzione del contratto.
Va anzitutto premesso che la particolare complessità, sotto il duplice profilo delle peculiari caratteristiche tecniche dell’hardware e del software e della stretta commistione fra prestazioni di consegna e prestazioni integrative e strumentali, rende particolarmente difficile la individuazione di corretti parametri di valutazione dell’adempimento, al fine di stabilire se lo stesso possa definirsi inesatto ovvero viziato, oppure totalmente inadeguato nonché al fine di assegnare il giusto rilievo all’eventuale inadempimento nell’ambito dell’economia complessiva del contratto. Non bisogna, infatti, sottovalutare la peculiarità dei contratti informatici in virtù della quale aspetti apparentemente accessori ed anche poco rilevanti sotto il profilo economico (come ad es. la consegna di determinati programmi applicativi) possono assumere un carattere essenziale dal punto di vista della funzionalità del sistema considerato nella sua globalità.
Qualora sia accertato in sede giudiziale l’inadempimento, si pone poi l’ulteriore problema relativo alla quantificazione del danno risarcibile.
Invero i danni riconducibili a disfunzioni di un sistema informatico possono essere assai diversi quanto a natura ed entità, oscillando tra i costi necessari per ripristinare le condizioni di funzionalità del bene oggetto dell’accordo e le perdite economiche conseguenti alla lesione della capacità produttiva e organizzativa causata del vizio del sistema informatico; in quest’ultimo caso si può determinare una interruzione dell’attività imprenditoriale per effetto del mancato funzionamento del settore informatico ovvero si possono accertare errori gestionali imputabili a disfunzioni hardware/software.
Il problema generale costituito dalla necessità di selezionare le conseguenze dannose risarcibili si acuisce quindi nei casi in esame, in quanto aumenta la difficoltà di verificare, sotto il profilo tecnico, le singole voci del danno prodotto dall’inadempimento. Se da un canto, come sopra evidenziato, si possono verificare seri problemi per l’impresa che debba interrompere, parzialmente o totalmente, la propria attività, d’altra parte vi è l’esigenza di non sovraesporre il fornitore a conseguenze non ragionevoli in relazione alla condotta a lui addebitabile.
Se il problema in esame può dirsi spesso, in concreto, superato dalla prassi contrattuale secondo la quale le parti inseriscono nell’accordo clausole che disciplinano convenzionalmente responsabilità e risarcimento, deve tuttavia constatarsi che esso si ripropone per l’interprete dell’accordo chiamato a verificare la validità delle clausole di limitazione o di esonero delle responsabilità contenute nei formulari standard del fornitore; è ovvio che, in caso di contrasto, se le clausole di esonero risultano invalide l’interprete è altresì chiamato a quantificare il danno (Rossello, 1986, 18).
La invalidità delle clausole può derivare dalla violazione dell’art. 1229 c.c. ovvero dalla violazione delle norme poste a tutela del contraente debole nei contratti stipulati dal consumatore.
Quanto alla prima norma, essa deve essere letta come espressione ulteriore del principio di correttezza dei rapporti giuridici, più volte richiamato, per cui non sono ammessi patti che escludano o limitino la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave. Nel caso specifico dell’inadempimento contrattuale va sottolineato che, proprio in virtù dell’applicazione di tale regola, deve considerarsi affetto da nullità un patto che renda in concreto irrisorio il risarcimento del danno preconcordato tra le parti.
La dottrina richiama, come applicazione specifica dell’art. 1229, le norme in materia di vendita, locazione e appalto. Invero ai sensi dell’art. 1490 c.c. il patto con cui si esclude la garanzia per i vizi della cosa venduta non ha effetto se il venditore ha in mala fede taciuto i vizi; ai sensi dell’art. 1579 c.c. la clausola con cui si esclude o si limita la responsabilità del locatore per i vizi della cosa è priva di effetto non solo nel caso in cui questi abbia in mala fede taciuto i vizi, ma anche quando la rilevanza del vizio sia oggettivamente tale da rendere impossibile il godimento della cosa; ai sensi degli artt. 1667-1668 c.c. le parti possono modificare la disciplina legale della responsabilità dell’appaltatore per vizi e difformità dell’opera, sia variando i presupposti della responsabilità, sia regolandone diversamente il contenuto e la durata, salvo il limite di cui all’art. 1229 c.c. (Rossello, 1986, 22).
Giova qui sottolineare che una parte della giurisprudenza di merito ha applicato in materia di clausola penale, la clausola cui le parti ricorrono appunto per liquidare in via preventiva ed omnicompresiva il danno da inadempimento, il principio dell’indebito arricchimento, affermando che in sede giudiziaria si può procedere a riduzione della penale nei casi in cui il risarcimento risulti, all’opposto dei casi sopra considerati, esagerato rispetto al danno verificatosi
(Tribunale Firenze 17.9.1994).
Non si può escludere che tale principio possa trovare applicazione nei contratti informatici: si pensi ad esempio al caso in cui l’impresa sia dotata di un sistema informatico parallelo che abbia continuato a funzionare sicché nessun danno si è verificato per inadempimento del fornitore.
Molte delle clausole contenute nei formulari standard impiegati dalle imprese del settore ricadono, infatti, in astratto nella previsione della normativa dettata dal legislatore per i c.d. contratti per adesione o per i contratti stipulati dal consumatore. Tuttavia bisogna rilevare che la normativa relativa ai contratti conclusi mediante moduli o formulari si preoccupa di verificare la sussistenza di un accordo su tutti i punti contenuti nel contratto, dettando norme volte a garantire la piena efficacia solo delle clausole conosciute o comunque evidenziate e quindi approvate specificamente dalla parte aderente allo schema predisposto dall’altro contraente (art. 1341, 2° comma c.c.). La nuova normativa a tutela del consumatore, invece, prescindendo dall’accordo eventualmente formatosi, tende ad una tutela sostanziale del contraente debole per cui esclude del tutto la efficacia delle clausole tendenti ad escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o un’omissione del professionista, nonché le clausole tendenti ad escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista (cfr. art. 1469 bis, 2° comma nn. 1 e 2).
D’altra parte, in applicazione del principio di indebito arricchimento, il legislatore qualifica come vessatoria anche la clausola con la quale viene imposto al consumatore, in caso di suo inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di danaro a titolo di risarcimento del danno, clausola penale o altro titolo equivalente, di importo manifestamente eccessivo (cfr. art. 1469 bis, 2° comma n. 6).
E’ agevole constatare che la tutela assicurata all’utente con la normativa da ultimo richiamata risulta particolarmente incisiva perché non limita il suo intervento alla tutela del principio del consensualismo, verificando solo se esista un accordo, ma elimina la operatività delle clausole vessatorie, senza escludere la validità del contratto. Spesso, infatti, l’utente aderisce a clausole vessatorie perché ha necessità di avvalersi di un determinato servizio che solo una determinata società può fornire e quindi l’accordo è esistente in concreto, ma è forzato in alcuni punti che riflettono la posizione di debolezza di uno dei contraenti.
Michele Iaselli
Scritto da Redazione StudioCelentano.it
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